Il blitz calcolato di Giorgetti, salvatore dei conti pubblici

Federico Fubini Corriere della Sera 18 febbraio 2023
Giorgetti: «Sul Superbonus scelta necessaria, senza interventi dovevamo ridurre la spesa sociale»
Spesso accusato di non far sentire la propria voce nel governo, Giancarlo Giorgetti giorni fa lamentava che i suoi atti di coraggio politico passano sotto silenzio. Quasi fosse semplicemente scontato che un ministro dell’Economia prenda decisioni impopolari.

 

Ma è Giorgetti che ha firmato la reintroduzione delle accise sui carburanti, una volta risceso il prezzo del petrolio; ed è sempre Giorgetti che ha tradotto in misure concrete le sue stesse critiche ai bonus immobiliari. Prima il ministro ha alzato un argine all’avanzata del re di tutti i sussidi, riducendo i crediti d’imposta sugli interventi ambientali dal 110% al 90%. Poi il decreto di giovedì ha bloccato la cedibilità di quei crediti (per il futuro), impedendo che vengano trattati come moneta creata dal fisco invece che dalla Banca centrale europea.

Dunque il ministro, e il governo, non hanno avuto paura di prendere misure poco appetibili e necessarie alla tenuta dei conti. Ma dietro la loro scelta anche un’altra ragione – più urgente – che diverrà chiara quando, il primo marzo, l’Istat pubblicherà i dati di contabilità nazionale. Quel giorno l’istituto di statistica fisserà i risultati di crescita, deficit e debito pubblico per l’anno scorso.

Poi aggiungerà una postilla: una drastica revisione al rialzo dei disavanzi per il 2020 e il 2021; va da sé poi che la revisione dei criteri di calcolo porterà anche a un deficit sul 2022 molto più alto di quanto annunciato anche solo nella nota di aggiornamento (Nadef) del governo in ottobre scorso. Tutto è legato a doppio filo alle peculiarità e patologie dei bonus immobiliari. E il paradosso è che solo grazie al decreto di ieri il governo salva i saldi di bilancio di quest’anno, dunque la possibilità di prolungare parte dei sussidi al consumo di energia se necessario. Dice Giorgetti: «Non fossi intervenuto (sulla cedibilità dei crediti d’imposta immobiliari, ndr) sarei stato costretto a rinunciare al rinnovo di qualunque misura sociale».

Per capire quale sia il nesso, va fatto un passo indietro in questa vicenda poco onorevole nella storia della finanza pubblica nazionale. Eurostat, sulla base del suo nuovo manuale di contabilità, sta chiedendo che ogni credito d’imposta immobiliare di questi anni sia contabilizzato «per competenza».

L’agenzia statistica europea prevede cioè che l’impatto sui conti sia registrato nell’anno in cui ogni credito d’imposta viene legalmente riconosciuto, non negli anni futuri durante i quali i detentori di quei crediti pagheranno meno tasse. In quegli anni, magari distanti, gli effetti si faranno sentire sullo stock del debito pubblico per molto più di 100 miliardi. Ma il deficit è calcolato da sempre «per competenza», cioè quando una spesa o un’entrata in meno (o in più) sono decise.

Nessuno sa dire oggi di quanto sarà rivisto il rosso di bilancio, nemmeno l’Istat. La riscrittura è in corso e sarà macroscopica. I 110 miliardi di crediti in circolazione fino all’autunno scorso – da allora cresciuti ancora – rappresentano circa il 6% del prodotto lordo (Pil) e solo una piccola parte di essi è già visibile nei saldi di finanza pubblica perché assorbiti da minori tasse versate. Dunque è presumibile che il deficit pubblico del 2020 sia corretto ben sopra al 10% del Pil (invece del 9,5% ufficiale di oggi), quello del 2021 sia più vicino al 9% che al 7,2% che risulta oggi e quello del 2022 risulti più vicino all’8% che al 5,6% indicato nella Nadef.

Di fatto Eurostat chiede una trasparenza sui conti pubblici che getta una luce diversa anche sui sorprendenti dati di crescita degli anni scorsi. Il governo di Mario Draghi probabilmente avrebbe imposto una stretta prima, non fosse stato per la resistenza dei 5 Stelle. Ora però Giorgetti guarda al 2023, con un occhio ai vincoli di Eurostat.

Per l’agenzia europea i crediti d’imposta vanno subito a deficit se considerati «pagabili», cioè se è probabile che qualcuno ne beneficerà perché quelli sono cedibili, compensabili con altre imposte e spalmabili nel tempo: esattamente come il superbonus e i suoi fratelli. Per questo il governo ha bloccato la cedibilità dei crediti, in modo che i tre miliardi attuali di spesa mensile da superbonus non siano classificati da Eurostat nei conti 2023, gonfiando il deficit da 4,5% al 6,5% e privando così il governo di qualunque margine di bilancio. Un effetto collaterale della stretta, peraltro, dovrebbe essere una frenata dell’inflazione dei costi dell’edilizia.

 

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