Walter Veltroni La Repubblica 16 febbraio 2023
Diritti, futuro, libertà La sinistra recuperi la sua ambizione e non torni indietro
Se si accetta con passività di essere una minoranza non c’è altra strada che cercare alleanze che andranno a sciogliersi come neve al sole. L’Italia non è di destra
«La definita struttura delle classi, riconoscibili fin dai volti della sua gente; l’industria diffusa con l’infittirsi delle fabbriche e il moltiplicarsi dei capannoni lungo le sue nuove autostrade; le sezioni dei partiti con le loro insegne sbiadite fin nei centri più piccoli; le grandi ideologie così familiari e riconoscibili; la presenza capillare e orientatrice della Chiesa: morbida, sotterranea, attenta e polverosa».
Così Aldo Schiavone definisce la “forma” dell’Italia nella “prima stagione repubblicana”.
Per sovrapprezzo io posso aggiungere: le mutate condizioni di relazione umana, a cominciare dalla dinamica dei flussi comunicativi, la trasformazione del vivere urbano, l’ansia inedita nella storia umana per la rapida accelerazione della crisi climatica, il ritorno, invece, di antiche paure, come quella delle pandemie. Davvero, guardando senza gli occhi chiusi il paesaggio contemporaneo, esiste un luogo in cui la sinistra possa “tornare”? Un rifugio comodo, sicuro, di cui solo si è smarrito l’indirizzo ma che è lì, immoto nel tempo, cristallizzato e solo desideroso di vedere tornare i suoi vecchi frequentatori?
Tutto il testo del libro di Aldo ci invita a non coltivare questa diabolica, facile, rassicurante illusione. In una parola: ci invita a uscire dal Novecento per essere se stessi. E io, per parte mia, invito sommessamente ad abbandonare per sempre quel verbo, il verbo “tornare”. (…)
Si dica quel che si vuole, ma se non esiste più lo schiavismo, se le donne hanno conquistato diritti inimmaginabili in un mondo che nel novecento non le voleva neanche far votare, se il razzismo è una colpa e non una norma, se esiste lo Stato sociale, il merito è da attribuire, nessuno può onestamente negarlo, alle battaglie e al sacrificio delle persone che, nella storia, hanno coltivato ideali di sinistra. E così non hanno avuto paura di definirsi. Questa stessa parola merita però di essere meglio definita, per evitare superficiali autocertificazioni.
Per me sinistra e libertà sono inseparabili. Non è sinistra quella che sacrifica, come facevano i paesi dell’Est, la libertà degli umani, il pluralismo delle idee e della loro organizzazione sindacale o politica, in nome di un supposto e mai realizzato disegno di eguaglianza degli uomini. I regimi autoritari non hanno colore che li definisca. Sono tutti, sempre, nemici di quella che chiamiamo sinistra. Non è sinistra quella che chiude gli occhi di fronte al martirio del popolo ucraino invaso o delle ragazze iraniane perseguitate per il loro sogno di autonomia e di pienezza della vita. E, al tempo stesso, non è sinistra quella che si camuffa, nega la sua identità, mortifica la sua storica bellezza, annega in un indistinto, insegue i populismi e se ne fa contagiare o trasforma il governare da mezzo per il cambiamento a fine della sua esistenza. La sinistra, quella della libertà dall’ingiustizia e dall’autoritarismo, non “torna”, si rinnova per essere se stessa. (…)
La sinistra non torna. La sinistra, da sempre, cerca il nuovo e lì si rigenera. È la destra a essere ancorata a un passato che non torna, a rispolverare la triade Dio Patria e Famiglia che, nel tempo della secolarizzazione, della globalizzazione, della piena legittimità delle scelte individuali appare, o dovrebbe apparire, in presenza di una alternativa, fallace e impolverata. (…)
“Tornare”, ma dunque dove? La sinistra del duemila deve cercare di portare la battaglia dei diritti e delle garanzie in questa nuova dimensione del lavoro e deve aggredire i nodi della condizione umana contemporanea: il formarsi, il sapere, l’accedere, il curarsi, il procreare, il decidere, il relazionarsi. Deve fare della eguaglianza delle opportunità per tutti la sua stessa identità. Scriveva Bobbio: «Il principio dell’eguaglianza delle opportunità elevato a principio generale mira a mettere tutti i membri di quella determinata società nella condizione di partecipare alla gara della vita, o per la conquista di ciò che è vitalmente più significativo, partendo da posizioni eguali». Uguali alla partenza, non all’arrivo.
La sinistra moderna deve, per difendere la democrazia, capire che l’universo dei social non è buono solo per farsi le foto sorridenti sugli scranni delle Camere, ma richiede la più forte battaglia mai condotta per sottrare in tutto il mondo gli esseri umani al rischio di una vita manipolata dall’alto da potenze tanto pervasive quanto incontrollate. Ha scritto Benjamin Barber: «Lo Stato nazione sta venendo meno su scala globale. Era una ricetta politica perfetta per la libertà e l’indipendenza di popoli e nazioni autonome. Ma è assolutamente inadatta per l’interdi-pendenza… sta perdendo la capacità di proteggere la libertà e l’uguaglianza di fronte alle dimensioni e alla complessità di un mondo interdipendente che corre più veloce del nazionalismo».
Quale dei grandi temi del nostro tempo, di quelli che mettono in gioco il destino dell’umanità, dalla pace all’ambiente, può essere affrontato in una dimensione di pura nazione? La sinistra del duemila deve tornare a farsi mondo, a operare per coniugare la coscienza orgogliosa della propria identità nazionale con la sperimentazione di audaci forme di governo democratico su scala sovranazionale. Pensiamo solo al potere straripante delle aziende globali, ormai poco più di cinque, che controllano ovunque il nostro sapere, la nostra salute, la nostra vita. Mai un potere simile è stato accumulato in così poche mani.
Se la democrazia non cercherà di armonizzare la meravigliosa rivoluzione che la tecnologia ha prodotto con una diversa e superiore — per possibilità e opportunità — qualità del vivere e del pluralismo essa soccomberà. Se la democrazia non inventerà nuove forme di partecipazione delle comunità alla decisione del proprio destino apparirà sempre più lontana e fredda.
La democrazia e la libertà non sono scontate. Cosa deve ancora accadere perché ci si renda conto che la minaccia è reale e vicina? Non basta ciò che è accaduto nel Campidoglio di Washington o nel Parlamento di Brasilia o quello che succede al dissenso in tanti paesi vicini o dentro l’Europa per far capire che il rischio della corrosione democratica è più alto che mai?
Ho scritto tante volte, in questi anni, quanto il combinato disposto delle tre crisi — sociale, pandemica, ambientale — unita all’annaspare delle istituzioni e della politica possa produrre un collasso della democrazia e una condizione, già sperimentata nella storia, di concezione della libertà come un bene che è possibile scambiare con declamate e mai realizzate virtù di decisione e di guida che le democrazie non sembrano poter assicurare.
Il veleno della delegittimazione delle istituzioni, che è stato veicolato senza resistenze dai populismi di vario tipo, ha prodotto l’humus favorevole al dato agghiacciante che abbiamo registrato due giorni fa: il sessanta per cento di astenuti da elezioni importanti in regioni sviluppate. Ma qui torniamo al tema. La sinistra che torna e quella che si camuffa non costituiscono una alternativa credibile alla destra che ha trovato, con Giorgia Meloni, una leader determinata. E non sarà delegittimando gli avversari e parlando solo di loro che si crescerà, lo si dovrebbe aver capito. (…)
La sinistra italiana deve recuperare ambizione. Il suo compito storico non è amministrare una minoranza da portare all’alleanza con chiunque pur di governare. La sinistra italiana in questi ultimi anni è stata in coalizione davvero con tutti i partiti, in combinazioni diverse, anche con quelli dei quali contestava persino la legittimità.
Lo ha fatto certamente per un antico e nobile riflesso di responsabilità. Ma all’opinione pubblica non è arrivato questo, semmai l’idea di una indissolubile tentazione a governare, comunque. Personalmente rimango dell’idea che aver dissolto, anche a colpi di scissioni, la cultura bipolare abbia fatto dei grandi danni. La destra che, con tutte le sue contraddizioni, l’ha comunque mantenuta nel tempo, non per caso prevale.
Se la sinistra si piega all’idea della sua subalternità, se accetta passivamente l’essere una minoranza, l’unica cosa che potrà fare è accettare il suo ridimensionamento e mettersi disperatamente alla ricerca di alleanze eterogenee che poi si dissolveranno come neve al sole. Sento affermazioni apodittiche circa la natura di “destra” di questo paese. Anche queste cose appartengono a un passato fatto di appartenenze. La verità è che i milioni di italiani restati a casa e anche una parte di quelli che sono andati a votare scelgono ciò che gli appare più giusto in quel momento. Non si appartiene, si sceglie.
L’opinione pubblica macina così, con la logica del consumo, leader e partiti. In pochi anni il paese è sembrato in mano a Berlusconi, Renzi, Grillo, Salvini. Regni durati poco. I milioni di astenuti, ormai quasi cronici, dovrebbero essere cercati, uno per uno. Si troveranno molti amici delusi, stanchi e magari vogliosi di ritrovare un entusiasmo perduto.
La sinistra che “torna” è destinata a ridimensionarsi. La sinistra che, al contrario, incarna i suoi valori nel mutato paesaggio storico ha possibilità di crescita che le consentiranno, poi, alleanze non eclettiche e programmaticamente bolse. Certamente se si smetterà di spararsi l’un con l’altro ogni giorno e si capirà che è come sparare nello specchio.
“Cura te ipsum” direi ora, lontano, e per sempre, da ogni ruolo ma con il cuore, alla sinistra italiana. È stato nei momenti di massima innovazione, con Berlinguer e alla nascita del Pd, che la sinistra italiana ha conquistato il consenso popolare più alto. Per dare solo un’idea: il Pd da solo prese nel 2008, in termini assoluti — quelli che bisognerebbe guardare per primi — lo stesso numero di voti che ha ottenuto nel 2022 alle elezioni politiche l’intera coalizione di centrodestra.
C’è bisogno non di altri partiti, ma di sinistra vera in Italia.
Mai come oggi. Ma la sinistra aperta, desiderosa di crescere, moderna e orgogliosa delle sue radici, inclusiva e autonoma, vicina alle persone, con un’idea di giustizia sociale, di ambiente e di vita comune davvero inedite. Aldo Schiavone, con il suo bel libro, spinge a cercare nuovo pensiero. Non a rimpiangere un tempo che non era meraviglioso e che, comunque, certo non tornerà mai più.
È, per me, questa la strada giusta.
Se si accetta con passività di essere una minoranza non c’è altra strada che cercare alleanze che andranno a sciogliersi come neve al sole. L’Italia non è di destra