Il mitico Schiavone, l’oculista di Veltroni

Concetto Vecchio La Repubblica 19 febbraio 2023
Schiavone “Alla sinistra servono occhiali nuovi.  E Marx va accantonato”
Sono addolorato dalla povertà del dibattito interno al Pd che non sa più leggere la società
I 5S? Tattici e di corto respiro. I Macaluso e i Di Vittorio stavano in mezzo agli ultimi con una visione alta, ma non succede più. Qui nessuno parla dei rider. jStorico e saggista Aldo Schiavone, 78 anni, docente universitario, già direttore dell’Istituto Gramsci dal 1980 all’89, autore di molti saggi, ha ora pubblicato Sinistra!(Einaudi)


Professor Aldo Schiavone, già direttore dell’Istituto Gramsci, perché ha scritto “Sinistra!”?
«Sono sconcertato dalla povertà del dibattito interno al Pd. Tutto è ridotto a tattica, a problemi di schieramento: campo largo, vocazione maggioritaria, rapporto con il M5S. alleanza con Calenda e Renzi. E si sentono formule che non significano niente».

Tipo?
«Tornare tra la gente, per esempio. Ma cosa vuol dire?».

Il Pd si può ancora salvare?
«È un dubbio legittimo pensare che sia ormai troppo tardi, ma il fuoco va fatto con la legna che si ha. Se si hanno ancora a cuore le sorti della sinistra non si può che ripartire dal Pd».

Molti a sinistra votano M5S.
«Mi convince ancor meno. L’M5S è completamemte privo di una base culturale, e mette in campo solo un tatticismo ancora più di corto respiro».

Perché la sinistra italiana non fa più sognare?
«Si è schiacciata sulla realtà così com’è. Non veder altro, tranne che il fantasma del socialismo, mai direttamente evocato, ma sempre presente nei retropensieri».

E non va bene?
«No, perché quella lettura del mondo non sta più in piedi. I presupposti su cui si fondava sono finiti».

E quindi il dramma è doppio?
«Proprio così».

Marx va accantonato?
«Marx è un gigante del nostro passato. Ma servono occhiali nuovi.

Marx sarebbe il primo a insegnarcelo». Nel libro sostiene che la sinistra deve vivere fuori dallo scontro di classe. Cosa intende?
«Che non esiste più la lotta di classe, che non è una legge generale della storia, ma l’esito di una condizione del tutto particolare, che si è realizzata poche volte nel cammino della modernità. La rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo ha spazzato via tutti i suoi presupposti.Questo avrebbe imposto alla sinistra un grande sforzo critico».

Dove si è sbagliato?
«Il Pd non ha più saputo leggere la società: e in particolare il cosiddetto mondo del lavoro».

Il Pd cos’è? Un partito radicale del 20 per cento?
«No, penso che sia ancora altro. Nel suo Dna persiste l’aspirazione ad essere un partito di massa. Ma deve fare uno sforzo culturale, di pensiero. Senza pensiero non c’è azione vincente»

Lei da dove partirebbe?
«Dalla critica alle strutture delle disuguaglianze che attraversano la società italiana».

La vera questione non è quella sociale?
«Sente mai un dirigente del Pd parlare dei rider? Parlare con cognizione dei nuovi lavori? Di come sia difficile organizzare politicamente la loro soggettività, visto che non sono certo il cuore del sistema produttivo. La difficoltà nasce anche da lì».

Nel Pd parlano soprattutto del Pd.
«C’è molta autoreferenzialità».

I Macaluso e i Di Vittorio stavano in mezzo agli ultimi, con una visione. Perché non succede più?
«Era un mondo diviso in classi. E c’era la prospettiva del socialismo, che motivava. Oggi è tutto molto più complicato».

Quel che manca è un pensiero nuovo, più radicale, ma anche adatto ai tempi?
«Sì, c’è un vuoto enorme. E senza pensiero non c’è speranza».

Le sezioni sono vuote.
«I partiti però servono ancora, anche se per un certo periodo ho pensato il contrario. Mi sbagliavo».

Servono a cosa esattamente?
«Sono necessari per formare e determinare il consenso popolare. E il Pd, nonostante i suoi mille difetti, e il prevalere delle correnti, è l’unico che cerca di mantenere un contatto con la base».

Fratelli d’Italia non è un partito?
«Molto personale, direi. Costruito attorno a Giorgia Meloni».

Condivide gli elogi fatti da Letta e Bonaccini?
«Sì, è una leader di tutto rispetto».

La destra è forte anche perché sa cos’è?
«Sì e no. La fermezza della leader si trasmette al corpo del partito. Ma manca la cultura per dire qualcosa al Paese».

In che senso?
«Da un lato pianta bandierine identitarie, dall’altro esercita una
politique d’abord, fornendo risposte sulla base delle emergenze».

La destra vince anche perché offre protezione?
«Sì, ma la esercita selettivamente: i balneari, gli autonomi. Non vedo una protezione del Paese».

Com’è nato il libro?
«Da una discussione in Einaudi, con il direttore Ernesto Franco e il presidente Walter Barberis. Era poco prima di Natale».

Non è stato tentato dalla politica?
«Nel 1985, da direttore del Gramsci, scrissi Per il nuovo Pci in cui affermavo che Marx non spiegava più la realtà. Non me lo perdonarono».

Poi con Veltroni segretario rientrò.
«Sì, in segreteria. Ma quando arrivò Bersani fummo mandati tutti a casa. Ho insegnato all’università, a Firenze. Sono in pensione».

Andrà a votare alle primarie?
«Sì, ma non so ancora per chi»

Come non lo sa?
«Forse annullo la scheda. Tra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, a parte i diversi dati biografici, non ravviso differenze politiche».

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