L’austerità dei patrioti tra immobili e automobili

Massimo Giannini La Stampa 19 febbraio 2023
 
L’austerità dei patrioti tra immobili e automobili
Se è vero che la casa è “una macchina per abitare”, come sosteneva Le Corbusier, allora si può davvero dire che nei suoi primi cento giorni Giorgia Meloni ha abbattuto un totem e violato un tabù, andando a colpire i due archetipi della way of life italiana.

Il grande maestro dell’Esprit Nouveau parlava di “macchina” in senso più esteso, secondo i criteri funzionalisti della nuova “modernità degli ingegneri” che in quella parola condensava oggetti diversi, dall’automobile al piroscafo all’aeroplano.

Ma il senso è lo stesso. Prima il colpo di spugna sugli sgravi fiscali per benzina e diesel introdotti dal governo Draghi nel marzo 2022, che ha innescato la piccola Vandea di 22 mila distributori e la grande delusione di 39 milioni di automobilisti.

Adesso il colpo di piccone sul Superbonus edilizio varato dal governo Conte nel maggio 2020, che accende la rabbia di un milione di famiglie e mette a rischio la sopravvivenza di 25 mila aziende. Il Belpaese ha costruito e raccontato se stesso attraverso il “mito bifronte” e futurista delle macchine e degli immobili. Il nostro miracolo economico, già prima della Seconda Guerra Mondiale e soprattutto dopo, poggia su questa epopea in cui si fondono “Gli automobili famelici, belve sbuffanti” di Marinetti e “La speculazione edilizia” di Calvino. L’Autostrada del Sole e la Fiat 600, due camere e cucina e il mutuo in banca. Il risultato non è solo uno Zeitgeist, ma un modello di sviluppo, insieme fragile e forte.

Sull’asfalto italiano circolano più di 53 milioni di veicoli, tra autovetture e motocicli, bus e autocarri: un parco ancora troppo senescente, più fossile che elettrico. E quasi 19 milioni di famiglie sono proprietarie della casa in cui vivono, più altri 5,2 milioni che stanno in affitto.

I Fratelli d’Italia al potere hanno osato, mettendo le mani sui due beni più cari alla Nazione. Smentendo se stessi, ancora una volta, com’è già capitato con la Legge di bilancio e con l’abolizione del Pos, con il decreto anti-rave e la ratifica del Mes.

Dopo il requiem sulla cessione dei crediti fiscali e sugli sconti in fattura al 110%, sul Web circola un tweet meloniano, datato 17 settembre 2022: “#Pronti a tutelare i diritti del Superbonus e a migliorare le agevolazioni edilizie.

Sempre dalla parte delle imprese e dei cittadini onesti che si danno da fare per far crescere e migliorare l’Italia”. Era campagna elettorale, alla vigilia del voto, eppure pare già un’altra era geologica. Oggi che Meloni governa, che ne sarà dei “diritti del Superbonus”, dei cittadini che l’hanno richiesto, delle imprese che hanno aperto i cantieri, delle banche che hanno concesso i crediti fiscali, degli enti locali che li hanno acquisiti? E che ne sarà dei doveri di chi guida e produce automobili che oltretutto, secondo una direttiva europea appena approvata, dal 2035 dovranno dismettere definitivamente benzina e gasolio? Domande cruciali, che interrogano rapporti trasversali.

Tra il cittadino e lo Stato. Tra lo Stato e l’Europa. Tra la maggioranza politica e la sua base elettorale. Tra gli alleati della stessa maggioranza. Per questo Giuliano Ferrara suggerisce alla presidente del Consiglio prudenza nel maneggiare certi italici miti: se destabilizzi le quattroruote e incappotti ecologicamente la casa con obblighi eco-costosi, senza più il credito all’incentivo magico del centodieci per cento, “hai fatto un tiro mancino all’insieme dell’economia e della politica”. Il Superbonus è infatti materia incandescente, sulla quale in teoria hanno tutti ragione.

Ha ragione lo Stato, che finora ha speso 72 miliardi per coprire i crediti fiscali e se li ritroverà tutti sulle spalle come maggior debito pubblico. Ma hanno ragione anche le famiglie e le imprese, che all’epoca del contiano “Decreto Ristori” uscito in piena pandemia hanno beneficiato dell’incentivo, ideato per ridare fiato all’economia reale e avviare l’ammodernamento del patrimonio immobiliare rispetto agli standard ecosostenibili concordati da tutti gli Stati membri.

Adesso i nodi vengono al pettine. C’è l’evidenza giuridica che le norme sono incomprensibili e la certezza contabile che i costi sono ingestibili. Ma se ora lo Stato recede, come è forse necessario, rompe comunque un patto fiduciario sottoscritto a suo tempo con il cittadino. La reazione è scontata: io ho creduto in te, tu mi hai tradito. È a suo modo uno strappo alle regole civiche e democratiche. E ne ricorda altri. La tassazione sui depositi bancari che Amato decise in una notte buia del terribile 1992. La riforma delle pensioni introdotta da Dini nel 1995.

La legge Fornero approvata da Monti nel 2011. Saltare indenni in questo ennesimo cerchio di fuoco non sarà facile. Come per la benzina e l’auto green, c’è in gioco la coesione interna alla coalizione e il consenso di constituency politico-elettorali ancorate alla destra e alle sue vecchie passioni ideologiche. Per un ministro finto-leghista come Giorgetti – che dice «abbiamo dovuto bloccare una misura scellerata, che ha dato benefici ad alcuni ma ha posto a carico di ciascuno un debito di 2 mila euro» – c’è un Capitan Salvini che oggi fischietta, ma un anno fa sbraitava «il Superbonus è fondamentale per l’edilizia e stiamo lavorando per aumentare la cessione del credito».

E c’è un Cavalier Berlusconi che ripete da anni «la casa non si tocca», e adesso reclama un vertice di maggioranza per discutere del blitz sul 110%. L’imbarazzo è tangibile. I manganellatori mediatici, al lavoro sui giornali d’area, picchiano duro sui compagnucci del “Gabinetto giallorosso”, e scaricano la colpa di aver gonfiato questa bolla immobiliare su Conte, Zingaretti e Gualtieri. Ma ora che “l’esecutivo dei Patrioti” l’ha fatta esplodere, chi paga il conto se non il solito popolo bue? Meloni, dopo il successo delle regionali, deve aver maturato una convinzione. La sua leadership si è rafforzata, l’Italia è ancora in luna di miele, i dati macroeconomici sono confortanti. Confindustria con il prezzo del gas sceso a 50 euro è convinta che eviteremo la recessione.

La Ue ci assegna una stima di crescita dello 0,8%, più di Francia e Germania. L’Istat registra un boom dell’export a 625 miliardi, anche in questo caso più dei partner franco-tedeschi. È il momento per fare le pulizie di inizio stagione e azzardare qualche scelta impopolare. Se non approfitta di questa finestra temporale ancora propizia, dopo il governo non avrà più uno spazio fiscale per investire sulla ripresa, ma solo pochi spiccioli per saldare qualche misera cambiale con le corporazioni più arrabbiate, dai tassisti ai balneari.

Questo vuol dire Giorgetti, quando avverte «se non fossi intervenuto sulla cedibilità dei crediti d’imposta immobiliari, sarei stato costretto a rinunciare al rinnovo di qualunque misura sociale». Complice il ricalcolo già annunciato da Eurostat, il debito e il deficit pubblico di questi ultimi tre anni saranno più alti di quelli stimati dalla Nadef. La coperta delle risorse pubbliche si fa ancora più corta. E per questo bisogna tagliare ancora, dove si può. È la vera sorpresa-Meloni: una premier tuttora più draghiana di Draghi. Le accise sui carburanti Supermario le aveva ridotte, e Giorgia le ha rialzate. Il Superbonus sulle case lui era riuscito solo a criticarlo, mentre lei ha avuto il coraggio di cancellarlo.

Nell’insieme, con il nuovo governo stiamo sperimentando molta più austerità di quel che sembra. Austerità che la Sorella d’Italia esecrava quando era all’opposizione, e che ora pratica a Palazzo Chigi. Secondo Giampaolo Galli l’obiettivo di deficit dei prossimi tre anni è tra i più restrittivi di sempre. L’abbattimento è di 2,6 punti (dal 5,6% del Pil nel 2022 al 3 nel 2025). Più del triennio della cura Monti, quando calò di 1,3 punti (dal 4,2% del 2010 al 2,9 del 2012). Gli italiani non lo percepiscono ancora, per effetto della cosiddetta illusione monetaria. Ma per stare al passo con l’inflazione la spesa pubblica avrebbe dovuto aumentare di 41 miliardi nel 2022, 84 miliardi nel 2023 e oltre 100 miliardi nel 2025 (“Osservatoriocpi.unicatt.it”).

Vedremo come si comporterà il governo, di fronte alle richieste di adeguamento al carovita degli stipendi pubblici, del Servizio sanitario nazionale, dei trasferimenti agli enti locali. Forse l’addio al Superbonus nasce anche da qui, cioè dalla necessità di mettere un po’ di fieno in cascina per far fronte alle esigenze di cassa, come sembra far capire Giorgetti. Sta di fatto che solo tra il 2022 e il 2023 la spesa pubblica al netto dell’inflazione è stata già falcidiata di quasi 100 miliardi.

Una cifra da lacrime e sangue. Possiamo compiacerci per questa attenzione al vincolo esterno mostrata finora dai “nazional-conservatori del terzo partito della Fiamma”, come li chiama Salvatore Vassallo (“Fratelli di Giorgia”, il Mulino).

Ma c’è da chiedersi quanto può reggere il “Fronte del rigore”, estraneo alla tradizione statalista e anti-europeista dalla quale quel partito proviene e della quale si è nutrito per anni. Una linea del genere, alla lunga, può produrre due fratture possibili. La prima frattura è con l’elettorato: se le politiche di austerità dovessero produrre altri strappi, dopo quelli delle accise e del Superbonus, la base di consenso del governo ne risentirebbe sicuramente, considerando anche l’esasperato picco di astensionismo e l’invariato bacino di voti delle tre destre nel Lazio e in Lombardia.

La seconda frattura è con l’Europa: se le politiche di austerità dovessero risultare ingestibili sul piano socio-economico, il governo riaprirebbe sicuramente le ostilità con Bruxelles, tornando allo storytelling eurofobico del buon tempo antico, a partire dalla direttiva sull’auto green fino ad arrivare alla riforma del Patto di Stabilità. E così, per vie traverse, torniamo a Le Corbusier, che per spiegare l’essenza delle sue teorie funzionaliste scriveva: «Non abbiamo più soldi per dare un assetto ai ricordi della Storia…». Lui parlava dei costosi deliri decorativi di una certa architettura novecentesca europea. Noi parliamo dei velleitari propositi sovranisti di una certa destra italiana.

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