La Cina ha una soluzione, ma il suo ruolo da fastidio

Bernard Guetta La Repubblica 21 febbraio 2023
Ucraina, l’opzione cinese
La Cina potrebbe ottenere tre benefici, se il piano di pace che intende presentare alla fine della settimana aprisse davvero la prospettiva di una soluzione in Ucraina.

 

Pechino scongiurerebbe una brusca frenata degli scambi internazionali che avrebbe gravi ripercussioni sia sulla sua economia sia sulla sua stabilità politica. Per Pechino la posta in gioco è sostanziale, ma non è tutto.
Se riuscisse a far tacere le armi in Europa, la Cina allo stesso tempo si alzerebbe al rango di potenza importante – secondo beneficio – non più soltanto economica e militare, ma anche politica.

Il suo ascendente internazionale ne uscirebbe rafforzato in modo così considerevole che – terzo beneficio – dal primo quarto di questo secolo si collocherebbe allo stesso livello degli Stati Uniti, diventando la seconda di due superpotenze. Questo significa che il capo della sua diplomazia, Wang Yi, ha dato inizio a una nuova partita la settimana scorsa, recandosi prima a Parigi, poi alla Conferenza di Monaco e oggi parte alla volta di Mosca. Quali carte ha in mano la Cina? Non potrà imporre niente a nessuno e di sicuro non potrà farlo dall’oggi al domani. È anche possibile che in un primo tempo non ci riesca. Non è neanche impossibile che decida pertanto di intensificare il suo riavvicinamento con il Cremlino. In ogni caso, oltre che agire nel suo interesse, la Cina ha due importanti assi nella manica.

Il primo è la possibilità di esercitare una pressione decisiva su Vladimir Putin. La Cina può non soltanto minacciare di isolarlo sulla scena internazionale condannando l’aggressione all’Ucraina, ma può anche infliggere gravi danni all’economia russa non comprando più il petrolio di sua produzione che l’Europa ha sottoposto a embargo. Il presidente russo, in altre parole, non può ignorare l’unico alleato che ha al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e tanto meno può farlo ora che il piano di pace cinese – opportunamente oggetto di una fuga di notizie a grandi linee lo scorso fine settimana – è meritevole di attenzione per tutte le parti in causa.

Da un lato, i cinesi vogliono rammentare il rispetto dei principi dell’Onu e, di conseguenza, l’integrità territoriale degli Stati. Se le parole hanno un significato, questo vuol dire che, per la Cina, la Russia dovrebbe ritirarsi dall’intero territorio ucraino, Crimea inclusa. È comprensibile che gli ucraini si rallegrino per l’entrata in scena della Cina ma, dall’altro lato, la diplomazia cinese ribadisce che non si può fare nulla senza garantire gli “interessi per la sicurezza” della Russia.
Così facendo, i cinesi legittimano i motivi che avrebbero spinto Vladimir Putin a entrare in guerra quando, in verità, era mosso soltanto da mire imperialistiche. Meglio ancora: i cinesi gli offrono un modo per salvarsi la faccia ottenendo nuove garanzie che gli permetterebbero di giustificare il ritiro dall’Ucraina, se non una rinuncia alla Crimea.

Chiaramente, tutto si giocherà sulla questione della sicurezza: infatti, quali garanzie potrebbe ottenere la Russia – e da chi? – e chi potrebbe in cambio garantire qualcosa all’Ucraina, che non è l’aggressore bensì l’aggredito?

Si capisce distintamente a cosa potrebbero portare le trattative dietro le quinte e poi i negoziati ufficiali. L’Ucraina potrebbe rinunciare a unirsi all’Alleanza Atlantica e dichiararsi neutrale ma ottenere la promessa di essere difesa militarmente dalle più grandi potenze militari occidentali, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e, forse, Polonia. Non è del tutto casuale che in molte capitali coinvolte si stia parlando sempre più spesso delle condizioni di tale protezione.

Something is cooking , qualcosa bolle in pentola, ma non si potrà realizzare nulla di concreto senza che un accordo di pace si inquadri, alla fine, nella definizione di una stabilità continentale basata su garanzie e vincoli uguali imposti a tutti, da Lisbona a Vladivostok. Si potrà uscire da questa guerra soltanto con un intervento dall’alto. Come la Francia, i cinesi l’hanno capito, ma ancora non ci siamo.
Traduzione di Anna Bissanti

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