Lorenzo Lamperti il Manifesto 22 febbraio 2023
La Via della Pace cinese: sicurezza per tutti. A partire da Pechino
Presentato il concept paper della Global Security Initiative. Al centro il contrasto all’«egemonismo» Usa e il rispetto delle sovranità nazionali, con un occhio a Taiwan, «che non sarà la prossima Ucraina»
Vladimir Putin parla da Mosca, Joe Biden da Varsavia. La Cina prova a ergersi sui contendenti, mostrandosi come la forza in grado di garantire pace e stabilità. E lo fa presentando il concept paper sulla Global Security Initiative (Gsi), l’antipasto della «proposta di pace» sull’Ucraina che verrà presentata nei prossimi giorni. La Gsi è il nuovo progetto «gemello» della Belt and Road, lanciato lo scorso anno da Xi Jinping.
Se la Via della Seta guarda soprattutto al commercio, con la Gsi la Cina si erge a garante della stabilità, soprattutto presso il cosiddetto “Sud globale”. Non a caso diversi paragrafi del testo sono dedicati ad Africa, Sud-Est asiatico, isole del Pacifico e America latina. «I nostri tempi e la nostra storia stanno cambiando come mai prima d’ora e la comunità internazionale si trova ad affrontare molteplici rischi e sfide raramente visti prima», recita l’introduzione del documento.
LE PRINCIPALI MINACCE individuate dalla Cina sono «unilateralismo e protezionismo», di cui da tempo Pechino accusa gli Stati uniti. L’obiettivo della Gsi è «eliminare le radici alla causa dei conflitti internazionali». In che modo? Seguendo un «approccio olistico» in cui va sostenuto un concetto di «sicurezza comune, che rispetti e salvaguardi la sicurezza di ogni paese». Frase più volte usata dall’inizio della guerra e applicata anche ai lanci di missili della Corea del nord.
L’implicito è chiaro: Washington e l’occidente non possono arrogarsi l’esclusiva di una sicurezza «giusta» che non prenda in considerazione la prospettiva degli attori estranei ai canoni di «democrazia liberale».
Il concept paper chiede anche il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i paesi, principio apprezzato e sottolineato dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba in conferenza stampa con l’Alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell (che ha dichiarato che la Cina gli ha garantito che non invierà armi a Mosca) e il ben più scettico segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.
In un altro documento pubblicato dal ministero degli Esteri, che va letto a completamento del precedente, la Cina critica invece «l’egemonismo» che gli Usa continuerebbero a perseguire su diversi fronti: politico, militare, economico, tecnologico e culturale. Una mentalità che, nella prospettiva e retorica cinesi, rappresenta il maggiore rischio alla stabilità globale. La Cina ribadisce la richiesta a non «gettare benzina sul fuoco» dei conflitti. Cosa che secondo Pechino ha fatto Joe Biden col suo viaggio a Kiev e il suo duro discorso su Vladimir Putin pronunciato a Varsavia.
Presentando il documento sulla Gsi, il ministro degli Esteri Qin Gang ha chiarito la visione olistica della sicurezza globale cinese, sottolineando che lo sviluppo della Cina non può prescindere da un ambiente internazionale stabile. Ma che, allo stesso modo, senza la sicurezza della Cina non ci sarà sicurezza globale.
DA QUI LA RICHIESTA alla comunità internazionale di smettere di sostenere che Taiwan sarà la prossima Ucraina. Nell’ottica di Pechino, lo status quo dello Stretto è una questione interna su cui non dovrebbero esserci interferenze. Nonostante ieri la presidente taiwanese Tsai Ing-wen abbia dichiarato di fronte a una delegazione statunitense che Taipei sta rafforzando i legami militari con gli Usa.
A Mosca, intanto, Wang Yi ha incontrato il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev. Il massimo diplomatico cinese ha incassato il sostegno russo su Taiwan e Hong Kong. Per la Cina è essenziale, in linea con quanto detto anche da Emmanuel Macron, che la Russia non venga umiliata.
Per Pechino sarebbe importante arrivare a un negoziato di pace il più presto possibile, per salvare gli equilibri ed evitare lo spauracchio di una caduta di Putin, che priverebbe Xi di un partner sempre più dipendente da lui e dunque di un possibile asset da utilizzare a livello politico. Il timore cinese è però che gli Usa vogliano arrivare fino in fondo. Trascinando nella logica di contrapposizione tra blocchi anche Pechino.