Francesco Olivo La Stampa 22 febbraio 2023
Zelensky, schiaffo a Berlusconi. Choc nella maggioranza, il Cavaliere contrattacca: “Sono stato sfollato anche io”
Il leader di FI: «Ho vissuto la guerra. Zelensky sbaglia a non trattare la pace». I fedelissimi: «La premier non l’ha difeso». Asse con Salvini contro l’invio dei jet
Quando ascolta le frasi di Volodymyr Zelensky Silvio Berlusconi si infuria. E quando nota che accanto a lui c’è Giorgia Meloni si secca. Il primo l’ha offeso, persino nei suoi ricordi, la seconda non l’ha difeso. Quei commenti sprezzanti del leader ucraino sono vissuti come un’ingiustizia, politica, ma soprattutto personale, biografica. La prima reazione è netta: «Basta con queste continue provocazioni», dice di getto.
E poi passa al contrattacco, rispolverando i ricordi di infanzia: «Al contrario di quanto dice questo signore, io ho conosciuto l’orrore della guerra – spiega ai suoi collaboratori – sono stato sfollato con la mia famiglia». E quindi «per questo sono preoccupato, chiedo che si smetta con la guerra e si lavori per la pace, il rischio dell’escalation nucleare è alto». Il giudizio su Zelensky, insomma, non è cambiato rispetto alle esternazioni di dieci giorni fa fuori dal seggio: «Sbaglia a non sedersi al tavolo della pace».
Chi lo ha sentito nella serata di ieri ha fatto fatica a contenerne l’ira e a stento i suoi lo hanno convinto a non scrivere i brutti pensieri in una nota ufficiale. Eppure Berlusconi è certo di interpretare una parte maggioritaria dell’opinione pubblica. La rabbia, insomma, è grande. Ma tra i forzisti ieri sera emergeva anche un sentimento di delusione verso l’atteggiamento della premier.
Meloni, oltre ad aver tradotto la domanda più insidiosa, non ha affatto smentito le frecciate del suo interlocutore e in un secondo momento si è limitata a ribadire la linea di sempre: gli alleati hanno votato tutto quello che si doveva votare e quindi fine della discussione. Nemmeno una parola, però, nota più di un berlusconiano, sulle intemerate di Zelensky verso quello che la stessa Meloni ha definito pochi giorni fa «il più grande ministro degli Esteri che l’Italia potesse avere». Anche perché l’attacco, sempre secondo i fedelissimi di Arcore, era prevedibile, visto che poche ore prima del presidente, l’ambasciatore ucraino in Italia Yaroslav Melnyk, aveva rilasciato in un’intervista all’Ansa, dove aveva definito «inaccettabili», le parole di Berlusconi.
Il punto di vista di Fratelli d’Italia, neanche a dirlo, è opposto. Nessuno si dice sorpreso delle frasi di Zelensky sul Cavaliere. Secondo fonti autorevoli del partito, il viaggio a Kiev e la stessa conferenza stampa nel palazzo presidenziale rafforzano la posizione di Meloni anche rispetto agli alleati. La scena della premier accanto al leader ucraino, infatti, le consegnano un ruolo imprescindibile agli occhi dei partner occidentali: più Salvini e Berlusconi si mostrano inaffidabili, più Meloni diventa la chiave dell’ancoraggio atlantico dell’Italia. Dentro Fratelli d’Italia si ricorda quel giorno di agosto quando Meloni diede un mandato ai suoi dirigenti, Giovabattista Fazzolari e Raffaele Fitto, che dovevano scrivere il programma di coalizione con gli alleati: «Il primo punto deve essere il sostegno all’Ucraina. Se non c’è quello, non c’è nemmeno il resto». Oggi, quella richiesta consente alla premier di poter dire agli ucraini: «La maggioranza ha un programma e ci atteniamo a quello».
A dire il vero gli alleati, almeno fino alle frasi di Zelensky, si erano mostrati disciplinati. L’ordine di scuderia è silenzio, discrezione e rispetto: la premier teneva troppo a questo viaggio e ogni frase fuori dalla linea ufficiale poteva essere letta come volontà di indebolirne la posizione. Eppure non è un mistero che Lega e Forza Italia abbiano posizioni diverse. Lealtà, ma con dei limiti. Una linea rossa c’è: l’invio di aerei da guerra. Mandare dei jet che, potenzialmente, potrebbero operare incursioni sul territorio nemico sarebbe un’altra cosa e lì i distinguo potrebbero non essere più soltanto retorici.
La strategia del governo su questo punto non è chiarissima. Antonio Tajani in un’intervista a La Stampa ha definito «praticamente impossibile», il prestito dei caccia italiani a Kiev. Mentre il suo sottosegretario Edmondo Cirielli, di FdI, parlando con Il Messaggero, si è detto favorevole all’invio dei bombardieri italiani Fmx. Versioni discordanti che fanno aumentare le tensioni. Le frasi di Meloni non sembrano sciogliere i dubbi: «Al momento non c’è sul tavolo l’invio di caccia. Ma tutte le armi date a un Paese invaso sono difensive».
Come Meloni ha ricordato, negli atti formali Lega e Forza Italia ci sono sempre state, anche durante il governo Draghi. Ma questo non vuol dire che i malumori saranno tenuti sepolti per sempre. Anche i berlusconiani più diffidenti verso le sparate filorusse fanno questo ragionamento: Meloni ha bisogno di accreditarsi all’estero come leader credibile e per farlo si sta affidando agli americani senza troppi filtri, mostrandosi disponibile ad esaudire ogni richiesta. Questo atteggiamento, secondo gli alleati, comporta dei rischi: «Cosa succederà quando ci chiederanno anche gli aerei?».
Un dibattito che potrebbe trasferirsi in una sede non solo accademica. C’è un decreto da scrivere, ma non da votare e per Meloni è meglio così.