Anna Zafesova La Stampa 23 febbraio 2023
Il doppio gioco del Cremlino, tra minacce e trattative segrete
Kiev mette in guardia su un piano per assaltare l’aeroporto di Chisinau
Dopo essere rimasto emarginato in una bolla per quasi un anno, il Cremlino negli ultimi giorni sembra voler rientrare nel grande gioco della diplomazia internazionale, giocando apparentemente su due piani, quello più clamoroso e pubblico, e quello più nascosto, di negoziati lontano dai riflettori sul misterioso «piano di pace cinese». Mentre a Mosca arriva il più altolocato emissario di Pechino in un anno di guerra, Vladimir Putin in diretta televisiva «sospende» il New Start, l’ultimo trattato sul disarmo che lo vincolava a rispettare dei vincoli in materia di sicurezza nucleare. E da Chisinau si alza l’allarme per un attacco russo contro la Moldavia, che aprirebbe un fronte totalmente nuovo nella guerra che il Cremlino conduce per ricostruire il suo impero nell’Est Europa. Un decreto del presidente russo infatti ha «cancellato» il suo precedente editto «sui principi della politica estera della Federazione Russa», tra i quali figurava anche l’impegno a garantire l’integrità territoriale della Moldavia. E ieri il primo ministro moldavo Dorin Recean ha rivelato l’esistenza di piani russi per prendere d’assalto l’aeroporto della capitale Chisinau per usarlo come testa di ponte per una nuova invasione. Perché la Moldavia confina con l’Ucraina a sud-ovest, e possiede una regione secessionista filo Mosca, la Trasnistria, che dal 1992 è una sorta di Donbass, il primo «conflitto congelato» della storia post-sovietica.
Ora la Russia sembra prepararsi a scongelare l’enclave al confine con l’Ucraina, dove è di stanza un migliaio di soldati russi, e Recean sostiene che quello del blitz all’aeroporto «non è l’unico scenario di destabilizzazione esistente». La presidente proeuropea Maia Sandu ha confermato di aver ricevuto da Volodymyr Zelensky informazioni dell’intelligence ucraina sui piani di Mosca di creare una crisi in Moldavia, che in caso di successo permetterebbe ai russi di invadere per colpire Odessa alle spalle, dopo che il pericolo di un attacco russo dal mare è stato allontanato dalla controffensiva ucraina in autunno. Resta la domanda su quanto Putin abbia il potenziale militare e politico per attaccare un altro Paese indipendente, e su quanto abbia bisogno, prima di farlo, di cancellare pubblicamente i suoi impegni diplomatici: è vero che il presidente russo è laureato in legge, ma quando ha deciso di attaccare l’Ucraina non si è fatto problemi di vincoli giuridici, tra cui il memorandum di Budapest che lo faceva garante della sua sovranità e integrità.
Secondo il politologo Abbas Galyamov, la decisione improvvisa di sospendere il trattato sul disarmo nucleare – che non figurava in nessuna delle indiscrezioni alla vigilia del discorso al parlamento – è stata presa da Putin, che ha aggiunto di persona questo passaggio all’ultimo momento come ripicca per la visita di Joe Biden a Kyiv. È possibile che la minaccia nucleare venga considerata dal Cremlino ormai l’unica che possa spingere gli occidentali a trattare con Putin. Ma è possibile anche che, dopo aver giocato una carta così importante, il leader russo abbia deciso di cancellare la sua dottrina diplomatica per riscriverla totalmente: infatti, soltanto ieri l’ambasciatore russo a Londra tranquillizzava che l’attuale dottrina russa non permetterebbe di ricorrere alla bomba atomica contro l’Ucraina.
Una decisione strategica che però sarebbe in contraddizione con il tono generalmente prudente del discorso di Putin, che ha deluso i suoi falchi non annunciando un nuovo sforzo bellico. E che potrebbe venire criticata non soltanto da Occidente, ma anche da Oriente: proprio ieri il presidente russo ha incontrato Wang Yi, il responsabile della politica estera del partito comunista cinese, arrivato a Mosca a presentare il misterioso piano di pace proposto da Pechino. Nessuna notizia è trapelata sul contenuto delle proposte per un compromesso, e nelle sue poche dichiarazioni pubbliche Wang è stato estremamente evasivo, proponendo perle di saggezza orientale come «le crisi offrono delle opportunità che a loro volta possono generare una crisi». Non si sa per ora cosa la Cina voglia fare, ma ieri ha chiarito quello che non vuole fare: inviare «aiuti letali» a Mosca, ipotesi negata dal portavoce del ministero degli Esteri Wang Weibin. Il Cremlino avrebbe chiesto con insistenza armi cinesi, ma Xi Jinping ha preferito inviare un suo altolocato emissario con una mediazione di pace. Che mette Putin in una situazione difficile: se accettasse confermerebbe la sua dipendenza da Pechino, se rifiutasse rischierebbe di mettersi contro Xi Jinping, pressato da Washington per abbandonare la sua apparente neutralità. Nella prospettiva di uno spazio postsovietico che rischia di venire completamente ridisegnato dalla guerra, anche la Cina è di fronte a un dilemma: sfidare l’Occidente a fianco di un leader probabilmente destinato a perdere, oppure aiutare gli Usa a gestire il conflitto qualificandosi definitivamente come l’«altra» superpotenza al posto della Russia.
Il doppio gioco del Cremlino, tra minacce e trattative segrete
Anna Zafesova La Stampa 23 febbraio 2023
Il doppio gioco del Cremlino, tra minacce e trattative segrete
Kiev mette in guardia su un piano per assaltare l’aeroporto di Chisinau
Dopo essere rimasto emarginato in una bolla per quasi un anno, il Cremlino negli ultimi giorni sembra voler rientrare nel grande gioco della diplomazia internazionale, giocando apparentemente su due piani, quello più clamoroso e pubblico, e quello più nascosto, di negoziati lontano dai riflettori sul misterioso «piano di pace cinese». Mentre a Mosca arriva il più altolocato emissario di Pechino in un anno di guerra, Vladimir Putin in diretta televisiva «sospende» il New Start, l’ultimo trattato sul disarmo che lo vincolava a rispettare dei vincoli in materia di sicurezza nucleare. E da Chisinau si alza l’allarme per un attacco russo contro la Moldavia, che aprirebbe un fronte totalmente nuovo nella guerra che il Cremlino conduce per ricostruire il suo impero nell’Est Europa. Un decreto del presidente russo infatti ha «cancellato» il suo precedente editto «sui principi della politica estera della Federazione Russa», tra i quali figurava anche l’impegno a garantire l’integrità territoriale della Moldavia. E ieri il primo ministro moldavo Dorin Recean ha rivelato l’esistenza di piani russi per prendere d’assalto l’aeroporto della capitale Chisinau per usarlo come testa di ponte per una nuova invasione. Perché la Moldavia confina con l’Ucraina a sud-ovest, e possiede una regione secessionista filo Mosca, la Trasnistria, che dal 1992 è una sorta di Donbass, il primo «conflitto congelato» della storia post-sovietica.
Ora la Russia sembra prepararsi a scongelare l’enclave al confine con l’Ucraina, dove è di stanza un migliaio di soldati russi, e Recean sostiene che quello del blitz all’aeroporto «non è l’unico scenario di destabilizzazione esistente». La presidente proeuropea Maia Sandu ha confermato di aver ricevuto da Volodymyr Zelensky informazioni dell’intelligence ucraina sui piani di Mosca di creare una crisi in Moldavia, che in caso di successo permetterebbe ai russi di invadere per colpire Odessa alle spalle, dopo che il pericolo di un attacco russo dal mare è stato allontanato dalla controffensiva ucraina in autunno. Resta la domanda su quanto Putin abbia il potenziale militare e politico per attaccare un altro Paese indipendente, e su quanto abbia bisogno, prima di farlo, di cancellare pubblicamente i suoi impegni diplomatici: è vero che il presidente russo è laureato in legge, ma quando ha deciso di attaccare l’Ucraina non si è fatto problemi di vincoli giuridici, tra cui il memorandum di Budapest che lo faceva garante della sua sovranità e integrità.
Secondo il politologo Abbas Galyamov, la decisione improvvisa di sospendere il trattato sul disarmo nucleare – che non figurava in nessuna delle indiscrezioni alla vigilia del discorso al parlamento – è stata presa da Putin, che ha aggiunto di persona questo passaggio all’ultimo momento come ripicca per la visita di Joe Biden a Kyiv. È possibile che la minaccia nucleare venga considerata dal Cremlino ormai l’unica che possa spingere gli occidentali a trattare con Putin. Ma è possibile anche che, dopo aver giocato una carta così importante, il leader russo abbia deciso di cancellare la sua dottrina diplomatica per riscriverla totalmente: infatti, soltanto ieri l’ambasciatore russo a Londra tranquillizzava che l’attuale dottrina russa non permetterebbe di ricorrere alla bomba atomica contro l’Ucraina.
Una decisione strategica che però sarebbe in contraddizione con il tono generalmente prudente del discorso di Putin, che ha deluso i suoi falchi non annunciando un nuovo sforzo bellico. E che potrebbe venire criticata non soltanto da Occidente, ma anche da Oriente: proprio ieri il presidente russo ha incontrato Wang Yi, il responsabile della politica estera del partito comunista cinese, arrivato a Mosca a presentare il misterioso piano di pace proposto da Pechino. Nessuna notizia è trapelata sul contenuto delle proposte per un compromesso, e nelle sue poche dichiarazioni pubbliche Wang è stato estremamente evasivo, proponendo perle di saggezza orientale come «le crisi offrono delle opportunità che a loro volta possono generare una crisi». Non si sa per ora cosa la Cina voglia fare, ma ieri ha chiarito quello che non vuole fare: inviare «aiuti letali» a Mosca, ipotesi negata dal portavoce del ministero degli Esteri Wang Weibin. Il Cremlino avrebbe chiesto con insistenza armi cinesi, ma Xi Jinping ha preferito inviare un suo altolocato emissario con una mediazione di pace. Che mette Putin in una situazione difficile: se accettasse confermerebbe la sua dipendenza da Pechino, se rifiutasse rischierebbe di mettersi contro Xi Jinping, pressato da Washington per abbandonare la sua apparente neutralità. Nella prospettiva di uno spazio postsovietico che rischia di venire completamente ridisegnato dalla guerra, anche la Cina è di fronte a un dilemma: sfidare l’Occidente a fianco di un leader probabilmente destinato a perdere, oppure aiutare gli Usa a gestire il conflitto qualificandosi definitivamente come l’«altra» superpotenza al posto della Russia.