Tutte le divisioni che impediscono la trattativa. E quindi, avanti con la guerra

Giuseppe Sarcina Corriere della Sera 23 febbraio 2023
Gli Usa sicuri: ora la Cina si è posizionata con la Russia. L’«ultimo tentativo» per dissuadere Xi e i dubbi sulla Crimea
Dopo quattro giorni di discorsi, gesti simbolici e rinnovate promesse tra Kiev e Varsavia, il presidente degli Stati Uniti Biden riparte da due questioni: riagganciare i cinesi e mantenere compatto il blocco occidentale

 

Joe Biden, semplificando, ora ha due problemi: riagganciare i cinesi; mantenere compatto il blocco occidentale e intatto l’appoggio internazionale alla resistenza ucraina. Il presidente americano riparte da qui, dopo la quattro giorni di discorsi, gesti simbolici e rinnovate promesse tra Kiev e Varsavia.

Sabato 18 febbraio, il Segretario di Stato Antony Blinken ha visto il plenipotenziario per la politica estera cinese, Wang Yi , a margine della Conferenza per la sicurezza di Monaco. L’incontro è andato male, anzi malissimo.

Secondo fonti dell’Amministrazione, Blinken avrebbe proposto all’interlocutore di riprendere un confronto «costruttivo», dopo la crisi dei palloni-spia. Al primo posto dell’agenda, la guerra in Ucraina. I servizi segreti americani sospettano che la Cina stia fornendo a Putin materiale utile per il conflitto sul campo. Al momento non sappiamo ancora che cosa abbia esattamente in mano l’intelligence. Stiamo parlando di armi? O di tecnologia per uso civile, ma adattabile anche per un conflitto, come i droni per esempio? Washington dovrebbe rivelarlo nei prossimi giorni. Biden, però, aveva affidato a Blinken un ultimo tentativo: mandiamo un messaggio a Xi Jinping attraverso Wang Yi, uno dei suoi collaboratori più fidati; vediamo se il leader cinese è interessato davvero a mediare tra Putin e Zelensky.

Il riscontro, però, è stato deludente: Wang Yi di fatto non ha neanche preso in considerazione le sollecitazioni di Blinken. Dopodiché ha fatto rotta verso Mosca per anticipare i contenuti del «piano di pace» che dovrebbe essere lanciato pubblicamente da Xi Jinping, domani 24 febbraio, nell’anniversario dell’aggressione putiniana.

A questo punto la Casa Bianca non ha più dubbi: Pechino si è posizionata nel campo di Mosca; la sua «iniziativa di pace» non è che una manovra di soccorso, di copertura politica a favore di Putin. Non ci sarà, dunque, alcuna mediazione, anche perché non solo Blinken, ma anche Volodymyr Zelensky aveva cercato un contatto con Wang Yi. Tentativo andato a vuoto.

L’atteggiamento cinese, così come è interpretato dagli americani, azzera ogni margine di negoziato. Ora tutti i possibili canali di comunicazione con Putin sono chiusi. Hanno rinunciato sia il presidente francese Emmanuel Macron che il cancelliere tedesco Olaf Scholz, nonché il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Forse, pensano nello Studio Ovale, c’è solo un modo per provare a fermare lo slittamento verso uno scenario di guerra senza orizzonte: un nuovo contatto diretto tra Biden e Xi Jinping, visto che l’effetto positivo dell’ultimo faccia a faccia, il 14 novembre 2022 a Bali, sembra evaporato.

L’altra questione investe l’Europa. A Kiev e a Varsavia, Biden si è profuso in elogi per l’unità dimostrata dai Paesi dell’Ue e della Nato. Vero: non era scontato e il leader Usa se n’è attribuito il merito. Ma c’è una domanda legittima che alimenta l’inquietudine, la stanchezza diffusa nell’opinione pubblica europea. È possibile che Biden e i suoi consiglieri non siano in grado di formulare almeno uno schema, una bozza su cui impostare la trattativa?

Ormai conosciamo la versione pubblica di Biden: «Tocca a Putin fare il primo passo; è lui che ha iniziato la guerra ed è lui che deve finirla». Ma c’è anche un’altra spiegazione che trapela in via del tutto informale. Biden, Blinken, il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan si sono resi conto che il blocco europeo si presenta compatto fino a che si tratta di tenere in piedi la resistenza ucraina. Ma ci sono idee diverse, anche molto distanti, sul possibile sbocco del conflitto.

Il fianco Est, guidato dalla Polonia e dai Paesi Baltici, vuole la vittoria totale di Zelensky e, simmetricamente, la disfatta di Putin: una dura lezione che valga a futura memoria. Nel concreto significa: via i russi da tutti i territori occupati, compresa la Crimea, annessa illegalmente da Mosca nel 2014.

Francia e Germania, invece, non considerano realistico immaginare una «reconquista» totale. E anche l’amministrazione Biden la pensa così, se non altro perché ritiene che Putin potrebbe rispondere in modo devastante nel caso di un’offensiva massiccia contro la Crimea.

Inoltre sarebbe complicato costringere i russi a sloggiare dalla base navale di Sebastopoli, sul Mar Nero, assegnata in concessione dal governo ucraino nel 2010 e fino al 2042. Qualunque fosse la formula elaborata da Biden, ci sarebbe un solo risultato certo: la divisione del fronte europeo.

Senza contare, naturalmente, gli effetti in Ucraina. Zelensky ha oscillato parecchio, ma adesso è certo che il suo esercito si riprenderà tutto il Paese. Ma come si comporterebbe il gruppo dirigente di Kiev se Biden chiedesse di rinunciare al controllo della Crimea? Resterebbe unito come oggi? E, infine, come reagirebbero il Congresso e l’opinione pubblica americana? Anche negli Stati Uniti si confrontano una linea oltranzista e una più aperturista.

Il rischio di fratture pericolose, quindi, è troppo alto e su troppi versanti. Ecco perché il messaggio di Biden per ora è netto. La guerra va avanti, con un solo obiettivo: mettere gli ucraini nelle condizioni migliori per trattare. Se e quando ci sarà un negoziato.

 

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