Politica smetti di suicidarti

Marco Tarquinio Avvenire 24 febbraio 2023
Politica smetti di suicidarti
Dopo un terribile anno di guerra

Un anno intero è passato, anzi è finito, anzi è stato finito, letteralmente fatto a pezzi nelle terre orientali d’Europa. Un anno intero di tradimenti, di guerra e di propagande di guerra. Quella russa di Vladimir Putin, innanzitutto, ma non di meno quella d’Occidente. E non si può tacerlo, perché è vero che chi aggredisce ha sempre torto, terribilmente più torto di tutti, ma è altrettanto vero che chi doveva custodire l’aggredito, e non l’ha fatto, non ha ragione.

È ciò che succede quando la politica si suicida e cede il passo alla guerra, che della politica – checché ne dica qualche gran generale del passato e più di un Solone del nostro presente – non è la continuazione, ma l’abdicazione. La guerra è radicale e assassina rinuncia alla politica. E, sì, della politica è il suicidio. Soprattutto oggi, soprattutto nel nostro complicato eppure ancora benedetto pezzo di mondo – temperato, bianco, nordico, istruito, supertecnologico, ma con sempre meno croci e meno lumi.

Sì, la guerra è suicidio della politica soprattutto qui, in questo vecchio continente che amiamo e chiamiamo Europa, dove per decenni abbiamo tenuto in piedi e alimentato il più grande e pacifico laboratorio di integrazione delle differenze (e delle storiche inimicizie) e ci siamo illusi, e detti, e ripetuti di aver tutto capito e tutto sistemato, sposando il mercato e lo stato sociale, restando separati ma facendo crescere la sensazione (e la pratica) dell’assenza tra noi (solo tra noi, e tra noi e altri “ricchi”) di confini.

E invece eccoci a ballare come mai prima sull’orlo dell’abisso della guerra totale, per una storia di confini armati, etnico-identitari ed esclusivi, tra crudeltà primonovecentesche, incubi digitali e atroci spettri nucleari. E rieccoci, volenti o nolenti, noi europei, tutti iscritti al club degli omicidi-suicidi bellici. Senza scuse, perché non possiamo fingere di non sapere che siamo nell’era in cui le guerre le vincono – almeno per un po’, e col rischio non solo teorico di finire in massa nell’inferno atomico – solo quelli che le tengono ben lontane da casa, le armano guadagnandoci in soldi e dominio e, soprattutto, le fanno con i petti degli altri.

Altri che stavolta sono soprattutto gli ucraini, i più assassinati di tutti e da tutti. Da chi li bersaglia con ferocia da Oriente, ma anche da quelli e quelle (che delusione le troppe donne della politica suicida d’Europa…) che continuano a spiegare che loro, gli ucraini, gente soda e di contadina saggezza, questa guerra la vogliono.

Disperatamente la vogliono. Con tutte le forze la vogliono. E la vogliono fare sino in fondo. E tutti comprendiamo la rabbia e l’orgoglio che animano la resistenza in armi di tanta gente d’Ucraina, ma troppo pochi tra noi – e specialmente tra chi ha potere e dovere – vedono e aiutano a comprendere che il “fino in fondo”, non è il trionfo che non ci sarà per nessuno, né per l’aggressore né per l’aggredito, ma è la vita perduta. La vita di centinaia e centinaia di ucraini, soprattutto giovani, inceneriti ogni giorno, senza tregua, nella fornace atroce dello scontro, che da un anno è veemente e tremendo e per altri otto anni è stato orribile e sordo.

Sì, si sta suicidando l’Europa comunitaria, ridotta a terreno e retrovia di battaglie che non doveva far ingaggiare, a selettivo campo profughi (bianchi e scuri di pelle non sono uguali), a supermarket di armamenti di vecchia e nuova fattura e addirittura, persino con le migliori intenzioni, a sterile e disciplinato battutificio guerrafondaio.

Sì, si sta suicidando la Russia di un non più nuovo ma più arrogante e spietato “zar” che vuol mettere nel cuore di un nuovo ordine globale il suo Russkij Mir, il mondo russo, e che torna ad arruolare i Patriarchi, che imbavaglia e soffoca ogni opposizione anche se non riesce a spezzarne del tutto la voce, che manda al macello e trasforma in macellai i figli più poveri del suo stesso multinazionale popolo e che impedisce persino di vedere ciò che la guerra che ha iniziato di nuovo, e di cui è indubitabilmente primo responsabile, fa anche alla sua gente.

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