Maurizio Crosetti La Repubblica 26 febbraio 2023
Il rock dei Maneskin accende Torino: nessuno sta zitto e buono
Coreografia stellare, musica travolgente: in 13mila al palazzetto ballano e cantano e lo show è da brividi
Quanto sono belli e freschi e ordinati questi figli in fila per due, con gli zainetti e le bottiglie di acqua minerale fuori frigo, con i sacchetti giganti di patatine e non poche mamme per amiche che li hanno, ma nella quasi totalità le hanno (le ragazze sono la stragrande maggioranza) accompagnati fin qui, dentro un firmamento sintetico che gira come una trottola, sopra un pavimento di stelle. Poi, soltanto Maneskin. Esplode un cielo semovente dal primo istante del tour 2023 appena iniziato, potenza e luce, il blu cobalto avvolge la magnifica Coraline, le fiamme si alzano per I wanna be your slave davanti a 13mila anime che ballano senza sosta dall’inizio alla fine, tutto trema, è una notte percossa e infinita.
Damiano, Vic, Ethan e Thomas sono avviluppati nel nero Gucci, ma ogni coreografia scivola e si scioglie nella forza della musica, è questo l’unico senso, il resto è estetica, sovrastruttura. Persino i bambini danzano. E poi gli occhi, è proprio un concerto d’occhi: bisogna guardare come i ragazzi, migliaia, guardano gli altri quattro lassù, per capire.
L’attesa
La musica è la spugna che assorbe tutto ma la prima festa è stata l’attesa, quel bivacco fuori dal palazzetto. Qualcuno si era pure portato la mini-canadese di Decathlon e, prima, il pellegrinaggio fuori dall’hotel per intuire anche soltanto uno spicchio di Damiano, una scheggia di Victoria. Finché il suono ha rombato forte e ha mandato la “generazione Maneskin” nell’orbita del vecchio rock dei padri e dei nonni, chi s’immaginava fosse una tale figata, eh?
E la musica
Tremila corpi illuminati, quaranta “universi di programmazione” (sa il cielo di cosa si tratti: ogni spettacolo ha diritto a una quota di mistero non svelato) hanno scandito la notte più digitale al mondo, però quanto sono analogici i corpi, i seggiolini di plastica, i bibitari che vendono Fanta e Chupa Chupa trasgressivi eccome: il logo lo firmò Salvador Dalì, chissà in quale band suonava. Centocinquanta metri di struttura, ecco l’astronave dei quattro ragazzi di borgata che si sono presi il mondo. Quaranta tonnellate per rendere leggerissimo lo show che domani sarà già ad Amsterdam e poi a zonzo per l’Europa, Bruxelles, Berlino, Colonia, Parigi, alè.
Lo spettacolo è subito travolgente, il suono spacca e impedisce di pensare ad altro. Scorrono le canzoni vecchie e nuove, le nuove specialmente (“Rush”, l’ultimo album, è uscito il 20 gennaio ed è già un oggetto di culto internazionale). I ragazzi del palazzetto cantano ogni singola nota, incuranti della glassa che tanto sorprende gli adulti, loro invece se ne fregano abbastanza del gender fluid, lo vivono come una dimensione pressoché quotidiana. La generazione Maneskin sa benissimo che se tutto provoca, niente provoca, e allora va dritta alla sostanza, appunto la musica. Se non fosse stata così densa e viva, così vera, col cavolo che ovunque si sarebbero stupiti di queste quattro Veneri di rimmel.
Settanta motori fanno vorticare il palazzetto, è come se il tempio di Nadal e Djokovic si fosse messo a ruotare, tutti si aspettano che da un momento all’altro l’astronave decolli. Tecnica e sentimento si alternano sul palco: potevano stupirci con effetti speciali e un poco lo hanno fatto, ma qui di speciale c’è soprattutto l’affetto, e la sostanza di un rock’n’roll senza garbugli elettronici, senza trucchi, pulito e spurio insieme, sbavature comprese. Un tipo di suono che ha rapito lo sterminato pubblico, perché prima chi lo aveva mai sentito? Chi se lo ricordava? Qualche mamma per amica, al limite.
L’attesissima notte degli eccessi bistrati (ma è solo show, signora mia) è così diventata una mega coccola, una reunion di ottimi sentimenti e corpi ritmati, felici. Italiano o inglese che sia, la lingua del cuore è quella che la generazione Maneskin ha imparato a memoria, così come nella mente è impresso ogni singolo fotogramma delle varie clip, non c’è gesto di Damiano e degli altri che non faccia parte dell’archivio emotivo di ognuno dei ragazzi seduti qui, a Torino, la prima grande città del nuovo “Loud kids world tour”, trentadue concerti, 350mila biglietti già quasi tutti venduti anzi inceneriti, perché è così che oggi funziona il consumo, tra desiderio e realizzazione basta il tempo di un clic. Tutto sold out fuorché la voglia di esserci e cantare, questa non finisce mai. E allora sotto con Feel e Torna a casa, Bla bla bla e Gossip, Don’t wanna sleep e Supermodel, la scaletta come una rampa di lancio verso l’universo. Tutto si muove pazzamente, tutto gira e danza, tutto è colore e velocità. Tutto corre e scappa via, non potete immaginare quanto in fretta, figli belli.