Francesco Olivo La Stampa 26 febbraio 2023
La solitudine di Giorgia, è allarme tra i fedelissimi: “A ogni difficoltà gli alleati scappano”
Dopo il caso balneari si scalda la partita nomine. FI e Lega nervosi per l’assenza dei tavoli: «Fanno tutto da soli»
Quando il gioco si fa duro lì intorno non c’è più nessuno. I partiti si sentono trascurati e scaricano tutto sulla presidente: «Chiedete a lei». La solitudine a Palazzo Chigi è una condizione fisiologica, ci si chiude in quelle stanze, si devono prendere decisioni in pochi minuti e si vive sotto assedio.
Ci sono passati tutti e sono bastati quattro mesi per capire che Giorgia Meloni non è un’eccezione. La vicenda dei balneari con la presidenza del Consiglio costretta a rassicurare il Quirinale, davanti a quelle che vengono definite «provocazioni dei partiti», è solo l’ultimo capitolo di una lista già abbastanza lunga.
La sensazione di chi vive a stretto contatto con la premier è che, se il rapporto con i ministri è molto buono, gli alleati in Parlamento non siano davvero tali: a ogni momento di difficoltà la leader di Fratelli d’Italia si ritrova da sola.
Gli esempi iniziano a essere troppi per non diventare una tendenza. Dalla sede del governo segnalano almeno quattro momenti critici durante i quali nessuno si è preso la responsabilità di difendere la presidente: l’aumento del prezzo della benzina, le polemiche sulla giustizia (la questione intercettazioni e il caso Delmastro-Donzelli), la decisione del taglio del superbonus e, appunto, la dura nota della presidenza della Repubblica contro la decisione di prorogare le concessioni dei lidi.
Situazioni difficili dal punto di vista comunicativo e politico, nelle quali Meloni si è sentita sotto attacco senza che nessuno dei suoi soci muovesse un dito per difenderla. Anzi spesso erano dall’altra parte della barricata.
Nella migliore delle ipotesi, è la lettura dei suoi fedelissimi, i partiti scaricano le responsabilità su di lei, nella peggiore, e questo potrebbe essere il caso delle concessioni balneari, la mettono con la malizia davanti alle proprie contraddizioni, la Meloni oltranzista di ieri contro quella istituzionale di oggi. «Il centrodestra è abituato a governare insieme da trent’anni», ripete Francesco Lollobrigida uno dei pochi pontieri tra la sede del governo e il mondo di fuori.
Ma il cambiamento dei rapporti di forza all’interno della coalizione è stato tale che quello che valeva fino a pochi anni fa oggi non valga più. I sospetti dei meloniani aumentano anche perché gli argomenti dove non arriva il soccorso degli alleati sono quelli più sensibili per l’opinione pubblica, dove cioè il rischio è di pagare in termini di consenso.
E il prossimo appuntamento è sulla carta ancora più critico: la partita delle nomine. I tavoli promessi, denunciano gli alleati, non vengono convocati, «per ora tutto è in mano a Fazzolari, la sorella di Meloni, Lollobrigida e pochi altri». La premessa di una battaglia.
Se Forza Italia, con grande cruccio del vicepremier Antonio Tajani, si è ritagliata il ruolo di voce critica («avete visto che fine ha fatto Gianfranco Fini? » ha ricordato con durezza Lollobrigida agli azzurri in un’intervista a La Stampa), la Lega è più cauta. Matteo Salvini ne ha fatto un metodo: «Oneri e onori», risponde a chi gli chiede dell’alleata. La strategia del leader del Carroccio è di evitare di polemizzare apertamente con la premier, anzi di elogiarla in pubblico, salvo non andare mai in suo soccorso quando ci sono insidie sul cammino, «non le facciamo da parafulmine», è la parola d’ordine data ai dirigenti da via Bellerio.
Il caso dei balneari è sintomatico. Per anni i partiti del centrodestra si sono spartiti i voti della categoria, poi quando il governo Draghi ha deciso di indicare una data per le gare delle spiagge, Fratelli d’Italia ha gridato al tradimento di Lega e Forza Italia. Gli imprenditori del settore hanno appoggiato in massa Meloni alle elezioni e ora che mantenere le promesse si scontra con la realtà (la Commissione Ue pretende che si facciano le gare e c’è una sentenza chiarissima del Consiglio di Stato) la situazione nel centrodestra si è ribaltata: gli antichi referenti nel Carroccio e in Forza Italia cavalcano il malcontento dei concessionari, mettendo nell’angolo la premier.
La versione che danno i partiti è molto diversa. La solitudine della premier si deve non alla mancanza di lealtà degli alleati, quanto piuttosto alla sua scelta di fidarsi solo di un gruppo molto ristretto di persone e, più in generale, a un atteggiamento diffidente e anche arrogante, specie nella gestione del Parlamento. Il metodo adottato nella preparazione della manovra, che ha previsto il coinvolgimento dei capigruppo di Camera e Senato e non solo dei ministri, non si è ripetuto.
Il risultato è che l’approvazione della legge di bilancio è filata liscia, mentre per gli altri provvedimenti, dove la collegialità è venuta meno, il governo è stato costretto a retromarce rapide. Forza Italia e Lega sono rimasti particolarmente seccati dall’atteggiamento di Palazzo Chigi sulla questione del Superbonus, «sapevano che per noi era una questione fondamentale, la Lega aveva anche fatto una manifestazione due giorni prima – si sfoga un dirigente berlusconiano – eppure ci hanno comunicato il provvedimento mezz’ora prima di leggerlo sulle agenzie, mettendoci in difficoltà con gli elettori».
Obiezioni alle quali i meloniani ribattono: tutte le decisioni vengono prese con i vicepremier, ovvero con Salvini e Tajani, «se poi quei partiti hanno problemi interni non è colpa nostra». Veleni nella solitudine.