Travaglio non vota Bonaccini. Per fermare le armi meglio l’incognita Schlein

 

Marco Travaglio  il Fatto Quotidiano 26 febbraio 2023
 
Pd giù l’elmetto
 
Stasera, dopo una maratona che avrebbe sfiancato Abebe Bikila, sapremo chi è il nuovo segretario del Pd. Cioè se torna Renzi sotto le mentite spoglie di Stefano Bonaccini, che non ha il carisma di Renzi e neppure quello di un termosifone spento, o se arriva Elly Schlein, outsider tutta da scoprire (almeno come leader).

A decidere non saranno gli iscritti, come sarebbe normale in un partito normale, ma i non iscritti. Quindi chi non voterebbe mai Pd potrebbe sostenere il candidato più vantaggioso per la destra, o la sinistra, o il centro, o il M5S.

Ma c’è da dubitare che qualcuno lo farà: chiunque decidesse di uscire di casa la domenica per le primarie dem sarebbe colto da una tale noia che si addormenterebbe per strada, anche in piedi. È il paradosso delle primarie a doppio turno carpiato, le cui regole paiono ideate da un trust di enigmisti: in quattro mesi non hanno prodotto uno straccio di contrapposizione sui contenuti (“prima i programmi. poi i nomi”: come no). Bisogna proprio conoscerli bene, i due finalisti, per cogliere le differenze: più facile per chi vive in Emilia-Romagna (dove peraltro lei è la vice di lui), meno per chi sta altrove. Tanto più che nel duello (si fa per dire) su Sky facevano gli amiconi e smussavano democristianamente gli spigoli: tutto l’opposto dei faccia a faccia preelettorali all’americana.

Fumo e vaselina anche sul tema più cruciale di oggi e di domani: l’escalation in Ucraina. La pacifista Schlein ha cambiato idea e ha votato il dl Meloni sulle armi e Bonaccini s’è detto favorevole, pur supercazzoleggiando  su fantomatici negoziati europei.

Eppure, se il Pd vuole riprendersi,  chiunque sarà il segretario dovrà archiviare la folle linea BaioLetta e riconnettersi col sempre più vasto movimento pacifista: oggi l’opposizione è debole non perché 5Stelle, Pd e Centro marciano separati (mica devono governare), ma perché l’unico cruccio di Giorgia Meloni, cioè l’antibellicismo sempre meno latente di Lega e FI, trova sponde solo nel M5S.

Se il Pd cambiasse linea, la premier si troverebbe sola (cioè con Calenda) e disarmata. BaioLetta lo sa: infatti ha chiuso la sua terrificante e deprimente segreteria promettendo all’ambasciatore ucraino che anche domani il Pd resterà bellicista, parlando a nuora perché suocera intenda. Con una suocera come Schlein un cambio di registro sarà meno improbabile, anche se spaccherà i dem: turbo-atlantisti tipo Guerini e Borghi non dismetteranno mai l’elmetto e la mimetica.

Ma a questo servono le primarie: a scegliere un leader che scelga, a costo di scaricare qualche zavorra per guadagnare qualche elettore. Se invece l’obiettivo è perderne altri, tanto vale tenersi BaioLetta: per le sconfitte, non c’è chi lo valga.

 

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