La donna nuova che spinge Giorgia nel secolo scorso

Concita De Gregorio La Repubblica 28 febbraio 2023
La donna nuova che spinge Giorgia nel secolo scorso
Le rivoluzioni sono così, non le vedi arrivare sennò non esisterebbero. Sennò chi le teme le eviterebbe – presto, sterminare i rivoltosi. Promuoverli, corromperli, imprigionarli –e tutto resterebbe come prima.

Bisogna, per fare la rivoluzione, muoversi veloce e non venire a fuoco nelle foto. Fingersi docili (non troppo, un poco), fingersi non temibili. Le minoranze lo sanno per eredità storica e le donne, fra le minoranze non numeriche, lo sanno per educazione alla sopravvivenza. «Come al solito non ci hanno visti arrivare», è stata la prima frase di Elly Schlein e milioni di ragazze, di madri figlie sorelle, hanno riconosciuto l’insegnamento primario: tu, quando vuoi fare qualcosa, intanto falla.

Quando le cose cambiano devono trovarti già lì. Vai veloce, invisibile. Hanno riconosciuto quelle parole e hanno sorriso: erano uscite un attimo per andare al seggio, son tornate a casa e hanno acceso la tv. Il sorriso segreto di chi ha cambiato il suo tempo senza dare nell’occhio. «È la prima volta che voto qualcuno che vince», ha detto l’altra sera al comitato un’anziana militante. Ecco, questo. La rivoluzione senz’armi, senza testosterone, con la gentilezza ferma del sorriso.

Non cambia, qui, solo la storia del Partito Democratico, della sinistra.
Cambialo scenario. Cambia la politica, ruota l’asse cartesiano della realtà.

Improvvisamente, in una notte, la “donna nuova” Giorgia Meloni torna a essere quello che è: l’ultima erede di un partito del Novecento, una storia antica. Invecchia, Meloni, al cospetto di una donna ancora nei suoi trent’anni che non origina dal comunismocome lei dal fascismo. Una giovane di questo tempo: non figlia politica di, non madre, fino all’altro giorno non iscritta al partito che guida, non eterosessuale, niente di tutto quel che rassicura i conservatori e molto di quel che manca a chi vorrebbe cambiare la rotta della storia, invece.

Ciò che è mancato a quel pezzo di mondo che non trovava casa da nessuna parte e l’ha trovata lì. Ai gazebo. L’identità, per esempio. È la prima volta che un partito esprime una segretaria diversa da quello indicato dei suoi iscritti – è una delle litanie di queste ore.

Certo. Perché gli iscritti – sempre meno, una enclave di reduci asserragliati nelle correnti – non esprimevano più da anni il sentimento di un elettorato orfano: che difatti non andava più a votare, non si riconosceva più in quella ristretta rosa di vecchi e giovani-vecchi capibastone (sempre maschi, scusate il dettaglio) devoti a qualcuno, figli politici di.

Poi, è un attimo. È la funzione che fa l’organo. Ti eleggono segretaria e lo sei. Improvvisamente era chiaro che fosse quella la scelta migliore. Brava bravissima, a tua disposizione. Ma no, invece.

Sarebbe facile ora riavvolgere il nastro e ricordare quante volte, nel passato recente e remoto, chi era al comando (nel partito, in tv, nei giornali) ha messo il bastone tra le ruote a tutti i giovani di buone intenzioni che hanno provato ad affacciarsi. Le donne, in specie, inun partito ferocemente maschilista che le ha sempre messe in rosa per bruciarle, che le ha accontentate per silenziarle, che ha dato loro presidenze di cartone e le ha eliminate quando erano troppo popolari.

Che le ha tenute, quelle che ha tenuto, se rispondevano a qualcuno: se sono lì, è perché rispondono. Ma sarebbe ingeneroso, appunto, voltarsi indietro. Guardiamo avanti. Ora che i giovani e le donne, soprattutto loro, i non iscritti di primarie benedette, hanno determinato il cambiamento. La partecipazione, il primo segnale. Più di un milione, altro che piattaforma Rousseau. Più di un milione di corpi vivi per strada, pazienza per la democrazia dell’Internet, metti like.

Dice. È una che passava di lì, è il papa straniero. Niente affatto. Elly Schlein ha una biografia politica che levati, direbbero i ragazzi che l’hanno votata. Ha anche una biografia personale che è una specie di compendio del Novecento con ucraini ebrei socialisti e radicali fra gli antenati ma questo non è un merito, è la sorte.

Di suo, proprio lei, sono quasi vent’anni cheè sulla scena e andate a rivedere Occupy Pd, quando il Partito Democratico che ora dirige non lasciava passare i ragazzi come lei, gli anni con Pippo Civati e quelli da europarlamentare, il “siamo più di 101” delle magliette che stampò al tempo del tradimento (a opera del Pd di allora) di Romano Prodi e se un padre putativo, proprio a volerglielo trovare, si deve indicare allora ecco: sta a Bologna, la sua città, ed è Prodi. Che è sempre stato attentissimo a cercare l’ala sinistra del suo Ulivo e dai e dai in questa ragazzina, gli parve allora, l’aveva trovata. Aveva ragione. Poi certo.

Quando hanno fiutato la possibilità di un rinnovamento del sangue anche i vecchi campioni del partito hanno messo lì le loro carte. È normale. Dario Franceschini, è un’altra delle litanie del giorno, l’Andreotti del nuovo millennio che ha puntato sempre sul candidato giusto – questa volta anche coi buoni uffici della moglie Michela Di Biase, scrivono ovunque,già artefice della defenestrazione renziana di Ignazio Marino dal Campidoglio: ma il passato èpassato, di nuovo.Sarebbe volgare immaginare in politica la supremazia delle mogli, figuriamoci. Sarebbe insensato pensare di poter rottamare tutto, esistono precedenti specifici e sappiamo dove si sono spiaggiati.

I risultati delle regionali sono dell’altro giorno. I destini personali sono evidenti, e le relative convenienze. Pensiamo al futuro. Non è che puoi diventare segretaria di un partito senza pezzi di quel partito: questa è la scacchiera e a questa partita devi giocare. Servivano torri alfieri e pedoni, bisogna che qualcuno ti trovi interessante: sono lì, sono in chiaro tutti i nomi. Vedremo presto che ne sarà di loro. Potrebbe anche essere che qualcuno serva. Non è che l’anagrafe sia da sola un giudice, sono le storie e le intenzioni che contano. Vedremo.

La misura esatta del terremoto la dà, piuttosto, la reazione delle destre. Che quando non sanno più cosa dire, quando gli va in blocco il pensiero produconolaformula “radical chic”. Diventano pazzi, non trovano le parole e dicono radical chic, lo considerano un insulto: come colto, beneducato, corretto.

Infamie: ridono sguaiati. Oppure dicono: sinistra radicale. Ma seuna cosa ha insegnato, la prodigiosa obiettiva ascesa di Giorgia Meloni, è che solo essere radicali paga. Solo non deflettere rispetto alla propria identità è comprensibile all’elettorato. La tragica corsa al Centro della sinistra ha dato come risultato storico un governo di destra. È un fatto. In questo senso da oggi la politica cambia. Perché di nuovo esistono una destra, un centro, una sinistra e a voi la scelta. Il più preoccupato di tutti dovrebbeessereGiuseppe Conte. Perché sì, è vero che le politiche di Schlein sono più affini a quelle dei Cinquestelle che a quelle di Renzi e di Calenda. Ma è vero che, prima, l’elettorato che fu della sinistra è trasmigrato nei Cinquestelle perché orfano di casa.

Per assenza di alternativa. Ora vediamo. Sull’Ucraina, sul pacifismo, sui diritti della persona, sull’ambiente, sui fragili, sui migranti. Sul lavoro precario, sui miliardari che dal loro eremo dettano la linea politica. Vediamo. Non è che sia “una donna”, la novità. È che sia quella persona. Poi certo: che alla guida dei primi due partiti del Paese gli elettori abbiano indicato due donne qualcosa deve dire. Dovrebbe, almeno. Alle classi dirigenti, a Confindustria, ai fantomatici poteri forti qualche suggerimento potrebbe arrivare. Magari capiscono che gli conviene, sarebbe già molto. Non avere Una di nome e Donna di cognome ma avere qualcuno che arriva dove vuole perché sa quello che vuole e lo fa senza che gli altri se ne accorgano. Marielle Franco, ha detto Schlein. Altri nomi ha pronunciato.

Magnati, editori, banchieri: googlateli. Esistono quelle brave a non dare nell’occhio mentre vanno dove devono: pazienza per chi le derideva, donne legittimate da uomini “alle spalle” comprese. Poi tutte, come tutti, vedremo alla prova. Questa è la modernità, signori. Questa è la realtà, fateci pace perché – diciamo per brevità – vi conviene. Gli altri, intanto, la gente da nulla, torni pure a sperare. E dai. La speranza è l’unico carburante pulito, del resto: non costa guerre e senza non si vive.fInvecchia la leader di FdI al cospetto di una figura ancora nei suoi trent’anni che non origina dal comunismo come lei dal fascismogfLa misura del terremoto la dà la reazione delle destre che quando non sanno più cosa dire producono la solita formula “radical chic”

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