Tommaso Ciriaco, Giuliano Foschini La Repubblica 2 marzo 2023
Naufragio di Cutro, Salvini sotto assedio per il mancato soccorso della Guardia costiera. E anche da Palazzo Chigi dubbi sulla linea dura
I leghisti fanno notare che il procuratore di Crotone è stato uno stretto collaboratore di Meloni e Mantovano
Sono le sei del pomeriggio quando Matteo Salvini decide che è arrivato il momento di rompere il silenzio: “Solo immaginare che il ministro dei Trasporti, che è papà, abbia non solo detto ma anche soltanto pensato di non intervenire, è un oltraggio”. E ancora: “Chi vuole fare polemiche, fare politica su questo, lasci in pace lo Stato e la Guardia costiera”. Quelle del ministro leghista dei Trasporti non sono parole di circostanza.
Piuttosto, il risultato di quello che a tutti è parso, in queste ore, subito chiaro: nella guerra politica che si è aperta dopo la strage di Cutro, le opposizioni puntano al ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, ma in realtà mirano anche a Salvini. È a lui che risponde la Guardia costiera. E sono sue le direttive (quelle del 2019, quando era ministro degli Interni) e le indicazioni politiche (di oggi, da numero uno delle Infrastrutture) che, per errore o sottovalutazione, non hanno portato nessuna delle lance della Capitaneria di Porto in soccorso del peschereccio che affondava a pochi metri delle coste calabresi.
Fino a questo momento, la linea del governo sull’immigrazione era stata dettata da Salvini. La strage di Cutro – e la durezza delle immagini che hanno sconvolto tutti gli italiani – hanno convinto Giorgia Meloni e il suo sottosegretario, Alfredo Mantovano, che il pugno duro non potesse essere la risposta da offrire all’opinione pubblica. Ecco perché non sono piaciute per niente le parole del ministro Piantedosi quando, mentre ancora si dovevano chiudere le bare dei bambini, ha parlato della “responsabilità” di chi decide di intraprendere il viaggio.
Ecco perché non una sola parola di solidarietà è arrivata dalla maggioranza dopo la sparata del leader leghista.
Ed ecco perché da Fratelli d’Italia sono giunte due indicazioni chiare: eliminare dal lessico espressioni come “porti chiusi” e, soprattutto, non liquidare la strage come una «”conseguenza del destino”, per citare le parole di un uomo di governo. “Su questa storia”, diceva ancora ieri pomeriggio, “è necessario fare la massima chiarezza. Se qualche errore, anche soltanto una leggerezza, è stata commessa, bisogna individuarla. Non possiamo girare la testa dall’altra parte”.
Ecco: è proprio la ricostruzione della catena degli errori e le inevitabili risposte che si pretenderanno dalla Guardia costiera a non piacere a Matteo Salvini. E ai leghisti che ieri facevano notare anche una circostanza: l’inchiesta sulla strage è coordinata dal procuratore di Crotone, Giuseppe Capoccia. Magistrato stimato, ma che ha nel suo curriculum un passaggio da tecnico al fianco dell’attuale premier.
Dal 2009 al 2010 è stato infatti vice capo legislativo del Ministero della Gioventù, quando a guidarlo c’era proprio Meloni. È stato insomma uno dei collaboratori dell’attuale presidente del Consiglio. A cui arrivò dopo un periodo passato al ministero della Giustizia e al Dap mentre al governo, come sottosegretario alla Giustizia, c’era un ex collega che aveva lavorato come lui tra Brindisi e Lecce a cui era legato da una forte stima reciproca: Alfredo Mantovano.
Non a caso, tra le indicazioni date ieri ai deputati di Fratelli d’Italia c’era quella di “non polemizzare con la magistratura”. A differenza di quanto accaduto con il caso Donzelli – quando il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, era arrivato addirittura a ipotizzare un conflitto di competenze con la procura di Roma – nel caso di Crotone l’indicazione è chiara: “Massima fiducia, aspettiamo l’esito delle indagini”.