Nel frattempo, costruire buone pratiche comuni di opposizione

Stefano Cappellini La Repubblica 4 marzo 2023
Ripartire tutti uniti
Dopo l’incontro Bonaccini-Schlein si fa avanti l’ipotesi di spazzare via le correnti

 

C’è grande curiosità intorno al Pd di Elly Schlein. Tutti vogliono capire le sue mosse, nel partito, con gli alleati e verso gli elettori. Molti le suggeriscono cosa fare e come. Chi conosce la neosegretaria sa che ascolterà, prenderà nota e alla fine farà di testa sua.

Sulle alleanze, però, Romano Prodi ha dato un suggerimento che sicuramente Schlein terrà di conto: non stare ora appresso alle intese, pensa a fare il tuo e a riportare su il Pd. Schlein può permetterselo. La prima vera scadenza elettorale su cui sarà giudicata sono le europee del prossimo anno, si vota con il proporzionale e ognuno conterà i suoi consensi senza doversi preoccupare di sommarli a quelli altrui. La leader dem sa bene che non sarà facile mettere insieme un campo largo e credibile per sfidare e battere Giorgia Meloni.

Tuttavia è evidente che non esiste una scorciatoia per risolvere all’istante il problema, l’unica soluzione è pragmatica: costruire strada facendo intese e mobilitazioni insieme alle altre forze d’opposizione, scegliendo i temi giusti e verificando se gli accordi tattici possono diventare la base di una coalizione politica che risparmi al Paese un’intera generazione di governi a trazione postfascista (ma la gestione di una tragedia come quella di Cutro, le parole ascoltate e quelle non ascoltate, fa dubitare della solidità del prefisso). I temi e gli indirizzi per cercare convergenze immediate non mancano: salario minimo, emergenza climatica, legalizzazione delle droghe leggere, diritti civili.

Anche la manifestazione antifascista di oggi a Firenze è una occasione per costruire buone pratiche comuni di opposizione. Il rapporto con il Movimento 5 Stelle è il più delicato e complicato. In queste ore dai vertici del partito fondato da Beppe Grillo sono arrivate dichiarazioni ambigue sull’arrivo di Schlein.

Un misto di preoccupazione per l’imprevista concorrenza elettorale e di aperture condizionate: vedremo, giudicheremo, decideremo. Come se fosse il M5S a dover fare l’esame del sangue al Pd e non il contrario. Il partito dei decreti sicurezza varati con Matteo Salvini ai tempi del governo gialloverde, il partito che ha coniato l’espressione “taxi del mare” a proposito delle ong impegnate a salvare vite umane in mare, accusa su cui ancora oggi si appoggia la comunicazione e la stretta sul tema dell’esecutivo Meloni, il partito che ha boicottato lo ius soli (in questo caso con la complice ignavia di un pezzo di Pd), l’elenco potrebbe proseguire, non sembra una forza con le carte in regole per distribuire patenti di progressismo.

Anche sull’Ucraina servirà chiarezza: non basta trincerarsi dietro lo sforzo diplomatico per una soluzione di pace — sforzo cui nessuno è contrario, a patto che se ne vedano le condizioni minime — se serve solo a nascondere, nemmeno troppo, una lettura della guerra nella quale sono gli Usa e Zelensky a soffiare sul conflitto, il famigerato “bellicismo” di cui è piena una dichiarazione di Conte sì e l’altra pure.

Un punto è chiaro a tutti, tranne forse a chi crede opportunisticamente che qualsiasi accrocchio vada bene pur di pareggiare i voti della destra: se l’obiettivo è sconfiggere la destra sovranista e i populisti, sarà il Pd a dover essere certo di non imbarcarne un pezzo nella sua coalizione. Si dice spesso giustamente da sinistra, e Schlein lo ha detto più volte: non si batte la destra inserendo nel programma dosi omeopatiche di destra. Vale lo stesso per i populisti.

Come suggerisce Prodi, ci sarà tempo per affrontare la questione. Ora la priorità di Schlein è sconfessare alcuni pregiudizi. Molti di quelli che arrivano dall’esterno non meritano considerazione: a profetizzare che con la sua linea Schlein porterà il Pd a schiantarsi sono spesso gli stessi che ce l’hanno già portato. Quindi, fosse anche fondato il pronostico di molti ex Pd ora in Italia viva o altrove, la segretaria del Pd correrebbe al massimo il rischio di emulare i predecessori.

Più importante per Schlein è affrontare i pregiudizi che circolano nella sua stessa comunità politica. Il più maligno è quello che la vuole incapace di tenere uniti i dem. I sostenitori di Schlein non dovranno essere tentati dal ripetere gli errori del passato, cioè dall’idea che la purezza ideologica faccia marciare meglio il partito, anche a costo di liberarsi degli oppositori interni come zavorra.

Il confronto interno serve eccome, un partito che ambisce a tornare il primo del Paese deve restare largo e plurale, nella composizione degli iscritti e nel mercato elettorale. D’altra parte, chi ha perso il congresso ora deve remare insieme alla leader. Dalla principale corrente che ha sostenuto Stefano Bonaccini alle primarie è arrivata una proposta interessante: scioglimento delle correnti e nomina di Bonaccini alla presidenza del partito. Un patto che può essere utile a una ripartenza condivisa, che non metta in discussione la linea che ha vinto le primarie e al contempo non mortifichi il ruolo e le idee di chi ha perso il congresso. Quel che conta è la chiarezza delle scelte e dei ruoli.

Le correnti dem sono nefaste non per il semplice fatto che esistano, ma perché sono cordate di potere anziché centri di elaborazione politica e culturale. Se cancellarle è un escamotage, uno di quei momenti di falso unanimismo che scandiscono la storia del Pd, come l’assemblea del teatro Capranica che votò per acclamazione la candidatura di Prodi al Quirinale e lo impallinò qualche ora dopo, non servirà a molto.

Se, invece, abbattere gli steccati interni serve a scongiurare che si creino le premesse per il sacrificio rituale dell’ennesimo capo, stavolta capa, è una buona notizia per chi spera nella costruzione dell’alternativa.

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