Luca Monticelli La Stampa 4 marzo 2023
Benzina e diesel rinvio del blocco, Pichetto: “Abbiamo dettato la linea in Europa oltre all’elettrico c’è il biocarburante”
Il ministro dell’Ambiente: «Inaccettabile una data che blocchi i motori benzina e diesel. Bene il ripensamento di Bruxelles, ma è fondamentale che il settore non resti indietro»
Il rinvio del regolamento europeo che prevede lo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035 è «merito del governo che ha assunto una posizione ferma». Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, definisce l’Italia «il battistrada del ripensamento in corso a Bruxelles», e fa notare che «finalmente la Germania si è posta il problema, ma se il nostro paese non avesse aperto questo fronte, diventandone il capofila europeo, forse non saremmo arrivati ad un rinvio». Le misure votate dall’europarlamento «non stanno in piedi», l’Italia deve difendere il proprio mercato perché «sono a rischio almeno 70 mila posti di lavoro. Adesso bisogna cambiare tempistiche e obiettivi. È inaccettabile una data che blocchi i motori benzina e diesel. I tempi li vogliamo stabilire noi dialogando con i produttori». Secondo Pichetto è «una estremizzazione ideologica pensare che la transizione green si fa solo con le auto elettriche, ci sono tante altre opportunità, anche l’idrogeno».
Quindi non è merito della Lega come dice Matteo Salvini.
«Io sto portando avanti questa battaglia da tempo, prima come viceministro allo Sviluppo economico e ancor di più oggi come titolare dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. La perseveranza del governo ha portato a un’importante vittoria politica dell’Italia. Un successo che naturalmente ogni partito della maggioranza può legittimamente rivendicare».
E ora cosa succederà? Quali sono le vostre richieste all’Europa?
«La questione non è quanti anni chiediamo, ma di accompagnare il cambiamento con gradualità. Non è accettabile una data con il blocco ai motori endotermici, anche perché siamo convinti che oltre all’elettrico ci siano altrettante opportunità con tutta una serie di carburanti come i sintetici, l’idrogeno, specie per i mezzi pesanti, il biometano. Non esiste, insomma, solo l’elettrico. Il rinvio della decisione indurrà una fase di riflessione necessaria a riorientare tempistiche e obiettivi, in modo da rendere la transizione ecologica del settore automotive sostenibile anche socialmente, specie per i paesi che sono grandi produttori di veicoli».
Però avrete in mente una data che segnerà il passaggio all’elettrico anche in Italia.
«Stiamo già passando all’elettrico: il mercato è orientato verso il cambiamento. Ciò che va discusso e concordato meglio è l’impatto socio economico e tecnologico della scelta esclusiva a favore dell’elettrico, escludendo altre possibilità ugualmente green».
Lo stop al 2035 quanti posti di lavoro mette a rischio in Italia?
«L’Italia ha nell’automotive il principale comparto manifatturiero che produce il 20% del Pil nazionale e dà lavoro complessivamente a un milione e 250 mila persone. Gli occupati diretti sono oltre 270 mila. È chiaro che un cambiamento in tempi rigidi e ravvicinati come quello che viene ipotizzato potrebbe provocare una grave perdita di posti di lavoro stimata in 70 mila unità. Ma dobbiamo anche pensare a ciò che significherebbe una riconversione a data fissa di un parco mezzi nazionale di 40 milioni di veicoli. Quella europea è un’ipotesi di regolamento che con queste previsioni non sta in piedi e va modificata. Noi non discutiamo l’orizzonte finale del 2050 per la decarbonizzazione, ma vanno esplorate tutte le alternative green per alimentare i motori termici e programmare una ragionevole exit strategy da benzina e diesel».
L’Europa resta però divisa, il Parlamento ha votato a favore dello stop alle auto inquinanti dal 2035 e la Francia, ad esempio, conferma di voler proseguire verso una strategia a emissioni zero. La Germania frena ma è più avanti dell’Italia sull’auto elettrica. Ministro, non rischiamo di rimanere indietro?
«La questione in campo non è il rischio di rimanere indietro, ma piuttosto quella di tutelare il nostro sistema produttivo, confermando gli obiettivi ambientali e gli impegni che l’Italia ha assunto, con tempi che vogliamo stabilire noi, dialogando e confrontandoci con i nostri produttori. Comprendo che la Francia, con il suo straordinario potenziale energetico prodotto dalle centrali nucleari, sia più orientata verso l’elettrico come soluzione dominante per l’automotive. Per quanto riguarda la Germania invece non dimentichiamo che la grande crescita di domanda elettrica anche lì pone problemi ambientali, legati ad esempio all’uso del carbone».
Gli italiani non acquistano vetture elettriche per i costi elevati e per i problemi di ricarica. Il governo aumenterà gli incentivi?
«La differenza di prezzo fra l’elettrico attuale e l’endotermico è tale che nessun incentivo riesca a coprirla. C’è poi un problema di prezzi complessivi nel momento in cui avremo una standardizzazione delle produzioni e una riduzione del costo dei veicoli elettrici. Questa riduzione non deve avvenire a favore dell’importazione da paesi asiatici, altrimenti rischiamo di distruggere il sistema produttivo italiano ed europeo e di duplicare l’errore che abbiamo fatto dieci anni fa con i pannelli solari. C’è inoltre un problema tecnologico per i veicoli elettrici. Se non ci saranno innovazioni decisive, che consentano di ridurre in maniera radicale i tempi di ricarica e di ampliare l’autonomia delle vetture, ipotizzare un ricambio totale del parco auto è francamente velleitario».
A che punto siamo con le colonnine di ricarica? Il Pnrr è in ritardo da questo punto di vista?
«Ho firmato un decreto in ambito Pnrr per la realizzazione di 21 mila colonnine di ricarica distribuite sulla rete stradale italiana. Terna sta lavorando alla rete di alimentazione di queste colonnine e delle altre che vengono installate. Non c’è ritardo; piuttosto stiamo accompagnando il cambiamento».