Affinati “Nelle aule bisogna costruire il vivere civile. Parlare anche a chi alza muri”

Raffaella De Santis La Repubblica 6 marzo 2023
Affinati “Nelle aule bisogna costruire il vivere civile Parlare anche a chi alza muri”
Puntare su gesti comuni, non sulle identità. Piantedosi mostra uno scarto lacerante con la vita

Eraldo Affinati, scrittore fedele alla lezione di Don Lorenzo Milani, si dedica da anni anima e corpo all’insegnamento. Negli ultimi giorni ha seguito con interesse l’onda di entusiasmo delle manifestazioni studentesche e i recenti sviluppi al liceo Carducci di Milano, dove è comparso uno striscione con Giorgia Meloni e Giuseppe Valditara a testa in giù.
Si sta surriscaldando lo scontro, dobbiamo temere?
«Non credo. Gli estremismi, che pure continuano ad esistere, non hanno più la presa sociale di un tempo.
Questo non significa negare i rischi di involuzione autoritaria. Ma per superarli non dovremmo enfatizzare le nostre identità. Sarebbe necessario creare i presupposti per gesti da fare insieme. Non puntare sul colore della maglietta che indossiamo ma sulla qualità della relazione umana: in quale altro luogo ciò potrebbe avvenire, se non nella scuola pubblica? La manifestazione di Firenze è stata una grande lezione di educazione civica all’aperto».
C’era anche la preside Savino.
Che pensa della sua lettera ai ragazzi ?
«Vi ho ritrovato lo spirito di DonMilani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. La professoressa ha imparato questa lezione».
Lei ha scritto due libri su Don Milani, a che tipo di lezione si riferisce?
«Il priore di Barbiana voleva insegnare ai suoi studenti lo spirito critico: non accettare passivamente la realtà, ma conoscerla e interpretarla. Soltanto così potremo uscire da una condizione di sudditanza e diventare cittadini consapevoli».
Da professore leggerebbe la lettera ai suoi allievi?
«La condivido in pieno ma la modificherei in un punto: non lascerei mai da solo chi continua ad alzare i muri e decantare le frontiere. Come docente mi sono sempre sentito attratto dai ragazzi che sbagliano: è lì che inizia il mio lavoro».
Inizia da qui la lotta
all’indifferenza?
«Uscire dall’indifferenza è una conquista quotidiana che riguarda ognuno di noi, non soltanto i giovani. Ecco perché la mancata partecipazione al voto di molti italiani è una ferita sanguinosa».
Gli studenti chiedono le dimissioni del ministro Valditara.
«Penso che questo governo vada sconfitto alle urne. Il cammino è ancora molto lungo».
C’erano slogan anche contro il ministro Piantedosi, attaccato dopo il naufragio di Cutro. C’è un filo rosso tra le due vicende?
«Mi sembrano collegate da un errore culturale ormai palese nella classe politica: chi ha responsabilità di governo dovrebbe mettere sempre al primo posto il bene comune, superando ogni visione di parte, come insegna il presidente della Repubblica che rende omaggio da solo alle povere salme di Crotone».
Da fondatore della Scuola Penny Wirton per immigrati che cosa ha
pensato sentendo Piantedosi parlare di “carico residuale”?
«Mi sono passati davanti agli occhi le centinaia di nostri studenti che quelle stragi ce le raccontano ogni giorno: Omar, Mohamed, Fatima, Malika. I bambini che giocano col mappamondo mentre le mamme studiano i verbi. Come non rendersi conto che noi abbiamo bisogno di loro? Nelle parole inaccettabili del ministro ho percepito uno scarto lacerante fra le istituzioni e la vita».
La sinistra può ripartire dalle battaglie civili di questi giorni?
«Soltanto se riuscirà a passare dalle cosiddette “piattaforme programmatiche” dei convegni politici ai volti delle persone concrete che agiscono nei territori.
Bisognerà trovare nuovi linguaggi e nuove azioni: non è cosa da poco».
C’è il rischio del ritorno al fascismo modello Ventennio?
«Per fortuna la nostra democrazia è salda: i padri costituenti restano le stelle a cui guardare. Dietro certe maschere novecentesche si celano tensioni più profonde legate alla rivoluzione digitale che ha cambiato tutto: di fronte alla deflagrazione del desiderio che la Rete comporta, molti giovani mi sembrano sotto scacco, come se la loro esperienza andasse rifondata. Avrebbero bisogno di valori incarnati sui quali misurarsi».

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