Cdp-Macquarie o Kkr? L’asta sulla rete è lo spezzatino che indebolisce Tim

Nina Valoti il Manifesto 7 marzo 2023
Cdp-Macquarie o Kkr? L’asta sulla rete è lo spezzatino che indebolisce Tim
Dopo la controfferta di Cassa depositi e prestiti con il fondo australiano la matassa è sempre più intricata. Le proposte sono sui 18 miliardi: il primo azionista (francese) Vivendi ne vuole almeno 31

La battaglia per la rete Tim ricomincia sempre più intricata con il governo Meloni che mostra di essere in grande difficoltà nel gestire una partita decisiva per il futuro del paese.
L’offerta con cui Cassa depositi e prestiti intende sborsare 18 miliardi per la rete Tim di primo acchito potrebbe sembrare la nazionalizzazione tanto cara – a parole – al governo e al plenipotenziario in materia, l’oscuro sottosegretario di Fratelli d’Italia Alessio Butti.

In realtà siamo lontanissimi da tutto ciò. In primis Cdp è in cordata con il fondo australiano Macquarie, già protagonista di moltissimi affari nel belpaese, da Autostrade alla stessa Open Fiber, la rete concorrente di quella Tim: ragion per cui è probabile che l’Antitrust europeo avrà molto da ridire se l’affare andasse in porto.

In più l’offerta per la sola Netco, la società non ancora nata che «coincide con il perimetro gestionale e infrastrutturale della rete fissa, inclusivo degli asset e attività di FiberCop, nonché della partecipazione in Sparkle», la società che gestisce le infrastrutture come i cavi sottomarini in mezzo mondo, conferma l’attuazione dello «spezzatino» di Tim, sempre contestato dai sindacati e per lungo tempo dagli stessi Fratelli d’Italia, ai tempi dell’opposizione.

La partita è ancora più delicata dal punto di vista diplomatico. Gli screzi fra Meloni e Macron si riverberano nella proprietà di Tim che vede come primo azionista i francesi di Vivendi. Infatti, dopo la controfferta di Cdp Equity e Macquarie ora gli occhi sono puntati sulla reazione del primo socio di Tim, Vivendi, che non ha rappresentanti in cda ma può far valere il suo peso in assemblea. Sul fronte francese invece continua la richiesta di ben 31 miliardi di euro per la rete e si punta dunque ad aprire una vera asta esplorando altre strade, motivando il niet alle offerte ricevute con un ipocrita richiamo all’ interesse di dipendenti e azionisti poiché i fondi come Macquaire hanno una visione finanziaria e non industriale. In realtà la media company francese, guidata da Arnaud de Puyfontaine, in passato non ha nascosto la sua preferenza per soluzioni come la scissione, puntando a massimizzare i profitti dello spezzatino, per poi magari uscire da Tim.

Tornando alla trattativa, le condizioni chieste da Kkr, che non avevano trovato sponda con Cdp e avevano determinato la rottura del dialogo, hanno per il momento stoppato una soluzione congiunta per la rete di Tim che coinvolgesse il fondo stesso e un’istituzione italiana. Ma non è escluso, secondo quanto si apprende da alcune fonti, che in futuro si provi nuovamente a mettere i due pretendenti intorno a un tavolo per esplorare una soluzione congiunta.

L’offerta di Kkr era stata allungata, su richiesta del governo, fino al 24 marzo; quella di Cdp-Macquarie scade il 31 marzo e c’è attesa, intanto, per il cda di Tim del 15 marzo. C’è da ricordare infatti che su un’eventuale operazione straordinaria su Fibercop, la società della rete secondaria di Tim oggetto assieme alle altre parti di rete delle proposte, Kkr, che ha investito 1,8 miliardi di euro, ha potere di veto.

Intanto ieri in Borsa il titolo Tim ha guadagnato il 3,1 per cento. Non quanto ci si aspettava, nonostante l’asta in corso.

Sul fronte sindacale, la Slc Cgil continua ad attaccare: «Il silenzio del governo non è più tollerabile ed è evidente come non sia in grado di dipanare una matassa intricatissima che forse qualcuno ha sottovalutato nella sua complessità e nei potenziali, gravissimi ritorni sulla tenuta occupazionale di Tim e del settore Tlc nel suo complesso».

 

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