La Cina denuncia la “presunzione di colpevolezza” americana

Lorenzo Lamperti La Stampa 7 marzo 2023
L’avvertimento della Cina agli Usa: “Se non tirano il freno ci saranno conflitti catastrofici. Noi e la Russia, una forza trainante”
Il ministro degli Esteri: «Il contenimento e la repressione non faranno grande l’America e non fermeranno il rinnovamento di Pechino». Il piano per un incontro tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker repubblicano Kevin McCarthy

 

«Se gli Stati Uniti non tireranno il freno e continueranno sul sentiero sbagliato, ci saranno sicuramente un conflitto e un confronto. Chi ne sopporterà le conseguenze catastrofiche?». È questo il passaggio più drammatico della conferenza stampa di Qin Gang, ministro degli Esteri cinese, sulle prospettive della politica estera di Pechino.

Una conferenza molto attesa, perché inserita nel contesto annuale delle “due sessioni” legislative, ma anche perché si trattava dell’esordio di Qin nella nuova veste. Lui, che fino a pochi mesi fa era l’ambasciatore cinese a Washington, ha utilizzato parole molto dure nei confronti degli Stati Uniti. «Il contenimento e la repressione non faranno grande l’America e non fermeranno il rinnovamento della Cina», ha detto Qin, il quale ha utilizzato il lessico proprio di Xi Jinping nell’addebitare al rivale quanto non va nel rapporto bilaterale: «protezionismo, egemonismo, gioco a somma zero».

Secondo Qin, gli Usa hanno una percezione della Cina «distorta» che ha portato alla «presunzione di colpevolezza» sulla vicenda del presunto pallone-spia che ha portato alla sospensione della visita del segretario di Stato Antony Blinken a Pechino. Il riavvio del dialogo sembra ora più lontano che mai, anche e soprattutto per le tensioni su Taiwan.

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Ieri sera, il Financial Times ha svelato il piano di un incontro tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker repubblicano Kevin McCarthy. Dovrebbe avvenire in California a inizio aprile, durante uno scalo nell’ambito di una viaggio più ampio di Tsai in America centrale. Taipei e Washington ritengono sia meno sensibile incontrarsi in California, piuttosto che a Taiwan come sembrava potesse avvenire già nei prossimi mesi. Ma Qin ha indirettamente chiarito che il dossier è la principale “linea rossa” dei rapporti tra Pechino e Washington.

«Nessuno dovrebbe sottostimare la nostra determinazione alla riunificazione», ha detto il ministro, che nel momento poi più social della conferenza ha tirato fuori il libretto rosso della costituzione della Repubblica popolare leggendo il passaggio in cui si sostiene che Taiwan appartiene al territorio cinese.
Qin ha invece elogiato il rapporto con la Russia, fondato sulla «fiducia strategica» e «buon esempio di relazioni tra grandi paesi». A domanda di un giornalista della Tass, l’agenzia di stampa statale di Mosca, il ministro ha parlato di «partnership» e non “alleanza” per definire i rapporti, definiti comunque come “una forza trainante per il multilateralismo”.

Sulla guerra in Ucraina, Qin ha ribadito la posizione cinese già espressa dal documento pubblicato qualche settimana fa: no alle sanzioni e sì agli sforzi per colloqui di pace. Accuse nemmeno troppo implicite a Usa e Nato quando Qin ha parlato di una «mano invisibile» che spinge per l’escalation del conflitto.

Sulle armi, il ministro garantisce che «la Cina non ha dato armi a nessuna delle due parti coinvolte». I maligni potrebbero dire che manca la garanzia sul futuro, anche perché Qin ha sottolineato che gli Usa non possono fare la morale a Pechino visto che continuano a fornire armi a Taiwan.

Solo la settimana scorsa, la Casa Bianca ha approvato un nuovo pacchetto da 619 milioni di dollari.
Qin ha poi dichiarato che la regione non ha bisogno di una versione dell’Asia-Pacifico della Nato. In tal senso, ha detto che Cina e Giappone sono «stretti vicini» che hanno bisogno l’uno dell’altro. Parole concilianti verso l’Europa, in linea col recente tour nel Vecchio Continente di Wang Yi, capo della diplomazia del Partito comunista. Qin sostiene che la Cina supporta l’integrazione europea e ne incoraggia una «vera autonomia strategica». Ergo, un’emancipazione dagli Stati Uniti.

 

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