Parlamento, l’abuso delle commissioni d’inchiesta

Michele Ainis La Repubblica 7 marzo 2023
Parlamento, l’abuso delle commissioni d’inchiesta
Nei primi mesi della legislatura deputati e senatori hanno consumato un record: 63 proposte. L’ultima sul Covid. Tra poltrone, quattrini e dolce far niente, ecco gli usi distorti di questo strumento ispettivo

 

Come diceva il vecchio Craxi? Quando non si vuol decidere un problema, allora si nomina una bella commissione. Tanto più se armata dei medesimi poteri dell’autorità giudiziaria, com’è il caso delle commissioni parlamentari d’inchiesta. E tanto più se ogni commissione distribuisce poltrone (presidenze, vicepresidenze, sottopresidenze) e quattrini (costano in media 300 mila euro l’anno).

Sarà per questo che nei primi mesi della legislatura il Parlamento ha consumato un record: 63 proposte, firmate da un po’ tutti i partiti. Talune già trasformate in legge, come l’inchiesta sul femminicidio o quella sulla mafia, che peraltro si trascina dal 1962. Altre annunziate con clamore, come quella sul Covid, benché si sovrapponga alle indagini dei giudici di Bergamo, generando non poca confusione. Altre, molte altre, comunque ai nastri di partenza, anche perché la maggioranza avrebbe raggiunto già un’intesa: 7 presidenze a FdI, 4 alla Lega, 3 a FI, 2 ai centristi.

In questo scialo si riflettono le velleità dei nostri rappresentanti in Parlamento, ovvero un’ambizione, un desiderio inappagato. Qualcuno vorrebbe emulare il commissario Montalbano, sicché punta a risolvere i grandi misteri della cronaca nera. La scomparsa di Emanuela Orlandi (4 proposte); la morte di David Rossi, capo comunicazione del Monte dei Paschi di Siena; l’omicidio di Angelo Vassallo, sindaco Pd ucciso nel 2010; lo scandalo Forteto (2 proposte), cooperativa agricola teatro di pedofilia e molestie sessuali.

Altri parlamentari, viceversa, sollevano lo sguardo verso i destini del pianeta: da qui l’inchiesta sui cambiamenti climatici (un’idea del senatore Fina), sul rischio idrogeologico (deputato Bicchielli) o su quello cibernetico (sempre lui). Oppure si concentrano sulle piaghe sociali, dal degrado delle periferie (4 proposte) alla violenza sportiva, dalle pratiche commerciali scorrette ai naufragi nel Mediterraneo, dalle fake news al fenomeno delle sette.

Ma la tentazione più diffusa è quella di riscrivere la storia, indossando i panni di Tucidide. Così, i deputati Zaratti e Rampelli vorrebbero battezzare un’inchiesta sulla violenza politica degli anni Settanta. La loro collega Varchi tende l’indice sulla strage di via D’Amelio. Mentre tutta Forza Italia, dopo l’assoluzione di Berlusconi nel processo Ruby ter, chiede a gran voce una commissione d’inchiesta sull’uso politico della giustizia. E of course su Tangentopoli, seme d’ogni male.

Da qui una nuova categoria del diritto costituzionale, destinata allo studio dei manuali. Se in passato i giuristi distinguevano le indagini condotte dalle Camere nei due tipi dell’inchiesta politica (che mira ad accertare le responsabilità del governo su una materia d’interesse pubblico) e di quella legislativa (volta ad acquisire dati e informazioni per poi legiferare), ora s’affaccia una creatura bifida: l’inchiesta (parlamentare) sull’inchiesta (giudiziaria). Ovvero, l’inchiesta al quadrato.

Ma da qui pure un dubbio al cubo, circa gli usi e gli abusi di questo strumento ispettivo. Giacché i nostri parlamentari erano mille, come i garibaldini; adesso sono un terzo in meno. Come faranno a presidiare questi organismi straordinari, quando già faticano ad essere presenti nelle commissioni permanenti e nelle Giunte?

A meno che confidino sul dolce far nulla che s’accompagna, in genere, a questo tipo di lavoro: stando ai dati di Openpolis, le commissioni d’inchiesta si riuniscono – in media – per 6 ore al mese.

Sempre che lo facciano, perché quella sulla ricostruzione dell’Aquila (deliberata dal Senato nel 2016) non venne mai costituita. Mentre per quella sui rifiuti (del 1995) l’unico rifiuto esaminato dai suoi commissari fu il rifiuto di riunirsi. Ecco perché 7 proposte vorrebbero adesso rinnovarla, per rinverdire i fasti del passato.

In secondo luogo, l’inchiesta parlamentare è un’eccezione, non la regola. E infatti nelle prime due legislature (1948-1958) ne furono varate appena tre. Perché la loro stessa istituzione suona come un atto di sfiducia verso la magistratura, e al contempo come un quarto grado di giudizio, come se di appelli e contrappelli già non ne avessimo abbastanza. E perché, in una Repubblica ordinata, sono i giudici a firmare le sentenze, non i politici.

In Italia, al contrario, il Parlamento indaga, giudica, processa; mentre il governo legifera in sua vece con l’arma dei decreti. Ma la confusione, come diceva Dante (Paradiso, XVI), “sempre principio fu del mal de la cittade”.

 

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