Tito Boeri, Roberto Perotti La Repubblica 9 marzo 2023
I conti ambigui degli aiuti
A un anno dall’invasione russa si avverte una certa stanchezza presso le opinioni pubbliche occidentali sugli aiuti all’Ucraina. Secondo il Pew Research Centre, negli Stati Uniti la quota di elettori che ritiene che il loro Paese stia fornendo troppi aiuti all’Ucraina è quadruplicata dall’inizio della guerra ad oggi.
Una fetta consistente del Partito Repubblicano cavalca questa stanchezza. Steve Bannon istiga le platee al grido «volete forse morire per l’Ucraina?».
In Europa, sebbene più vicina al fronte, la situazione non è molto diversa. Secondo il Project Europe Research of Századvég solo in 9 Paesi sui 27 dell’Unione Europea c’è una maggioranza di cittadini favorevoli a sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina. Fra i Paesi maggiormente contrari figura l’Italia.
Il problema è anche che c’è molta disinformazione sui costi effettivamente sostenuti sin qui nel sostegno economico e militare all’Ucraina. Capita di leggere di tutto a riguardo. Secondo tesi ricorrenti anche su giornali generalmente attendibili, l’Europa avrebbe sin qui speso più degli Stati Uniti e le sanzioni alla Russia avrebbero causato una caduta del Pil dell’Ue del 2,5%. Sono affermazioni fuorvianti.
L’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute ha raccolto dati relativi a 40 governi e alla Ue in quanto istituzione, distinti per tipologia di aiuto: militare, umanitario e finanziario (prestiti agevolati). Per queste voci, i Paesi Ue hanno impegnato, bilateralmente o indirettamente attraverso la Ue e la Banca Europea degli Investimenti, 54 miliardi, di cui 35 sono prestiti. Nettamente meno dei 73 miliardi impegnati dagli Stati Uniti.
Solo aggiungendo 26 miliardi di costi per i rifugiati (stimati con molta approssimazione, e sopportati in gran parte da Germania e Polonia), i Paesi della Ue arrivano ad eguagliare gli impegni presi dagli Stati Uniti. L’intera Ue ha destinato all’Ucraina un decimo di quanto versato per i provvedimenti rivolti a famiglie e imprese colpite dal caro energia.
Questi sono gli impegni; gli esborsi effettivi sono un’altra cosa. Solo 15 miliardi su 35 degli impegni per prestiti (il dato non è disponibile per aiuti umanitari e militari) è stato sin qui effettivamente elargito dai Paesi Ue.
Ma probabilmente in questo momento il problema più pressante per l’Ucraina non sono gli aiuti finanziari, ma quelli militari: primum vivere.
Il problema è che dalla sua fondazione l’Unione Europea non può erogare fondi per comprare armi letali, solo i singoli Paesi membri possono farlo. Recentemente però il “ministro degli esteri” della Ue è riuscito a convincere i Paesi membri a usare 3,1 miliardi dei 5,7 miliardi in dotazione al Fondo Europeo per la Pace (forse non esattamente il nome giusto a questo punto) per finanziare l’acquisto di armi letali per l’Ucraina. Con questi fondiverranno pagati per esempio 327 carri armati.
I paesi Ue hanno quindi finora stanziato complessivamente 15 miliardi per aiuti militari. Si vuole ora consentire alla Ue di erogare fondi direttamente per armi letali, senza dover passare dal piccolo Fondo Europeo per la Pace (ricordiamo che alcuni membri della Ue, come l’Austria, sono costituzionalmente neutrali). In ogni caso, il grosso punto di domanda è come convertire questi soldi in armi e munizioni sul terreno, dato che le industrie belliche europee (e anche quelle americane) non sono preparate a produrre ai ritmi dettati dalla guerra, e le scorte sono quasi esaurite.
Ieri i ministri della difesa si sono riuniti per esaminare il problema.
Gli aiuti all’Ucraina sono stati sin qui contenuti anche in rapporto a conflitti precedenti. Per esempio, la Germania (il principale donatore europeo) ha destinato all’Ucraina il 30 percento di quanto speso per la Guerra del Golfo del 1990-91, contro il 37 percento degli Usa, che pure erano più direttamente coinvolti in quella guerra.
L’Italia è in penultima posizione nella Ue come stanziamenti bilaterali in relazione al Pil, inclusi i costi per i rifugiati: lo 0,10 percento, davanti solo all’Irlanda; un terzo della Germania e un ventesimo della Polonia. In tutto 2 miliardi circa, meno di un sessantesimo dei bonus edilizi, di cui la metà sono costi per i rifugiati e 660 milioni sono destinati ad aiuti militari. C’è poco da stupirsi che Zelensky abbia avuto un colloquio privato con Scholz ma non con Meloni; semplicemente, dal punto di vista dell’Ucraina l’Italia non è una fonte di aiuti significativa (e, sia chiaro, non lo era neanche il precedente governo italiano).
Anche il decreto varato tre giorni fa dal governo prevede per i profughi 300 euro al mese per ogni adulto e 150 per ogni minore, e questo comunque limitato ai primi tre mesi dall’arrivo in Italia e solo per chi non fosse ospitato in centri d’accoglienza. Il servizio richiesto per l’accoglienza delle famiglie nei centri peraltro non prevede alcuna attività volta a facilitare l’inserimento dei figli nelle scuole e la mobilità verso il luogo di lavoro. Purtroppo il governo italiano, a differenza di tutti gli altri Paesi della Ue, non fornisce dati sull’inserimento dei profughi nel mercato del lavoro.
I racconti dei profughi sono allarmanti: donne impegnate a raccogliere ciliegie a 6 euro all’ora, confinamento in zone lontane da qualsiasi posto di lavoro, permessi in scadenza che non consentono di lavorare e affittare case regolarmente. In un momento in cui finalmente si riconosce la necessità di attrarre più immigrati in Italia per rispondere alle esigenze di famiglie e imprese, è importante anche capire che nell’accogliere più immigrati bisogna organizzare la loro integrazione.
I conti ambigui degli aiuti alla guerra e ai profughi
Tito Boeri, Roberto Perotti La Repubblica 9 marzo 2023
I conti ambigui degli aiuti
A un anno dall’invasione russa si avverte una certa stanchezza presso le opinioni pubbliche occidentali sugli aiuti all’Ucraina. Secondo il Pew Research Centre, negli Stati Uniti la quota di elettori che ritiene che il loro Paese stia fornendo troppi aiuti all’Ucraina è quadruplicata dall’inizio della guerra ad oggi.
Una fetta consistente del Partito Repubblicano cavalca questa stanchezza. Steve Bannon istiga le platee al grido «volete forse morire per l’Ucraina?».
In Europa, sebbene più vicina al fronte, la situazione non è molto diversa. Secondo il Project Europe Research of Századvég solo in 9 Paesi sui 27 dell’Unione Europea c’è una maggioranza di cittadini favorevoli a sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina. Fra i Paesi maggiormente contrari figura l’Italia.
Il problema è anche che c’è molta disinformazione sui costi effettivamente sostenuti sin qui nel sostegno economico e militare all’Ucraina. Capita di leggere di tutto a riguardo. Secondo tesi ricorrenti anche su giornali generalmente attendibili, l’Europa avrebbe sin qui speso più degli Stati Uniti e le sanzioni alla Russia avrebbero causato una caduta del Pil dell’Ue del 2,5%. Sono affermazioni fuorvianti.
L’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute ha raccolto dati relativi a 40 governi e alla Ue in quanto istituzione, distinti per tipologia di aiuto: militare, umanitario e finanziario (prestiti agevolati). Per queste voci, i Paesi Ue hanno impegnato, bilateralmente o indirettamente attraverso la Ue e la Banca Europea degli Investimenti, 54 miliardi, di cui 35 sono prestiti. Nettamente meno dei 73 miliardi impegnati dagli Stati Uniti.
Solo aggiungendo 26 miliardi di costi per i rifugiati (stimati con molta approssimazione, e sopportati in gran parte da Germania e Polonia), i Paesi della Ue arrivano ad eguagliare gli impegni presi dagli Stati Uniti. L’intera Ue ha destinato all’Ucraina un decimo di quanto versato per i provvedimenti rivolti a famiglie e imprese colpite dal caro energia.
Questi sono gli impegni; gli esborsi effettivi sono un’altra cosa. Solo 15 miliardi su 35 degli impegni per prestiti (il dato non è disponibile per aiuti umanitari e militari) è stato sin qui effettivamente elargito dai Paesi Ue.
Ma probabilmente in questo momento il problema più pressante per l’Ucraina non sono gli aiuti finanziari, ma quelli militari: primum vivere.
Il problema è che dalla sua fondazione l’Unione Europea non può erogare fondi per comprare armi letali, solo i singoli Paesi membri possono farlo. Recentemente però il “ministro degli esteri” della Ue è riuscito a convincere i Paesi membri a usare 3,1 miliardi dei 5,7 miliardi in dotazione al Fondo Europeo per la Pace (forse non esattamente il nome giusto a questo punto) per finanziare l’acquisto di armi letali per l’Ucraina. Con questi fondiverranno pagati per esempio 327 carri armati.
I paesi Ue hanno quindi finora stanziato complessivamente 15 miliardi per aiuti militari. Si vuole ora consentire alla Ue di erogare fondi direttamente per armi letali, senza dover passare dal piccolo Fondo Europeo per la Pace (ricordiamo che alcuni membri della Ue, come l’Austria, sono costituzionalmente neutrali). In ogni caso, il grosso punto di domanda è come convertire questi soldi in armi e munizioni sul terreno, dato che le industrie belliche europee (e anche quelle americane) non sono preparate a produrre ai ritmi dettati dalla guerra, e le scorte sono quasi esaurite.
Ieri i ministri della difesa si sono riuniti per esaminare il problema.
Gli aiuti all’Ucraina sono stati sin qui contenuti anche in rapporto a conflitti precedenti. Per esempio, la Germania (il principale donatore europeo) ha destinato all’Ucraina il 30 percento di quanto speso per la Guerra del Golfo del 1990-91, contro il 37 percento degli Usa, che pure erano più direttamente coinvolti in quella guerra.
L’Italia è in penultima posizione nella Ue come stanziamenti bilaterali in relazione al Pil, inclusi i costi per i rifugiati: lo 0,10 percento, davanti solo all’Irlanda; un terzo della Germania e un ventesimo della Polonia. In tutto 2 miliardi circa, meno di un sessantesimo dei bonus edilizi, di cui la metà sono costi per i rifugiati e 660 milioni sono destinati ad aiuti militari. C’è poco da stupirsi che Zelensky abbia avuto un colloquio privato con Scholz ma non con Meloni; semplicemente, dal punto di vista dell’Ucraina l’Italia non è una fonte di aiuti significativa (e, sia chiaro, non lo era neanche il precedente governo italiano).
Anche il decreto varato tre giorni fa dal governo prevede per i profughi 300 euro al mese per ogni adulto e 150 per ogni minore, e questo comunque limitato ai primi tre mesi dall’arrivo in Italia e solo per chi non fosse ospitato in centri d’accoglienza. Il servizio richiesto per l’accoglienza delle famiglie nei centri peraltro non prevede alcuna attività volta a facilitare l’inserimento dei figli nelle scuole e la mobilità verso il luogo di lavoro. Purtroppo il governo italiano, a differenza di tutti gli altri Paesi della Ue, non fornisce dati sull’inserimento dei profughi nel mercato del lavoro.
I racconti dei profughi sono allarmanti: donne impegnate a raccogliere ciliegie a 6 euro all’ora, confinamento in zone lontane da qualsiasi posto di lavoro, permessi in scadenza che non consentono di lavorare e affittare case regolarmente. In un momento in cui finalmente si riconosce la necessità di attrarre più immigrati in Italia per rispondere alle esigenze di famiglie e imprese, è importante anche capire che nell’accogliere più immigrati bisogna organizzare la loro integrazione.