Difficile fare peggio, ci si aspettava almeno un sussulto di umanità.

Maurizio Ambrosini Avvenire 10 marzo 2023
Difficile fare peggio
Migrazioni, continua lo “sgoverno”. Al premier olandese Rutte che come da copione chiedeva di contrastare i cosiddetti “movimenti secondari” dei richiedenti asilo dal Paese Ue di primo approdo verso altri Paesi dell’Unione, la collega Meloni ha risposto che bisogna invece contrastare i “movimenti primari”.

 

Ossia gli arrivi.  È questa la logica in cui s’inscrive la teatrale convocazione del Consiglio dei ministri a Cutro, dopo giorni di latitanza governativa dopo la strage davanti alle coste calabresi. Una volta definita la strategia, nel governo sono sorte tensioni su come attuarla.

La linea dura di Meloni è in concorrenza con la linea durissima della Lega di Salvini, che propone il ritorno ai decreti (in)sicurezza del 2018. Quelli già ridimensionati dai pronunciamenti della Corte costituzionale e messi in questione dal presidente Mattarella. Rincarando la dose, mercoledì Salvini ha elogiato il premier britannico Sunak che, riesumando un’iniziativa assai criticata di Boris Johnson, intende abolire in sostanza il diritto d’asilo sul suolo britannico per chi arriva dal mare in modo irregolare, spedendolo in Ruanda.

La convocazione governativa a Cutro doveva quindi dare agli italiani l’impressione di affrontare in modo nuovo e risolutivo i nodi più drammatici della questione migratoria. Una sfida in realtà assai più ampia e articolata del tema degli sbarchi dal mare. Infatti i primi cinque articoli del decreto sono dedicati a una correzione del decreto-flussi che regola gli ingressi regolari per lavoro: erano norme attese e sollecitate dal mondo imprenditoriale, che da tempo segnala fabbisogni di manodopera scoperti e lamenta procedure troppo complesse.

Finora i decreti-flussi sono serviti sostanzialmente a regolarizzare lavoratori in realtà già entrati in Italia. Le nuove norme hanno il merito di semplificare e accelerare le procedure per il rilascio delle autorizzazioni, privilegiando il ruolo delle associazioni di categoria come garanti del rispetto di norme e contratti. Ma rimane il dubbio se davvero i datori di lavoro saranno disponibili ad assumere in forma nominativa persone del tutto sconosciute.

Quanto alla prevenzione degli arrivi spontanei di profughi, il legame è labile: il governo italiano prevede quote preferenziali per i Paesi che organizzeranno campagne mediatiche per prevenire le partenze. È una strada già tentata dalla Ue, con ingenti investimenti e risultati controproducenti: chi vive nel Sud del mondo quando è raggiunto da queste campagne tende piuttosto a immaginare che se gli europei spendono denaro per invitarlo a non partire, è perché davvero dispongono di un benessere che non vogliono condividere.

Se l’aumento delle possibilità di ingresso per lavoro può forse rispondere a una parte delle esigenze di alcuni Paesi in crisi, come Tunisia ed Egitto, non servirà per chi fugge da guerre e oppressioni, rimanendo peraltro escluso dalle autorizzazioni all’ingresso: Afghanistan, Siria, Somalia, Eritrea e vari altri luoghi dolenti della geografia mondiale delle crisi umanitarie.

Il resto del decreto cerca di rafforzare la linea della chiusura, senza neppure provare a immaginare soluzioni alternative per l’accoglienza dei rifugiati.

La prima è il rafforzamento dei Cpr, ossia i centri destinati a rinchiudere le persone in vista del rimpatrio forzato, disumani quanto inefficienti, ammettendo così implicitamente il fallimento delle precedenti rumorose campagne sull’incremento delle espulsioni.

La seconda è l’aggravamento delle pene per i cosiddetti scafisti, su cui il governo scarica la responsabilità delle morti in mare. In realtà, chi guida le barche è l’ultimo anello della catena del trasporto illegale, non sono certo i boss a rischiare la vita in mare o l’arresto. Tra gli arrestati per la tragedia di Cutro c’è un minorenne, e qualche anno fa erano una cinquantina i minorenni rinchiusi nelle carceri italiane per reati analoghi.

Va poi ricordato ancora una volta che il trasporto illegale prospera perché non esistono vie d’ingresso legali a disposizione di chi fugge, e chi li organizza usa senza scrupoli mezzi fatiscenti o inadeguati perché sa che i natanti verranno sequestrati e distrutti. Infine, in coda è stato aggiunto in corsa, rispetto alla bozza preannunciata, il veleno che avrà le peggiori conseguenze sul futuro dei profughi e sulla qualità della vita urbana: il permesso per “protezione speciale” viene ristretto e in prospettiva, secondo la premier verrà abolito.

Era un’opportunità per tutelare chi, pur non avendo ottenuto il riconoscimento come rifugiato, aveva compiuto dei passi verso l’integrazione sociale, per esempio avendo imparato l’italiano e trovato un lavoro. Ricacciarlo nell’ombra, ossia in mezzo a una strada, sarà un dramma per lui e un problema per tutti. Nessuna menzione, almeno nei testi finora diffusi, di corridoi umanitari e altre soluzioni alternative ai viaggi a rischio mortale per mare. Era francamente difficile fare peggio, dopo una tragedia che ha scosso il Paese, e dopo la quale ci si aspettava almeno un sussulto di umanità.

 

 

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