Giovanni Bianconi Corriere della Sera 10 marzo 2023
Gaspare Spatuzza libero dopo 26 anni. Confessò le stragi di mafia
La detenzione finita, tra carcere e arresti domiciliari. Da uomo dei Graviano a pentito: su via D’Amelio ha svelato il depistaggio e fatto condannare anche Matteo Messina Denaro
Gaspare Spatuzza, l’autore delle stragi di mafia del 1992 e 1993 che ne ha riscritto la storia con un «pentimento» dal quale sono emersi clamorosi depistaggi e condanne di innocenti, è tornato in libertà. Sia pure «vigilata», ancora per un po’. Da due settimane ha ottenuto la liberazione condizionale, senza più i vincoli della detenzione domiciliare a cui era sottoposto dal 2014.
Gli restano cinque anni di prescrizioni da osservare — come, ad esempio, non frequentare «abitualmente» pregiudicati, o non uscire dalla provincia in cui abita senza autorizzazione — ma di fatto ha chiuso i conti con la giustizia italiana. Quella che l’ha condannato all’ergastolo per le bombe di Roma, Firenze e Milano esplose nell’estate di trent’anni fa (dieci morti e oltre cinquanta feriti) e per l’omicidio di padre Pino Puglisi, ammazzato il 15 settembre ’93; nonché a 12 anni di pena per il sequestro di Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo, poi ucciso e sciolto nell’acido dai suoi carcerieri.
Una carriera mafiosa tutta in ascesa sotto il nomignolo di ’u tignusu (il pelato) e all’ombra dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, dai quali nel 1994 ha ereditato la guida del clan palermitano di Brancaccio su indicazione dei capi di Cosa nostra, compreso Matteo Messina Denaro. Del quale ha svelato, da collaboratore di giustizia, un’operazione agli occhi sotto il nome di copertura di un affiliato alla sua cosca; lo stesso sotterfugio con cui ha curato il tumore e che ha portato alla sua cattura, nel gennaio scorso.
Arrestato nel luglio 1997, Spatuzza ha trascorso undici anni al «carcere duro», finché nel 2008 decise di parlare con i magistrati. Confessando le stragi per le quali era già stato condannato, ma anche quelle di Capaci e via D’Amelio di cui non era nemmeno sospettato. E sull’attentato che uccise Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta smascherò la macchinazione orchestrata col falso pentito Scarantino, costata l’ergastolo a sette persone estranee all’eccidio.
Le dichiarazioni del nuovo pentito, che si autoaccusò del furto della macchina utilizzata come autobomba, furono riscontrate in ogni dettaglio e sono servite a mandare alla sbarra per Capaci e via D’Amelio anche Messina Denaro, condannato in primo grado e in attesa dell’imminente sentenza d’appello.
Per Spatuzza i magistrati chiesero nel 2010 il programma di protezione, proposta inizialmente respinta dal governo di centrodestra. L’apposita commissione del Viminale contestò le dichiarazioni «a rate» che avevano coinvolto anche Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e un presunto accordo con i Graviano al tempo della nascita di Forza Italia. Successivamente il programma gli fu accordato e la collaborazione di Spatuzza è proseguita senza intoppi, con i permessi-premio, la detenzione domiciliare e ora la condizionale che un anno fa il tribunale di Sorveglianza di Roma gli aveva negato. Sostenendo che il «positivo percorso intrapreso» verso il «sicuro ravvedimento» previsto dalla legge non era ancora giunto a compimento. La sua avvocata Valeria Maffei s’è rivolta alla Cassazione che ha annullato quel verdetto viziato da «palese contraddizione tra premesse e conclusioni».
La nuova pronuncia della stessa Sorveglianza, su parere conforme di tutte le Procure antimafia interpellate, ha infine concesso la liberazione condizionale che chiude, a 26 anni dall’arresto, la vita da recluso di Spatuzza. Il quale tra un mese compirà 59 anni, e insieme al «pentimento» giudiziario ha maturato, secondo il suo difensore e ora anche secondo i giudici, una conversione religiosa che l’ha portato a compiere concreti «atti di riparazione e solidarietà sociale». Ne sarebbero prova il perdono chiesto alle vittime, l’attività di volontariato, l’invito a collaborare rivolto a tutti i mafiosi con cui è stato messo a confronto in quindici anni di indagini e processi.
A riprova del proprio riscatto il killer di mafia aveva esibito anche una lettera di don Vincenzo Russo, cappellano del penitenziario di Sollicciano. Testimone dell’incontro tra l’allora detenuto e il fratello di padre Puglisi che, ha scritto il sacerdote, «si presentava con un carico enorme di aspettative già consolidate: avrebbe conosciuto un criminale feroce, un mafioso per eccellenza. Invece è rimasto particolarmente colpito nel trovarsi di fronte una persona diversa da quella immaginata. Dopo i primi momenti di freddezza e imbarazzo, quasi gelo, egli ha colto di avere davanti a sé una persona che aveva rielaborato, che non era più la stessa. Non stupisce, perciò, se alla fine di quell’incontro egli sia riuscito a parlare addirittura di volontà di perdono».
Parole considerate sintomo di ravvedimento di Spatuzza, come pure «la preghiera e la riflessione» all’Accademia dei Georgofili, luogo della strage consumata a Firenze trent’anni fa; «un altro importantissimo gesto» da parte dell’attentatore, ha commentato il sacerdote: «Di grande significato, direi quasi catartico».