Tutte le falle del decreto Cutro, punto per punto

Alessandra Ziniti La Repubblica 11 marzo 2023
Migranti, pene per gli scafisti che esistevano già e flussi senza numeri: tutte le falle del decreto
L’analisi della “guerra globale” annunciata dalla premier Meloni contro i mercanti di uomini alla luce della cronaca recente e della storia dei morti in mare. Tra pene applicate già alte e clamorosi scambi di persona, la verità dei fatti

Alla Hamad Abdelkarim e Mered Medhanie. Basterebbero questi due nomi e le loro storie per dimostrare come le misure adottate dal consiglio dei ministri a Crotone (il decreto flussi è stato emanato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) e le roboanti affermazioni della premier Giorgia Meloni sulla lotta ai trafficanti che l’Italia intende condurre “in tutto l’orbe terraqueo”, sono solo uno specchietto per le allodole.

Buono a cercare di coprire la vacuità di un provvedimento che nulla aggiunge a quanto già in vigore sui flussi di ingresso di lavoratori stranieri nel nostro Paese. Dimentica totalmente l’annunciata misura di incremento dei corridoi umanitari. E continua solo a spingere nella direzione securitaria imposta dalla Lega: incremento dei Cpr e soprattutto ulteriore riduzione della protezione speciale. I nomi e le storie, dunque, cioè i fatti contro la propaganda.

L’inutile aumento delle pene per i trafficanti

Alla Hamad Abdelkarim è un giovane libico, già promessa del calcio nel suo Paese quando, nel 2015, sale su un barcone diretto in Italia. Da più di sette anni, ormai, è rinchiuso nelle carceri italiane, condannato a 30 anni come uno degli scafisti del barcone nel quale, il giorno di Ferragosto del 2015, morirono in 49. Soffocati nella stiva in cui erano stipati per la traversata, soffocati dal monossido di carbonio. Trent’anni, dunque, la pena (ormai definitiva) che questo scafista – che continua a proclamarsi innocente – dovrà scontare. Trent’anni esattamente come quelli che – secondo la narrazione del governo – potranno adesso essere inflitti, con l’inasprimento delle pene, agli scafisti di barconi che dovessero causare la morte delle persone trasportare. Niente di nuovo, visto che – come dimostra la storia di Abdelkarim – il codice penale italiano prevede la possibilità di infliggere 30 anni di carcere e persino l’ergastolo a chi viene condannato per traffico di essere umani e omicidio o strage in conseguenza di questo reato.

Nemmeno un boss arrestato, la caccia è impossibile

Di scafisti o presunti tali (visto che almeno 8 su 10 sono in realtà migranti a cui i veri trafficanti ordinano di mettersi al timone dei barconi) solo l’anno scorso ne sono stati arrestati in Italia circa 300. Di trafficant, intendendo coloro che dalla Libia all’Egitto, dalla Turchia alla Tunisia, incassano miliardi reggendo le file del traffico di esseri umani, nessuno. L’unico, portato in Italia con tanto di squilli di tromba nel 2016, era anche l’uomo sbagliato. Un’operazione di intelligence italo-inglese era convinta di avere individuato a Khartoum il temibile boss eritreo Mered Medhanie, ma la polizia sudanese (unica abilitata a fargli scattare le manette ai polsi) consegnarono all’Italia un presunto omonimo. Lo scambio di persona, emerso praticamente subito, fu ignorato dalla Dda di Palermo, competente. Ma dopo tre anni l’eritreo arrestato fu assolto e liberato con tante scuse. Da allora, di operazioni internazionali contro i trafficanti di uomini non se ne sono più fatte nonostante i loro nomi siano ben noti agli investigatori. Semplicemente perche le leggi internazionali non consentono alla polizia italiana di operare fuori dall’Europa in assenza di accordi transnazionali che l’Italia non ha mai stretto. Dunque, l’idea di Meloni di andare a prendere i trafficanti in tutto l’orbe terraqueo è solo fumo negli occhi.
Il decreto flussi, una scatola vuota

E una scatola vuota appare anche la norma che dovrebbe consentire canali regolari di ingresso per lavoratori stranieri. A parte la nuova programmazione triennale, e non più annuale come è stato finora, nel decreto del governo non c’è un numero che dia certezze su quanti saranno gli ingressi consentiti. Non si sa dunque se effettivamente saranno di più degli attuali 82mila. Né, tantomeno, si conoscono le quote premiali annunciate nei confronti di quei Paesi d’origine che si dovranno impegnare in campagne mediatiche contro le traversate in mare e non, come si era detto prima, siglando accordi di rimpatrio o cooperando nella lotta ai trafficanti. Nessuna specifica neanche sulle semplificazioni dell’iter burocratico né incremento del personale dell’amministrazione dell’Interno necessaria per l’effettiva concretizzazione di misure che, come accade ancora con la sanatoria 2020 dei lavoratori extracomunitari già presenti in Italia, rischiano di rimanere solo sulla carta.

I corridoi umanitari, un canale secco

Nessun capitolo dedicato ai corridoi umanitari, l’unico altro canale di ingresso regolare sul quale il governo si era impegnato. Fino ad ora con i corridoi, che hanno sostanzialmente solo l’egida del ministero dell’Interno, ma sono curati da associazioni private in collaborazione con l’Unhcr, sono arrivate in Italia negli ultimi anni poche migliaia di profughi, una goccia nel mare delle persone che avrebbero diritto. Il governo aveva annunciato di volerli incrementare con stanziamenti dedicati ma nel decreto non se ne fa alcun cenno.

La protezione speciale per pochi

Nel 2022 degli oltre 30.000 permessi di soggiorno rilasciati dall’Italia, circa 10.000 (dunque un terzo) sono stati concessi con la protezione speciale, che ha in parte sostituito l’istituto della protezione umanitaria abolita dal primo governo Conte. Il trend in costante aumento spiega l’insistenza della Lega per restingere le maglie di questo strumento che consente di accogliere chi, pur non fuggendo da Paesi in guerra, è comunque in una personale situazione di fragilità o rischio: razza, identità di genere, orientamento sessuale, ideee politiche o religiose. Diverse migliaia di persone fragili dunque rischiano di essere respinte e Giorgia Meloni ha addirittura annunciato l’intenzione del governo di cancellare del tutto la protezione speciale.

Il miraggio del coordinamento soccorsi

E, alla fine, dal provvedimento è del tutto scomparso l’aggiustamento delle regole di ingaggio per i soccorsi in mare che, alla ricerca di un equilibrio tra operazioni di polizia marittima e operazioni di soccorso, sembrava dovesse veder passare al ministero della Difesa il coordinamento strategico grazie a un particolare sistema di monitoraggio già disponibile. Misura cancellata e non sostituita con altro per le barricate alzate da Matteo Salvini: il leader della Lega non intendeva cedere alcuna delle sue prerogative nella regia dei soccorsi, oggi in Italia affidati, prima dell’intervento, al comando generale della Capitanerie di porto, che dipende dal ministero dei Trasporti, e, a soccorso effettuato, al centro nazionale di cordinamento del Viminale per quel che riguarda gli aspetti di sicurezza nazionale.

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