Romano Prodi Il Messaggero 11 marzo 2023
Le nostre vite e lo strapotere dei Signori della Rete
Si è molto parlato, come è giusto e doveroso, dell’eccessiva concentrazione della ricchezza e del parallelo aumento delle disparità sociali, ma poco si è detto di come questo nuovo secolo abbia portato un generale indebolimento della politica di fronte ai giganti economici.
Questo è accaduto in tutti i settori: dal commercio dei prodotti alimentari alla finanza, dalla chimica alla farmaceutica, fino all’energia. Nulla è tuttavia paragonabile a quanto è avvenuto nel campo delle imprese nate intorno alla rete che, per dimensione e per potere di mercato, superano ogni esempio precedente e, nello stesso tempo, godono di una libertà di azione che non ha alcun precedente nella storia.
Anche se sono passati parecchi decenni, non posso dimenticare come, quando compivo i primi studi sulla concorrenza, fosse dottrina condivisa che, tramite le leggi antitrust, il governo dovesse non solo impedire il così detto “abuso di posizione dominante” di una grande impresa, ma dovesse anche intervenire quando l’eccessiva grandezza rendeva l’azienda troppo potente.
Questo anche senza il compimento di alcuna azione illecita. Negli anni ottanta il governo americano ha imposto la frammentazione dei due giganti tecnologi del tempo (IBM e ATT) proprio fondandosi sull’affermazione che il loro eccessivo potere di mercato poteva indebolire i diritti dei cittadini e che una “dittatura economica” avrebbe fatto camminare l’America verso la dittatura politica.
Tutto questo è stato dimenticato con le dottrine ultraliberiste di Reagan e Thatcher che, proprio a partire dagli anni ottanta, hanno dominato non solo la politica degli Stati Uniti, ma quella di tutti i paesi democratici.
L’Antitrust non è più stato lo strumento per fare prevalere il potere democratico sul potere economico, e si è progressivamente indebolito proprio quando nascevano i nuovi protagonisti della vita economica mondiale che, attraverso la rete, hanno costruito un potere incomparabilmente maggiore rispetto al passato.
Un potere che ha permesso a questi giganti di mettere fuori gioco o di comprare qualsiasi potenziale concorrente. Non è certo di scarso rilievo constatare che Facebook ha acquistato 90 imprese, Google un numero tre volte superiore e Apple (come sottolinea il recente libro “Internet fatta a pezzi” di Bertola e Quintarelli) ha raggiunto un valore di borsa pari all’intero Prodotto Interno Lordo della Francia. Si tratta di una realtà senza confronti e senza precedenti.
Tutte le più grandi imprese operanti oggi nel mondo occidentale (e simmetricamente in Cina) sono nate da Internet e, a differenza del passato, agiscono a livello globale e dominano l’intero mercato pubblicitario proprio perché sono in grado di controllare le abitudini di vita di tutti noi e venderle a chi ne ha interesse. Quasi tutti i prodotti delle grandi imprese a rete, a partire dalle indispensabili mail fino ai tanti altri servizi ai quali non possiamo rinunciare, vengono offerti “gratuitamente” al consumatore finale proprio perché altri li pagano.
Questa diffusa “gratuità” costituisce l’enorme patrimonio politico di queste grandi imprese. Quando infatti, in tempi ormai lontani, sollevavamo la necessità di rinforzare l’antitrust, eravamo sostenuti dalla gran parte dell’opinione pubblica, irritata dal fatto che i padroni del mercato (chiamati con dispregio “baroni rapinatori”) aumentavano “visibilmente” il prezzo dei beni che arrivavano all’acquirente finale.
Oggi tutto questo è pagato dalla pubblicità o dalla vendita delle informazioni e nulla pesa quindi “direttamente” sulle spalle del consumatore. Anche per questo motivo Bill Gates e gli altri costruttori della rete sono oggi il simbolo eroico della modernità per i cittadini e, di conseguenza, per i loro rappresentanti politici. Si è creato quindi un tale cambiamento di scenario per cui un leader di una impresa a rete (il direttore di PayPal) ha potuto dichiarare, senza causare sostanziali rivolte, che la concorrenza è uno strumento destinato solo a favorire i perdenti.
Tra quelli che con disprezzo sono definiti perdenti vi è certo l’Europa che, opportunamente, ha tuttavia iniziato a costruire una protezione dei propri cittadini con due provvedimenti (chiamati Digital Markets Act e Digital Services Act) volti a ridurre, anche se in modo ancora molto limitato, la posizione dominante dei grandi operatori e i contenuti illegali o distorsivi dei loro prodotti.
Resta il fatto che le nostre imprese, la nostra pubblica amministrazione e le vite di tutti dipendono sempre più dallo straordinario potere di mercato e dalla capacità di influenza dei grandi signori della rete.
Non è perciò assurdo convenire con chi sostiene che essi stanno diventando così potenti da interferire profondamente nella vita democratica di ogni paese, sostituendo in molti ambiti i nostri governanti. Con la differenza che noi non siamo chiamati a votare per i presidenti di Google, di Apple o di Amazon.
Le nostre vite e lo strapotere dei Signori della Rete
Romano Prodi Il Messaggero 11 marzo 2023
Le nostre vite e lo strapotere dei Signori della Rete
Si è molto parlato, come è giusto e doveroso, dell’eccessiva concentrazione della ricchezza e del parallelo aumento delle disparità sociali, ma poco si è detto di come questo nuovo secolo abbia portato un generale indebolimento della politica di fronte ai giganti economici.
Questo è accaduto in tutti i settori: dal commercio dei prodotti alimentari alla finanza, dalla chimica alla farmaceutica, fino all’energia. Nulla è tuttavia paragonabile a quanto è avvenuto nel campo delle imprese nate intorno alla rete che, per dimensione e per potere di mercato, superano ogni esempio precedente e, nello stesso tempo, godono di una libertà di azione che non ha alcun precedente nella storia.
Anche se sono passati parecchi decenni, non posso dimenticare come, quando compivo i primi studi sulla concorrenza, fosse dottrina condivisa che, tramite le leggi antitrust, il governo dovesse non solo impedire il così detto “abuso di posizione dominante” di una grande impresa, ma dovesse anche intervenire quando l’eccessiva grandezza rendeva l’azienda troppo potente.
Questo anche senza il compimento di alcuna azione illecita. Negli anni ottanta il governo americano ha imposto la frammentazione dei due giganti tecnologi del tempo (IBM e ATT) proprio fondandosi sull’affermazione che il loro eccessivo potere di mercato poteva indebolire i diritti dei cittadini e che una “dittatura economica” avrebbe fatto camminare l’America verso la dittatura politica.
Tutto questo è stato dimenticato con le dottrine ultraliberiste di Reagan e Thatcher che, proprio a partire dagli anni ottanta, hanno dominato non solo la politica degli Stati Uniti, ma quella di tutti i paesi democratici.
L’Antitrust non è più stato lo strumento per fare prevalere il potere democratico sul potere economico, e si è progressivamente indebolito proprio quando nascevano i nuovi protagonisti della vita economica mondiale che, attraverso la rete, hanno costruito un potere incomparabilmente maggiore rispetto al passato.
Un potere che ha permesso a questi giganti di mettere fuori gioco o di comprare qualsiasi potenziale concorrente. Non è certo di scarso rilievo constatare che Facebook ha acquistato 90 imprese, Google un numero tre volte superiore e Apple (come sottolinea il recente libro “Internet fatta a pezzi” di Bertola e Quintarelli) ha raggiunto un valore di borsa pari all’intero Prodotto Interno Lordo della Francia. Si tratta di una realtà senza confronti e senza precedenti.
Tutte le più grandi imprese operanti oggi nel mondo occidentale (e simmetricamente in Cina) sono nate da Internet e, a differenza del passato, agiscono a livello globale e dominano l’intero mercato pubblicitario proprio perché sono in grado di controllare le abitudini di vita di tutti noi e venderle a chi ne ha interesse. Quasi tutti i prodotti delle grandi imprese a rete, a partire dalle indispensabili mail fino ai tanti altri servizi ai quali non possiamo rinunciare, vengono offerti “gratuitamente” al consumatore finale proprio perché altri li pagano.
Questa diffusa “gratuità” costituisce l’enorme patrimonio politico di queste grandi imprese. Quando infatti, in tempi ormai lontani, sollevavamo la necessità di rinforzare l’antitrust, eravamo sostenuti dalla gran parte dell’opinione pubblica, irritata dal fatto che i padroni del mercato (chiamati con dispregio “baroni rapinatori”) aumentavano “visibilmente” il prezzo dei beni che arrivavano all’acquirente finale.
Oggi tutto questo è pagato dalla pubblicità o dalla vendita delle informazioni e nulla pesa quindi “direttamente” sulle spalle del consumatore. Anche per questo motivo Bill Gates e gli altri costruttori della rete sono oggi il simbolo eroico della modernità per i cittadini e, di conseguenza, per i loro rappresentanti politici. Si è creato quindi un tale cambiamento di scenario per cui un leader di una impresa a rete (il direttore di PayPal) ha potuto dichiarare, senza causare sostanziali rivolte, che la concorrenza è uno strumento destinato solo a favorire i perdenti.
Tra quelli che con disprezzo sono definiti perdenti vi è certo l’Europa che, opportunamente, ha tuttavia iniziato a costruire una protezione dei propri cittadini con due provvedimenti (chiamati Digital Markets Act e Digital Services Act) volti a ridurre, anche se in modo ancora molto limitato, la posizione dominante dei grandi operatori e i contenuti illegali o distorsivi dei loro prodotti.
Resta il fatto che le nostre imprese, la nostra pubblica amministrazione e le vite di tutti dipendono sempre più dallo straordinario potere di mercato e dalla capacità di influenza dei grandi signori della rete.
Non è perciò assurdo convenire con chi sostiene che essi stanno diventando così potenti da interferire profondamente nella vita democratica di ogni paese, sostituendo in molti ambiti i nostri governanti. Con la differenza che noi non siamo chiamati a votare per i presidenti di Google, di Apple o di Amazon.