Minoranza Pd divisa su come stare nella nuova fase

Giovanna Vitale La Repubblica 13 marzo 2023
Bonaccini frena i suoi sul risiko per la segreteria “Spazio ai più dialoganti”
Partita aperta anche sui ruoli di capigruppo Capone e Gribaudo elette vicepresidenti

Per quindici anni ci hanno provato tutti. Tutti i segretari del Pd, all’atto dell’insediamento, hanno promesso di azzerare il correntismo sfrenato di un partito che ha sempre fatto fatica a restare unito, divorando leader come Crono i suoi figli. La novità di giornata è che stavolta Elly Schlein potrebbe riuscirci, non solo perché incarna quella rottura col mondo di prima sancita dal popolo dei gazebo, ma anche grazie alla sponda decisiva di un alleato inatteso: Stefano Bonaccini. È lui, lo sconfitto, l’uomo che potrebbe aiutarla a mettere la parola fine alla perenne conflittualità interna travestita da pluralismo politico che per tre lustri ha reso la vita impossibile ai vari inquilini del Nazareno.

Dopo il fluviale discorso di apertura della neo-segretaria — accolto dallo sfidante con baci, abbracci e gesti di giubilo — il presidente dell’Assemblea fresco di investitura sale sul palco e manda un messaggio chiarissimo ai sostenitori più accaniti della sua mozione: quelli che fin dal primo momento — in particolare l’ala dura di Base riformista capitanata da Lorenzo Guerini e i Giovani Turchi di Matteo Orfini — avevano tifato contro ogni possibile accordo, provando a convincere il governatore emiliano a non prendere alcun incarico, al massimo un ruolo di garanzia, per poter guidare più liberamente l’opposizione a Schlein. «Diamo tutti una mano al grande lavoro che ci aspetta», esordisce Bonaccini. «Ho accettato di fare il presidente con questo spirito, non mi sento minoranza né opposizione, il Pd è casa mia», avverte. «Possiamo avere opinioni diverse e alcune le abbiamo, ma le faremo vivere nel confronto leale. Da oggi ci mettiamo a disposizione per unire con un confronto franco, leale e costruttivo».

La spia di un appeasement che semina subito il panico fra i suoi sostenitori. Raggiunti nel frattempo da un consiglio spassionato: «Per il bene del Pd deponete le armi e chiudiamo la partita». Fino a ieri mattina ancora tutta per aria. Perciò l’Assemblea nazionale inizia con un’ora e mezza di ritardo e pure il voto sulla lista per la Direzione slitta un paio di volte. Colpa dello scontro che si consuma dentro il correntone che fa capo a Bonaccini: troppi gli aspiranti, troppo pochi i posti disponibili. Cinquantaquattro, contro i 66 di Schlein, suddivisi in base alle rispettive percentuali ottenute alle primarie.

Un risiko giocato a colpi di «togli questo nome, metti questo nome, anzi no, ricominciamo daccapo», che deve anche tener conto delleeventuali caselle in segreteria (si parla di 3-4, su 12, in quota Bonaccini, tra cui Pina Picierno) e della guida dei gruppi parlamentari. Perché «se si fa un accordo dev’essere complessivo e riguardare sia il partito sia gli incarichi istituzionali», spiega uno degli uomini forti della mozione sconfitta alle primarie. Segno di un clima di ripicche e sospetti che finisce per coinvolgere pure il presidente dell’Emilia-Romagna, accusato di voler giocare solo per sé e i suoi fedelissimi.

Ma è qui che i due ex sfidanti ora alleati dimostrano di che pasta sono fatti. Partorendo per la Direzione un Cencelli 4.0 che include i riformisti più dialoganti — da Enrico Borghi a Simona Bonafè, passando per Giorgio Gori e Davide Baruffi — ed esclude gli esponenti meno propensi al dialogo. Oltre a mandare precisi segnali di allargamento e innovazione, che stanno a cuore a entrambi: l’ingresso delle ex segretarie di Cgil e Cisl, Camusso e Furlan; delle Sardine Santori e Cristallo; degli ex Articolo1 D’Attorre e Guerra; di padri e madri nobili come Goffredo Bettini e Livia Turco; di un nome storico del cattolicesimo democratico (area parecchio in sofferenza) come Silvia Costa.

È questo il metodo, d’ora in avanti. Schlein e Bonaccini si incontreranno, si parleranno e alla fine cercheranno di concordare il percorso. Ovviamente nel rispetto dei ruoli: lei segretaria, lui presidente del Pd. E siccome però fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, la leader ha piazzato come vicepresidente una deputata-mastino di sua stretta fiducia: Chiara Gribaudo, mentre l’altra è la pugliese Loredana Capone, sponsorizzata da Francesco Boccia. Sul cui nome si sta combattendo l’ultima battaglia.

L’ex capo del comitato Schlein è infatti in pole per fare il capogruppo al Senato, poltrona che la minoranza vorrebbe per sé. La segretaria sarebbe al limite disposta a concedere quello della Camera, dove chiunque passerebbe in secondo piano, essendoci lei a guidare l’opposizione al governo. Ma i riformisti protestano. E minacciano sabotaggi nel voto segreto. Ma dovranno fare i conti con Bonaccini. E la pax imposta al Pd.

 

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