Guido Maria Brera: “Colpa della deregulation di Trump, ma non avremo un’altra Lehman”

Francesco Bertolino La Stampa 14 marzo 2023
Guido Maria Brera: “Colpa della deregulation di Trump, ma non avremo un’altra Lehman”
Il finanziere: «Sistema europeo solido, le Borse sono crollate per fattori emotivi»

«Quello di Silicon Valley Bank è un caso tipicamente americano, frutto della deregolamentazione. E in quei confini è destinato a rimanere». Guido Maria Brera, è sicuro che il crac dell’istituto californiano non si ripercuoterà sul sistema europeo. Non esiste cioè il rischio di una nuova Lehman Brothers e di un’altra crisi finanziaria. Secondo il capo investimenti della società di gestione del risparmio Kairos, «la banca è il garante del patto fra cittadini e Stato e questo accordo deve rimanere valido».
Perché è così fiducioso riguardo alla tenuta delle banche europee?

«Il sistema europeo è solido: il modello delle banche italiane è diametralmente opposto a quello di Silicon Valley Bank. Non raccolgono depositi soltanto da una classe di imprese, ma hanno una clientela diversificata per geografia, settore industriale e tipologia. La concentrazione nel settore tecnologico e delle startup è stata la condanna di Svb».
Perché?
«I suoi depositanti erano imprenditori molto competenti in ambito finanziario. Si sono quindi subito resi conto del pericolo insito nel disallineamento fra depositi a breve termine e investimenti a lungo termine che caratterizzava il bilancio di Svb. Non appena una manciata di clienti ha iniziato a prelevare, il passaparola ha creato un effetto valanga che ha travolto la banca. La tecnologia ha accelerato il transito delle informazioni e, di conseguenza, la velocità di reazione degli operatori di mercato».

L’intervento della Fed e della Casa Bianca basterà a bloccare la reazione a catena?
«Il governo Usa ha detto che i depositi sono al sicuro e che farà tutto ciò che serve per proteggerli. Biden e Powell puntano a ottenere lo stesso effetto del “whatever it takes” di Mario Draghi, quello di una profezia che si autoavvera: basta garantire la sicurezza dei depositi per evitare una corsa allo sportello e far sì che siano sicuri. Il problema è che la credibilità e la reputazione delle autorità americane sono meno solide di quelle di Draghi».

Perché?
«La Fed, come la Bce del resto, sta scontando il ritardo nell’intervento sull’inflazione. È stata a lungo considerata transitoria e quindi non bisognosa di alcun intervento preventivo sui tassi. Quando ci si è resi conto che il rialzo dei prezzi era invece strutturale, è stato necessario un intervento drastico che solo una settimana fa Powell considerava non ancora terminato. Dopo il crac di Svb, invece, è probabile che i tassi rimarranno fermi per un po’. A risentirne è la credibilità della Fed».

Cosa mina invece quella del governo americano?
«Gli Stati Uniti stanno pagando 15 anni di deregolamentazione. L’amministrazione Trump ha in particolare allentato la vigilanza sulle banche con attivi inferiori ai 250 miliardi di dollari come Svb, creando il pericolo di un contagio finanziario».

Quale?
«Si è dimenticato che le banche regionali sono interconnesse l’una all’altra: ciò fa sì che di fatto siano anch’esse too big to fail, troppo grandi per fallire. Il domino innescato dal collasso di Svb l’ha dimostrato ancora una volta: se lasciata troppo libera di agire, la mano del mercato diventa esiziale per la stabilità finanziaria del sistema americano».

Se l’Europa non corre tale rischio, perché le sue banche sono crollate in borsa?
«Il crollo delle banche europee è dovuto a fattori emotivi: quando arrivano notizie così inattese e dirompenti, il mercato vende senza guardare ai fondamentali e senza distinguere fra società solide e fragili. Il listino italiano è poi pieno di banche e quindi risente più degli altri del loro andamento, positivo o negativo. Non bisogna poi dimenticare che il settore del credito era salito molto in borsa negli ultimi mesi».

«Quindi?
Le valutazioni erano molto “tirate”. Gli investitori hanno colto la palla al balzo per trarre profitto dai rialzi bancari. Il caso Svb è diventato un pretesto per vendere. Ciò non toglie che ci siano anche ragioni economiche dietro al tracollo dei titoli bancari».

Cioè?
«La scommessa del mercato è che la Fed diventerà meno aggressiva sui tassi d’interesse per evitare ulteriori problemi. Paradossalmente, però, questo è un problema proprio per le banche, i cui guadagni dipendono anche dal costo denaro: più è alto, maggiori sono gli interessi che possono richiedere ai clienti e dunque i margini di profitto».

Prevede dunque che anche la Bce sarà più cauta nella sua politica monetaria?
«Sulla Bce resta un grande interrogativo. Le banche centrali sono in grande difficoltà, strette fra due fuochi: l’inflazione e lo stress indotto sull’economia dall’aumento repentino dei tassi. Non esiste una scelta giusta fra queste due alternative e qualsiasi decisione rischia di rivelarsi sbagliata. Se si prosegue nella stretta monetaria, si scopre la fragilità del sistema, come prova il caso Svb. Se si allenta il ritmo, l’inflazione potrebbe tornare a correre e in futuro richiedere decisioni ancor più drastiche».

Ci saranno altre conseguenze a lungo termine dal crac di Svb?
«Questa crisi potrebbe indurre un nuovo cambio di paradigma. Negli ultimi anni diverse imprese hanno fondato la loro strategia sui tassi a zero e sulla liquidità facile. Si pensi per esempio a tutte quelle startup che accettavano di operare in perdita pur di aumentare rapidamente la loro quota di mercato. Tanto sapevano di poter contare sulle risorse dei fondi di venture capital, pronti a sottoscrivere un aumento di capitale dopo l’altro. Ora quelle risorse sono improvvisamente scomparse e occorre tornare ai fondamentali dell’impresa: ricavi e costi. Svb è caduta in questa trappola evolutiva».

 

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