Antonio Monda La Repubblica 14 marzo 2023
Il nuovo verso degli Oscar.
Il trionfo del film di Kwan e Scheinert. Spinto dal mercato (e da esigenze sociali) “Everything Everywhere All At Once” manda in soffitta la Hollywood classica
L’onda lunga che ha portato al trionfo diEverything Everywhere all at once è partita nel momento in cui l’Academy ha ringiovanito l’età dei votanti con la massima attenzione alla diversità dopo le polemiche riassunte dall’hashtag #oscarsowhite, ma quando i presupposti sono sociali o addirittura politici, la qualità artistica è soltanto uno degli elementi in gioco, non necessariamente il più importante.
Il film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert mescola con energia l’assurdo al demenziale e due generi distanti come la fantascienza e la commedia, ma c’è da chiedersi se registri le tendenze di oggi o sia una pellicola che passerà alla storia del cinema: sinceramente ho molti dubbi. Nel momento in cui sconfigge un film dallo stile classico come quello di Spielberg sigilla un definitivo passaggio di testimone: vedremo nei prossimi mesi la sorte di The killers of the Flower Moon di Scorsese e Megalopolis di Coppola, ma il risultato di ieri notte segna la fine della capacità di attrattiva della Hollywood Renaissance e invecchia anche la generazione guidata dei magnifici Anderson, Paul Thomas e Wes.
Tutto normale, i tre maestri hanno rispettivamente 76, 80 e 84 anni e i loro successori hanno superato i cinquanta, ma chi ha a cuore il cinema deve porsi alcune domande scomode, perché gli Oscar hanno registrato da sempre umori, tendenze e scelte di mercato. Se sul piano meramente industriale va sottolineata l’irresistibile ascesa della A24 insieme al buon risultato della Netflix, con 4 a Niente di nuovo sul fronte occidentale e 1 a Pinocchio , alcuni risultati ci dicono che anche a Hollywood non c’è nulla di nuovo: è difficile non collocare il premio all’ottimo Brendan Fraser nell’abitudine hollywoodiana di celebrare interpreti che si mostrificano (Charlize Theron in Monster ) sono feriti nel fisico (Harold Russell nei Migliori anni della nostra vita )o vestono i panni di persone diversamente abili (Daniel Day-Lewis nel Mio Piede Sinistro ,Dustin Hoffmann in Rain Man ) quando non hanno in prima persona tali caratteristiche (Marlee Matlin in Figli di un dio minore ,Linda Hunt in Un anno vissuto pericolosamente ).
Sono certamente efficaci tutte le interpretazioni premiate nel film dei Daniels, ma quanto ha contato, in due casi su tre, la reazione agli ignobili episodi di razzismo nei confronti degli asiatici? Non è più valida l’interpretazione di Brendan Gleason nei Misteri dell’isola o di Judd Hirsch in The Fabelmans rispetto a Ke Huy Quan? E tra le attrici siamo davvero sicuri che Michelle Yeoh sia più convincente di Michelle Williams in The Fabelmans o Cate Blanchett in Tàr ? Quanto ha pesato poi che il personaggio di quest’ultima sia in controtendenza rispetto alle pur nobili istanze del movimento #metoo?
Provate a rileggere le reazioni spiazzate e irritate delle recensioni americane. Quanto ha contato infine il fattore asiatico nella regia? Non è grottesco paragonare i simpatici Daniels a un maestro come Spielberg? Dispiace molto che sia stato ignorato Le Pupilledi Alice Rohrwacher, come anche Aldo Signoretti in Elvis , ma il loro lavoro è già nella storia del cinema, dove, oltre a The Fabelmans entrano altri film colpevolmente ignorati: EO e Triangle of Sadness .