Federico Rampini Corriere della Sera 14 marzo 2023
Fallimento Silicon Valley Bank: il peso della crisi di Big Tech e la bolla delle banche medie
Esattamente 23 anni fa scoppiava la prima bolla speculativa dell’economia digitale. Proprio allora andavo ad abitare a San Francisco, per raccontare quella che all’epoca chiamavamo la New Economy.
Il crollo del Nasdaq arrivò veloce e violento nel marzo 2000, la Borsa dei titoli tecnologici fu travolta dal panico dopo anni di rialzi eccessivi. Euforie e crolli, bolle e crac, boom-and-bust, sono nel Dna della Silicon Valley. La culla delle rivoluzioni tecnologiche incarna la visione del capitalismo definita dall’economista austriaco Joseph Schumpeter: «Distruzione creatrice». L’innovazione germoglia sulle macerie dei fallimenti.
Il contraccolpo post pandemia
Nella crisi attuale si aggiunge un altro ingrediente della Silicon Valley: il giovanilismo. Big Tech è in mano ai ventenni. Convinti che la memoria storica non serve a nulla. «Stavolta è diverso»: il mondo comincia con loro. Non hanno visto arrivare, dopo la pandemia in cui eravamo schiavi delle piattaforme digitali e gonfiavamo i loro profitti, l’inevitabile contraccolpo col ritorno alla normalità. Ancor meno hanno visto arrivare quella che è una crisi bancaria classica, molto tradizionale. Qui la memoria storica aiuta. Quando rinasce l’inflazione – fenomeno che conobbero i genitori o i nonni degli start-upper – le banche centrali devono alzare i tassi d’interesse per contrastarla. Addio al denaro che non costava niente e aiutava a finanziare i progetti arditi delle start-up con il venture capital. Con i tassi che salgono succede un’altra cosa, automatica: i vecchi titoli a reddito fisso che rendevano poco, perdono valore perché sul mercato arrivano titoli nuovi con rendimenti superiori. Qui non ci vuole un algoritmo, è algebra da terza media. La regola implacabile si applica anche agli investimenti sicuri, i Buoni del Tesoro americano.
L’assalto agli sportelli
La Silicon Valley Bank aveva una clientela di start-up tecnologiche e si è sbilanciata a fargli credito. Quando è arrivata la crisi di Big Tech alcuni dei suoi investimenti sono andati all’aria. Ma altri investimenti erano sicuri. A differenza di Lehman nel 2008, la Silicon Valley Bank non ha investito in «finanza tossica», marchingegni sospetti. Aveva la pancia piena di Buoni del Tesoro. Però un Treasury Bond emesso anni fa quando i rendimenti erano all’un per cento, vale meno oggi che lo stesso Tesoro Usa paga interessi molto superiori. Se una banca vive in una situazione tranquilla, può aspettare che i titoli arrivino alla loro scadenza naturale, e il Tesoro li rimborserà per il valore ufficiale. Se è costretta a venderli in anticipo per fare cassa, ci perde. Ecco il meccanismo banale di questa crisi. Prima si diffonde la voce tra i clienti della Silicon Valley Bank che l’istituto ha dei guai. Tutti si precipitano a svuotare i conti correnti. Ma nessuna banca tiene così tanta liquidità da poter fronteggiare un «assalto agli sportelli». Deve vendere titoli e aggrava le cose, visto che subisce perdite. Le maxi-banche di Wall Street dovrebbero essere più solide perché a loro si applicano obblighi di riserve più rigorosi, frutto della crisi del 2008. Il timore di contagio riguarda banche medie, come la Silicon Valley Bank che era la 16esima del paese. Altre hanno lo stesso problema, stanno sedute su una montagna di titoli magari «buoni» però svalutati.
L’intervento di Biden
L’intervento di Joe Biden, della segretaria al Tesoro Janet Yellen, del presidente della Federal Reserve Jerome Powell, è stato rapido e robusto perché hanno percepito il rischio del contagio. Quand’anche dovessero fallire altre banche, la Fed ha una potenza di fuoco illimitata per riportare la calma. Ogni banca centrale è «prestatrice di ultima istanza» con il dovere di garantire la stabilità del sistema del credito. Quella americana ha una prerogativa in più: può stampare dollari senza limiti visto che questa moneta ha uno status «imperiale», è accettata in modo universale. Però per dedicarsi alla stabilità del sistema bancario la Fed può essere costretta a una pausa nell’altra missione, la lotta all’inflazione. I mercati si aspettano che Powell rinvii il prossimo aumento dei tassi d’interesse, nell’attesa che questa tempesta sia domata.
Le polemiche politiche
Ci saranno polemiche politiche. La sinistra accusa Donald Trump di avere rilassato alcune regole prudenziali varate nel 2008, esentando proprio quelle banche medio-piccole che oggi sono nell’occhio del ciclone. La destra accusa Biden di aver salvato a spese del contribuente tutti i clienti della Silicon Valley Bank, anche quelli molto ricchi (con depositi ben oltre il limite assicurato dei 250.000 dollari). Il sospetto di un trattamento di favore è legato al fatto che il mondo Big Tech della West Coast è di sinistra, finanzia il partito democratico, promuove la cultura del politicamente corretto. C’è lo sfondo geopolitico. Nella crisi del 2008 la dirigenza del partito comunista cinese si convinse che il capitalismo americano era un malato terminale. Xi Jinping cominciò allora la sua ascesa verso il potere, all’insegna di una restaurazione socialista, statalista e dirigista. Oggi Xi è alla riscossa: «firma» il disgelo tra Iran e Arabia, tenta di presentarsi come mediatore perfino in Ucraina. Ogni segnale di difficoltà del sistema americano è un punto a favore di Pechino.