L’assillo della Meloni ai cardinali, “coscienza pulita”

Flavia Perina La Stampa 14 marzo 2023
Meloni ai cardinali: “Basta accuse, ho la coscienza pulita”
La premier davanti alle gerarchie vaticane. Il cardinale Parolin chiede accoglienza. E annuncia: «Il Papa a Cutro? Possibile»

Chissà come era stato immaginato questo primo incontro di Giorgia Meloni con il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, davanti al parterre del corpo diplomatico vaticano, nella sede della più influente delle riviste della Chiesa, La Civiltà Cattolica, al tavolo con il direttore Antonio Spadaro per presentare il suo ultimo libro (“L’Atlante di Francesco”) sui dieci anni del pontificato di Bergoglio. Chissà quali progetti c’erano, quale atto d’omaggio si prevedeva, quale positivo consolidamento delle relazioni si auspicava.

Poi c’è stata Cutro. E il decreto del dopo-Cutro. E la conferenza stampa a Cutro. E i titoli urticanti della stampa cattolica sul consiglio dei ministri di Cutro (L’Avvenire: «Difficile far peggio») insieme all’idea di un plateale cedimento della premier alla vecchia linea di Matteo Salvini. Insomma, i programmi hanno richiesto un aggiornamento. E l’evento di ieri ha assunto un carattere tutto politico, con Giorgia Meloni impegnata a difendere e riqualificare le sue idee su migrazioni, aiuti all’Africa, cooperazione, collegandole alla «illuminante» lezione di Francesco sulla «misericordia come fulcro dell’azione politica».

Operazione spericolata, senza dubbio, ma evidentemente ritenuta necessaria. Da sempre il rapporto con la Chiesa è per Meloni un asset irrinunciabile per almeno tre motivi. Il primo è il suo arcinoto claim politico, «Sono una donna, sono una madre, sono cristiana», che andrebbe a farsi benedire senza un rapporto empatico con la Chiesa.

Il secondo è la necessità di affermare la connessione col mondo cattolico come punto di forza rispetto all’opposizione del Pd, che per la prima volta è guidato da un gruppo dirigente estraneo a quel mondo, tanto che ieri il neo-presidente Stefano Bonaccini ha chiesto cautela sui temi etici e lanciato un appello perché a sinistra i cattolici «continuino a sentirsi a casa». Il terzo è far valere lo stesso atout nei confronti del principale alleato-competitore Matteo Salvini, e anche qui Meloni ha carte da giocarsi: a differenza del Capitano non è mai andata in giro con la t-shirt “Il mio Papa è Benedetto” né si è mai attirata le pubbliche critiche di monsignor Spadaro per l’uso improprio del rosario sui palchi comiziali.

E dunque ieri la premier, dopo un colloquio a porte chiuse con Parolin, ha cercato di rimettere in carreggiata il treno deragliato la settimana scorsa, presentandosi come premier dei tempi difficili, chiamata a prendere decisioni «nel momento forse più complesso dopo la fine della seconda guerra mondiale», difendendosi dall’accusa di cercare facile consenso e, anzi, esibendo come una medaglia le decisioni impopolari prese sulle accise. Il governo, dice, sui migranti è stato accusato di «fatti inenarrabili», ma «la mia coscienza è a posto». Le norme contro gli scafisti? «Più migranti partono più c’è il rischio che qualcosa vada storto».

Avremmo potuto mettere la testa sotto la sabbia, continua, «lasciare che siano i mafiosi a decidere chi può arrivare o chi no», o i mercenari della Wagner che infettano l’Africa, o quelli della tratta della prostituzione, le reti del wodoo che ricattano le donne, e via elencando il girone infernale delle migrazioni clandestine per concludere che «la coscienza non me lo consente». E dunque la strategia del governo «è seria», lavoriamo per «favorire flussi legali», per dare agli immigrati «le stesse possibilità degli italiani». Per sbloccare i finanziamenti del Fmi alla Tunisia. Per stabilizzare la Libia, il Sahel, il Corno d’Africa. Per accogliere i rifugiati, dare una vita dignitosa a chi viene per lavorare, incardinare un Piano Mattei, sviluppare cooperazione tra pari senza «finalità predatorie», realizzando «l’approccio più umano e misericordioso che si possa avere».

Vasto programma, dicevano le facce degli ambasciatori e persino quelle dei co-presentatori, piuttosto stupefatti dallo sviluppo dell’intervento, pronunciato in gran parte a braccio, che ha fatto seguito al discorso altissimo di Parolin sul senso del pontificato di Francesco e sulla «diplomazia della misericordia» di cui si è fatto e continua a farsi promotore.

Ma Meloni era al tavolo degli oratori per un motivo molto pratico, non per partecipare a dibattiti filosofici o culturali: per cercare una connessione tra gli orientamenti del governo e le aspettative della Chiesa e soprattutto per affermare una linea che possa reggere se Papa Francesco – come si vocifera da giorni – deciderà di recarsi a Cutro per rendere omaggio alle vittime innocenti del naufragio (una scelta che il Segretario di Stato ha definito «possibile»).

Lo scenario di un viaggio del genere è potenzialmente dinamite. Il governo ha usato una frase di Francesco contro il traffico di esseri umani come fondamento ideologico delle scelte del Consiglio dei ministri di Cutro, solennizzandola persino in una targa nel cortile del Comune. Ma il giudizio della Chiesa su quelle decisioni, e più in generale sulla gestione della tragedia, va in tutt’altra direzione.

Lo aveva fatto presente qualche giorno fa il cardinale Michael Czerny, gesuita e stretto collaboratore del Papa, rilanciando il dilemma delle responsabilità sulla strage (è «ipocrita» sostenere che non ci sono risposte) e lo ha detto ieri a chiare note il cardinale Parolin al termine della presentazione, rispondendo alle domande sui contenuti dell’incontro privato con Meloni: dalle «politiche di ripulsa» bisognerebbe passare «a una politica più aperta di accoglienza». Una politica «che dovrebbe trovare manifestazioni concrete negli atti legislativi». Se il tenore del faccia a faccia con Meloni è stato questo, si capisce meglio perché la giornata è andata così, con un discorso così.

 

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