Maurizio Crosetti La Repubblica 15 marzo 2023
Fuori i secondi allo scudetto manca la gloria dei vinti
Alle spalle del Napoli le inseguitrici più lente di sempre. Gli azzurri meritavano altri rivali
Se è l’ombra dei grandi sconfitti a scolpire di luce il corpo dei vincitori, se è il loro tormento a generare l’estasi, se la gloria dei primi si misura con la tenacia dei secondi, allora al meraviglioso Napoli manca qualcuno che riempia la sua solitudine. Non è certo colpa di questa squadra, una delle più belle nella storia della Serie A, ancora in grado addirittura di battere o eguagliare il record juventino dei 102 punti, se dietro c’è un abisso che è soprattutto un vuoto. Il Napoli si volta e non vede nessuno.
Fuor di retorica: lo sport si sublima nell’epica. Sono i memorabili duelli a incidere il ricordo, trasportando i fuoriclasse in una dimensione quasi irreale, metastorica. SenzaGino Bartali, il campionissimo Coppi sarebbe stato un noioso trionfatore seriale, persino un po’ triste. Senza Gimondi, il cannibale Merckx avrebbe banchettato da solo, ma così non c’è gusto. Senza Ettore, persino Achille sarebbe stato assai meno omerico. Il più grande calciatore di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, portò due scudetti a Napoli in un’epoca attraversata dalla Juve di Platini, dal Milan olandese di Sacchi, dall’Inter tedesca del Trap, dalla Sampdoria di Vialli e Mancini, con le favolose bizzarrie di un tricolore a Verona e di un genio come Zico nientemeno che a Udine. In teoria, a Maradona sarebbe bastata la propria gloria incommensurabile. In pratica, lo smalto sulla statua lo dipinsero gli indimenticabili sconfitti, talvolta e a loro volta vincitori.
La corsa del Napoli si specchia nella lentezza delle rivali, tutte al di sotto della media di 2 punti a partita (esclusa la Juventus, però penalizzata dai meno 15): c’è un solo precedente a riguardo nei tornei a 20 squadre, la Roma del 2014/15 che alla 26ª giornata era seconda con 50 punti, gli stessi dell’Inter di adesso, una squadra capace di perdere otto volte e restare ancora lì pur avendo una proiezione di 73 punti finali. Due anni fa, 77 punti non bastarono al Napoli per raggiungere la Champions (arrivò quinto). L’evanescenza di Inter e Milan, Roma e Lazio, oltre alla Juve delle molteplici zavorre, è la clamorosa contraddizione del campionato: lo domina il Napoli, ma contro chi? Anche la partita-scudetto è mancata, forse Napoli-Juventus 5-1 (i bianconeri erano a meno 7), ma troppo presto e con troppa differenza. Fuori i secondi.
Da Omero a Verga passando per Manzoni, i vinti fanno la storia o almeno la scrivono insieme ai vincitori. Invece, nel racconto minimalista di questa Serie A esiste una sola iperbole, una sola calamita di aggettivi e superlativi, eppure il Napoli meriterebbe ben altri rivali. E non si può nemmeno dire che il livello globale sia infimo, visti i brillanti percorsi europei di molti nostri club: le milanesi ai quarti di Champions, le romane ancora in corsa nelle loro coppe. Forse, è nella testa che va cercata una risposta. Forse, qualcuno ha reso con enorme anticipo l’onore delle armi per consapevole, manifesta inferiorità, pensando soprattutto ad altro: alla Champions, all’Europa League, alla fidanzata. L’ultimo scudetto ha vissuto il duello tra Milan e Inter, da leggersi anche alla luce degli sconfitti non poco autolesionisti. E quasi sempre c’è l’immagine di un battuto ad esaltare il fascino di chi primeggia: quel famoso 5 maggio 2002 lo ricordiamo soprattutto per le lacrime di Ronaldo. Ma il Napoli, grande capolista senza lista, eroe solo come un astronauta nell’universo, Fausto senza Gino, più di così non poteva fare.