Scontro tra caccia russo e drone Usa, si rischia l’escalation

Gianluca Di Feo La Repubblica 15 marzo 2023
Scontro tra caccia russo e drone Usa: così si rischia l’escalation tra le due potenze nucleari
Due Sukhoi-27 intercettano e colpiscono un Reaper americano in volo di ricognizione nello spazio internazionale. Mosca: “Caduto da solo per una manovra brusca, si avvicinava al nostro confine”. Nell’area anche un velivolo spia italiano

 

Anche le due versioni sono in rotta di collisione, come accade sempre dall’inizio del conflitto. Ma il risultato è inequivocabile: un drone americano è precipitato nel Mar Nero dopo essere stato affrontato da una coppia di caccia russi. Nella giostra di velivoli che si sfidano nei cieli d’Europa, l’incidente che tanti temevano è accaduto: uno schianto che porta la tensione ai massimi livelli e può avere effetti imprevedibili sul confronto tra Nato e Russia innescato dall’invasione dell’Ucraina.

La versione americana

Secondo il Pentagono, l’MQ-9 Reaper da ricognizione si trovava sopra le acque internazionali. È un aereo telecomandato lento, che procede a duecento chilometri orari. Due Sukhoi-27 sono arrivati a tutta velocità e hanno compiuto una prima operazione, estremamente ostile: hanno svuotato carburante sopra il drone. L’obiettivo è quello di accecarlo, oscurando con una patina liquida i sensori che permettono ai piloti di guidarlo dalla base di Creech, nel Nevada. I jet hanno ripetuto la manovra più volte e – stando alle dichiarazioni del generale James B. Hecker, numero uno dell’Us Air Force in Europa – sono sfrecciati davanti al Reaper per ostacolarne il volo. Durante uno di questi passaggi, un Sukhoi ha urtato l’elica, l’unico propulsore del drone che è andato fuori controllo ed è stato fatto cadere in mare. “Questo incidente dimostra una carenza di competenze oltre a un comportamento pericoloso e non professionale”, ha denunciato l’ufficiale statunitense.

La versione russa

Diversa la ricostruzione del ministero della Difesa di Mosca: il Reaper procedeva con il segnalatore spento in direzione della Russia, i due caccia sono intervenuti per identificarlo. Le procedure standard prevedono che i jet compiano dei giri intorno al velivolo sconosciuto, ma secondo i russi “a seguito di brusche manovre il drone americano è andato in volo incontrollato, ha perso quota ed è caduto in acqua”. Nessuna scusa, quindi, ma la rivendicazione di un’azione legittima. Che rende concreta l’insofferenza del Cremlino per le missioni quotidiane degli aerei spia atlantici impegnati a raccogliere informazioni strategiche per la resistenza ucraina.
Il duello è stato lungo, trenta forse quaranta minuti in cui i due Sukhoi hanno continuato a volteggiare intorno al drone, come aquile che ghermiscono la preda. Lo spostamento d’aria provocato dai caccia, in grado di accelerare oltre il muro del suono, genera onde d’urto micidiali, tali da distruggere aerei ben più robusti: è una tecnica usata durante la Guerra Fredda, spesso valutata tra le ipotesi sull’abbattimento del Dc-9 di Ustica. Si può immaginare l’allarme rosso scattato nei comandi Nato. Sono state messe in allerta le squadriglie Nato più vicine: quelle della base romena di Costanza, dove ci sono gli Eurofighter italiani e tedeschi. Pure gli F-18 della portaerei Bush, ormeggiata a Creta, e gli F-16 di Aviano devono essere stati mobilitati. Tutti però erano troppo distanti per soccorrere il Reaper.

Il Gulfstream Caew italiano

La sfida è avvenuta questa mattina alle 7, ma è stata rivelata dagli Stati Uniti soltanto nel tardo pomeriggio. È verosimile che prima abbiano tentato di individuare la posizione del relitto, zeppo di apparati segretissimi. Sono state registrate intense comunicazioni radio della flotta di Crimea, forse interessata a mettere le mani sul velivolo. Nel frattempo due aerei radar – un Gulfstream Caew della nostra Aeronautica decollato da Costanza e un Boeing P-8 dell’Us Navy partito da Sigonella – hanno tenuto d’occhio la zona calda, rimanendo al confine tra Romania e Ucraina.

Il Reaper è un mezzo fragile, lento e poco manovrabile. È stato concepito per le campagne contro il terrorismo jihadista, quando non bisognava misurarsi con difese contraeree o intercettori. E infatti dal 2020 il Pentagono ha deciso di relegarlo in seconda linea, visto che le prospettive di confronto con la Cina lo rendevano un bersaglio fin troppo facile. Ma non c’è ancora un sostituto e l’improvvisa guerra in Ucraina ha obbligato gli Usa a mandarlo in missione sul Mar Nero, assieme ai più grandi Globalhawk, altrettanto delicati che però restano a distanze maggiori.

Finora la crisi è stata sfiorata in una sola occasione, sempre nella stessa zona. Lo scorso 29 settembre un Sukhoi ha intercettato un Boeing RC-135 britannico e lanciato un missile: l’ordigno è stato guidato lontano, senza causare danni. E Mosca si è scusata, parlando di “un guasto tecnico”. Da allora però le sortite dei ricognitori inglesi sono state accompagnate da due Eurofighter di scorta. Ora bisognerà vedere se anche gli Stati Uniti manderanno caccia a proteggere i voli, aumentando così il rischio di “escalation involontarie”, evocato in serata dal Pentagono. Una situazione incandescente su cui pesano le parole pronunciate da Vladimir Putin diverse ore dopo l’abbattimento del drone: “Lottiamo per la sopravvivenza dello Stato russo”.

 

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