Tajani: «La Bce sta sbagliando». Trattare su Patto di Stabilità e Mes

Alessandro Barbera, Francesco Olivo La Stampa 17 marzo 2023
Tassi, la delusione del governo per la stangata: “Così ci mancano i soldi per le riforme”
Meloni e Giorgetti speravano in un ammorbidimento dopo le turbolenze sui mercati. Tajani: «La Bce sta sbagliando». Ora diventano decisive le trattative su Patto di Stabilità e Mes

La narrazione consegnata da Palazzo Chigi è del tutto rassicurante: il governo ha approvato la delega fiscale. Una riforma «epocale, strutturale e organica» e soprattutto che promette di «abbassare le tasse». Se ci si fermasse alla nota diffusa da Giorgia Meloni dopo aver evitato una conferenza stampa, l’impressione che se ne dovrebbe trarre è di una strada in discesa. E invece è vero l’esatto opposto. Fino all’ultimo, la premier e il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti hanno sperato che dal Consiglio dei governatori della Banca centrale europea uscisse una decisione diversa. L’aumento di mezzo punto dei tassi di interesse contribuirà a far salire ancora il costo del debito italiano, già colpito dai precedenti incrementi e dalla fine degli acquisti di titoli da parte di Francoforte. Meloni ha evitato qualunque commento, e se ne è guardata dal criticare la decisione. L’unico a farlo è il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «La Bce non si sta muovendo nella direzione giusta, anche se c’è stato un inizio di ripensamento. A nostro giudizio non è un buon modo per affrontare l’inflazione». In realtà la ragione principale della decisione è quella che Tajani contesta: altri modi per raffreddare i prezzi non ce ne sono.

Vero è che ad ogni aumento dei tassi per la Meloni si restringono i margini di azione. Tassi più alti significa debito più costoso e meno spazio per spesa in deficit. Se non fosse per i miliardi messi a disposizione con il Recovery Plan, condizioni di bilancio così restrittive non si vedevano dai tempi di Mario Monti. Una fonte di governo, sotto la condizione dell’anonimato, lo ammette candidamente: «Speravamo che il crollo di Silicon Valley Bank facesse suonare l’allarme a Francoforte. E invece più aumentano i tassi, più aumenta l’incertezza dei consumatori e le banche potrebbero essere esposte a rischi seri». Non solo: «L’azione dell’esecutivo è sempre più limitata». Le tracce sono sotto gli occhi di tutti. Quando i sindacati hanno cercato di aprire un tavolo sulle pensioni nella convinzione di ottenere più flessibilità, si sono trovati di fronte un muro. Il mese scorso, per rifinanziare il decreto di aiuti ai profughi ucraini da 170 milioni di euro (una cifra irrisoria per il bilancio italiano), Giorgetti ha disposto di finanziarlo con tagli lineari ai ministeri. A Natale il ministro del Tesoro ha messo da parte un paio di miliardi di euro necessari a confermare alcuni (limitati) sconti energetici anticrisi: di più non ci sarà.

Il segnale più tangibile di un governo che marcia in regime di quasi austerità è in due dettagli di ieri. Il primo: la Ragioneria ha chiesto e ottenuto una clausola “salva-spesa” che imporrà una relazione tecnica ad ogni decreto di attuazione della riforma. La relazione dovrà precisare gli effetti sui conti pubblici: se le decisioni dovessero produrre un aumento del deficit, dovranno trovare compensazione dentro la riforma o essere alimentato dal Fondo per la lotta all’evasione fiscale. L’altro dettaglio è la presentazione della relazione sulla spending review, che attendeva nei cassetti dallo scorso autunno. I risparmi promessi non sono enormi ma piuttosto significativi: 800 milioni quest’anno, un miliardo e duecento milioni nel 2024, un miliardo e mezzo nel 2025.

Molto dello spazio di manovra di Meloni ora dipenderà dal procedere della trattativa sulla riforma del patto di Stabilità. Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni ha convinto l’ala rigorista della Commissione (il lettone Valdis Dombrovskis) ad accelerare introducendo però un periodo transitorio che eviti passaggi pericolosi come una procedura per deficit eccessivo. Ma si tratta di una soluzione che il ministro liberale delle Finanze tedesco – Christian Lindner – non sembra disposto a concedere. Sullo sfondo, sempre più minacciosa, aleggia la mancata ratifica italiana della riforma del fondo salva-Stati: i partner europei capiscono sempre meno le ragioni per cui ha bloccato un processo che condiziona e serve a mettere in sicurezza tutte le banche dell’Unione

 

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