Paolo Mastrolilli La Repubblica 19 marzo 2023
Londra dietro all’incriminazione per spingere lo Zar al negoziato
È solo l’inizio, il mandato d’arresto contro Putin emesso dalla Corte penale internazionale per la tratta dei bambini ucraini, e in questa fase ha una valore principalmente politico, come uno degli strumenti da usare per spingere il capo del Cremlino ad accettare un negoziato serio per mettere fine alla sua invasione.
La vera minaccia di andare in tribunale, invece, viene dall’inchiesta assai più vasta in corso, che riguarda tutti i gravi crimini di guerra commessi in diretta televisiva mondiale dall’inizio della “operazione militare speciale”. Un redde rationem che alla fine arriverà, come era accaduto per il serbo Milosevic, ma dopo la firma degli accordi di pace di Dayton.
Secondo fonti direttamente coinvolte nelle inchieste, il mandato di arresto di venerdì lo ha voluto principalmente la Gran Bretagna, e potrebbe servire come una pedina di scambio per la trattativa. La vera indagine sui crimini di guerra è quella che stanno facendo gli altri, e sarà il processo più documentato nella storia di questi procedimenti.
Gli occidentali in sostanza si sono divisi i compiti in tre: gli americani forniscono soprattutto l’hardware militare; l’Unione europea soprattutto i soldi, anche in vista della ricostruzione; e gli inglesi, che non hanno né le armi degli americani, né i capitali dell’intera Ue, si occupano dell’accountability.
Il procuratore Karim Khan lo hanno messo loro al suo posto e risponde a Londra, che voleva mettere subito il cappello sulla resa dei conti giudiziaria. Il caso sui rapimenti dei bambini non è particolarmente forte, rispetto alla gravità di tutti gli altri crimini commessi, però serve ad avvertire Putin e i suoi alleati che comunque non la scamperanno.
Perciò è una delle tante pedine messe sul tavolo per favorire e preparare il negoziato: se lui farà concessioni sul processo per mettere fine alla guerra, gli avversari potrebbero soprassedere su questa inchiesta. Tanto l’indagine vera che manderà Putin in tribunale non è questa, ma l’altra in corso.
In apparenza il mandato d’arresto sembra andare nella direzione opposta, verso una criminalizzazione dello scontro personale, che renderebbe difficile anche solo allentare le sanzioni alla Russia.
Eppure la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha detto che l’eventuale accordo con Kiev dovrebbe comprendere «la cancellazione delle sanzioni e di tutte le cause legali contro la Russia nelle Corti internazionali ». Una dichiarazione che sembra andare proprio nella direzione dello scambio, pur se accompagnata dalla pretesa negoziale inaccettabile del «riconoscimento internazionale delle nuove realtà territoriali», che peraltro potrebbero cambiare presto con una controffensiva di Kiev.
Da notare che l’inchiesta più ampia in corso non è ancora una causa legale nelle corti internazionali, e quindi non rientrerebbe nel potenziale scambio. Per capire il possibile meccanismo, torna utile ricordare cosa avvenne con Milosevic: prima ci fu Dayton e l’accordo per la pace; poi, sei anni dopo, il processo all’Aja.
La quantità di prove accumulate è enorme, perché i russi hanno commesso crimini di guerra in diretta mondiale, su ordine del Cremlino. Se in Bosnia avveniva un massacro, bisognava andare fra le montagne a scoprirlo, scavare le fosse comuni, esumare e analizzare i cadaveri. In Ucraina invece abbiamo visto tutto in diretta social, con prove schiaccianti di crimini enormi.
Probabilmente verrà costituito un tribunale ad hoc, per avere una legittimità più ampia delle corti già esistenti. Serve solo la decisione politica, che però non sarà immediata. Richiederà tempo, anche per completare l’inchiesta, ma arriverà.