Lucrezia Reichlin Corriere della Sera 19 marzo 2023
Gli errori da non fare sui prezzi
Le previsioni della Bce sull’inflazione sono state corrette al ribasso. È possibile che sia necessario un ulteriore modesto rialzo dei tassi nei prossimi mesi, ma forzare la mano porterebbe l’economia europea verso una nuova recessione
Giovedì scorso la Banca centrale europea ha alzato il tasso di interesse di riferimento di 50 punti base, un altro passo nel ciclo di restrizione monetaria più ripido della sua storia. Ha però segnalato che la prima fase della politica anti-inflazionistica è terminata e da ora in poi agirà in relazione a quello che i dati diranno sulla persistenza dell’inflazione e lo stato dell’economia. Era una mossa annunciata anche se non esente da controversie.
Ora si apre una fase nuova e complicata. I prezzi dell’energia sono diminuiti, ma l’inflazione di base, che esclude l’energia ed altre componenti volatili, rimane elevata. A febbraio, il tasso annuale era al 5,6% e in leggera crescita rispetto al mese precedente. Allo stesso tempo, nonostante i dati dell’attività economica si siano rivelati più robusti delle previsioni, si ipotizza che l’economia reale nel 2023 rallenterà di parecchio rispetto al 2022. Quindi, siamo di fronte ad un’inflazione di base ancora persistente ed a una economia fragile. Una situazione difficile per la Banca centrale, che per combattere l’inflazione può solo agire diminuendo la domanda di beni e servizi dei cittadini europei e, quindi, comprimendone il reddito.
In queste circostanze, non è sorprendente che ci sia un acceso dibattito tra falchi e colombe. Nonostante io sia convinta dell’importanza, per il benessere di tutti, di riportare gradualmente l’inflazione all’obbiettivo del 2%, sono dalla parte delle colombe. Ecco le ragioni.
Una breve ricostruzione dei fatti ci dice che l’inflazione in Europa era ancora debole nel 2021, anche se in progressivo rialzo per via del prezzo del petrolio e della riapertura delle attività post-Covid. La vera impennata si ha solo all’inizio del 2022, con il conflitto russo-ucraino e l’aumento del prezzo del gas. Per gli europei, importatori netti di energia, questo ha significato, a differenza che per gli americani, un improvviso aumento dei prezzi dei beni importati rispetto a quelli esportati e quindi una diminuzione del reddito reale disponibile. Questa «botta» negativa sul reddito si è aggiunta all’effetto del Covid da cui ci stava appena riprendendo. Il risultato è che il consumo oggi in Europa, nonostante il massiccio sostegno delle politiche pubbliche, è ancora al di sotto del trend stimato nel 2019 e lo stesso è vero per gli investimenti. Poiché l’effetto delle strette monetarie agisce con ritardo e, in Europa, la stretta della Bce è cominciata da meno di un anno, investimento e consumo si indeboliranno ulteriormente. Questa previsione è confermata dai dati sui prestiti bancari. Il sostegno delle politiche pubbliche, inoltre, dovrà necessariamente diminuire causando un ulteriore indebolimento della domanda e una pressione negativa sui prezzi.
A queste considerazioni i falchi rispondono che però l’inflazione rimane persistente e, se non si continua ad agire in modo aggressivo, rischia di sfuggire al controllo. Se questo è vero guardando al dato aggregato degli ultimi mesi, analizzando i prezzi settoriali, si vede che nella grande maggioranza dei settori il picco inflazionistico è stato raggiunto e in molti settori l’inflazione sta scendendo. Poiché l’energia è un input in tutti i settori, i prezzi sono aumentati un po’ dovunque, ma ora stanno cominciando a scendere, pur con ritardi temporali diversi. Il fatto che avvenga lentamente è dovuto alla naturale inerzia dei prezzi della maggior parte di beni e servizi. Il segnale importante è che il picco sia stato raggiunto quasi ovunque. Forzare la disinflazione con ulteriori aumenti di tassi avrebbe enormi costi per l’economia reale. Sarebbe giustificato solo se fossimo di fronte a una rincorsa di salari, profitti e aspettative come accadde negli anni settanta, ma questo non appare dai dati.
Le recenti previsioni della Bce sull’inflazione sono state corrette al ribasso: prevedono il 2.9% nel 2024 e il 2.1% nel 2025. I dati sulla debolezza del consumo e dell’investimento ci dicono che il rallentamento potrebbe essere anche più veloce. Poiché rischi in senso contrario non si possono escludere, è possibile che sia necessario un ulteriore modesto rialzo dei tassi nei prossimi mesi, ma forzare la mano porterebbe l’economia europea verso una nuova recessione.
Una banca centrale indipendente con una chiara missione di stabilità dei prezzi è un bene comune e la garanzia per i cittadini che il potere di acquisto verrà difeso e protetto da pressioni di ogni genere. Ma un’analisi imparziale dei dati ci dice che è arrivato il momento di interrompere il ciclo restrittivo ed evitare così errori che la Bce, per troppo zelo, ha fatto nel passato.