Archivio tag: Domani
Elly Schlein rottamerà il vecchio partito maschio?
Daniela Preziosi Domani 5 marzo 2023
Elly Schlein e le sue sorelle Pd, così ti rottamo il vecchio partito maschio
Riceve attacchi sessisti ogni giorno ma evita la parte della vittima e ribalta la narrativa delle donne dem. Ma la sua vittoria basterà a sanare i fallimenti recenti? Intanto la premier Meloni già aggiusta il profilo.
Bonaccini non avrà la presidenza del Pd. Confronto avviato
Daniela Preziosi Domani 4 narzo 2023
Schlein-Bonaccini si giurano unità, ma l’accordo ancora non c’è
Allo sconfitto non arriva la proposta di fare il presidente, la segretaria teme la “diarchia” e chiede rinnovamento anche alla minoranza. In pole Picierno e Nardella. Serracchiani potrebbe restare alla presidenza della Camera.
Salvini e Piantedosi si devono dimettere
Stefano Feltri Domani 2 marzo 2023
La colpa dei morti in Calabria è loro, Salvini e Piantedosi si devono dimettere
Dopo l’incidente ferroviario nel quale sono morte almeno 36 persone, il ministro del Trasporti greco Kostas Karamanlis si è dimesso e ha spiegato che questo è «il minimo che posso fare per onorare la memoria delle vittime» e si è assunto tutte le responsabilità dello Stato che non aveva saputo proteggerle. Salvini e Piantedosi dovrebbero fare lo stesso, invece che minacciare querele.
Invece di minacciare querele ai giornali – a Domani e al Fatto Quotidiano – il ministro dei Trasporti Matteo Salvini dovrebbe spiegare perché a cento metri dalle coste della Calabria sono morte 67 persone domenica mattina all’alba.
I fatti ormai sono chiari: l’agenzia europea Frontex sapeva dalla sera prima che c’era un barcone con a bordo persone, la Guardia di Finanza ha provato a salvarle, la Guardia costiera no. E la Guardia costiera, l’unico corpo dotato dei mezzi di salvataggio adeguati, fa capo al ministero di Salvini.
Ci sarà tempo per appurare i dettagli, anche se al momento l’inchiesta giudiziaria riguarda soltanto gli scafisti e non i mancati soccorsi.
Ma Salvini non ha avuto bisogno di aspettare gli accertamenti, ha subito difeso la Guardia costiera e il suo operato.
Già nella giornata di martedì, quando si è iniziato a capire che le 67 persone erano morte mentre la Guardia costiera non provava neppure a salvarle, Salvini ne ha difeso l’operato: «Solidarietà a donne e uomini della Guardia costiera».
E poi la minaccia: «Chi osa metterne in dubbio l’impegno, lo sforzo e la straordinaria professionalità ne risponderà nelle sedi opportune».
Per la verità, nessuno pensa che le navi della Guardia costiera siano rimaste a riva per una questione di scarso impegno o cattiva volontà.
SI POTEVANO SALVARE
Il comandante della Guardia costiera Nicola Carlone è stato nominato dal governo Draghi, ma come tutti i suoi predecessori si interfaccia con il vertice politico, non prende certo decisioni autonome su materie così delicate come il comportamento da tenere in materia di gestione dell’immigrazione.
Il comandante della Guardia costiera di Crotone, Vittorio Aloi, ha detto che nel mare di domenica mattina si poteva intervenire, nonostante le condizioni pessime: «Quel giorno c’era mare forza quattro, non sei o sette. Le nostre motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza otto».
Ma la Guardia costiera, sulla base delle direttive ricevute, non può intervenire finché non viene proclamato l’evento Sar, cioè Search and rescue.
Fino ad allora l’operazione è di contrasto agli scafisti e di competenza della Guardia di finanza, che infatti si è mossa, ma che non ha le imbarcazioni adatte a salvare 180 persone che rischiano di affogare. L’indicazione non è mai arrivata e 67 persone sono morte, bambini inclusi.
Il sito della Guardia costiera, nella parte sulle attività di soccorso nel Mediterraneo, spiega: «Lo Stato responsabile di un’area Sar, in caso di emergenza in mare nella propria area di responsabilità, ha l’obbligo di intervenire assumendo, per il tramite del proprio Rescue Coordination Center (Rcc), il coordinamento delle operazioni di soccorso con l’impiego di unità Sar, ma anche con unità militari e/o civili, quali ad esempio le unità mercantili presenti in zona, in adempimento agli obblighi giuridici assunti con la ratifica della convenzione internazionale».
In questo caso non c’è ambiguità su quale sia lo Stato responsabile, perché i naufraghi erano a pochi metri dall’Italia. Dunque perché nessuno a Roma si è preso la responsabilità di coordinare il soccorso?
A SALVINI VA BENE COSÌ
Salvini sa perfettamente come funzionano queste pratiche, ai tempi del primo governo Conte nel 2019 lui era ministro dell’Interno. Danilo Toninelli, ministro dei Trasporti, mandava le navi della Guardia costiera a salvare i migranti in mare e Salvini impediva lo sbarco immediato in Sicilia.
Questa volta Trasporti e Interno sono in mano a due ministri in quota Lega, Salvini e Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto del Salvini che bloccava i porti. E i risultati si vedono. Un evento chiaramente catastrofico non è stato classificato come meritorio di “ricerca e soccorso”, le persone sono rimaste in mare ad affogare.
Salvini sembra considerare che tutto si è svolto regolarmente, il fatto che siano morte 67 persone lo attribuisce soltanto al fatto che quei disperati sono partiti e si sono affidati agli scafisti.
Sui social attacca così gli articoli di Domani e Fatto Quotidiano: «Non una parola contro i veri responsabili della strage (cioè i trafficanti di esseri umani), ma insulti e fango contro la Guardia Costiera e il sottoscritto. Trovo vergognoso che i giornali di sinistra scarichino le colpe sulle donne e gli uomini in divisa, oltretutto in un momento delicato di minacce anarchiche alle istituzioni».
IL PROBLEMA È POLITICO
Per essere chiari: nessuno le scarica sui singoli componenti del corpo della Guardia costiera, che certo non sono in condizione di prendere iniziative spontanee in deroga alle disposizioni ricevute.
La Guardia costiera i migranti li ha sempre salvati, perfino quando Salvini era al Viminale. Il problema è che ora Salvini è il referente politico del corpo. E i migranti, anche quando sono naufraghi, muoiono.
Il problema è politico e Salvini e Piantedosi sono venuti meno a quello che lo stesso ministro dei Trasporti – a parole e soltanto a parole – considera obbligatorio: «Aiutare chi è in difficoltà non è una scelta ma un dovere».
A quel dovere l’Italia è venuta meno, e le persone con la responsabilità di intervenire erano due: Salvini, per quanto riguarda la Guardia costiera, Piantedosi più in generale con le politiche anti-sbarchi che hanno impedito alle navi private delle Ong di operare nei tratti di mare più a rischio.
Dopo l’incidente ferroviario nel quale sono morte almeno 40 persone, il ministro del Trasporti greco Kostas Karamanlis si è dimesso e ha spiegato che questo è «il minimo che posso fare per onorare la memoria delle vittime» e si è assunto tutte le responsabilità dello Stato che non aveva saputo proteggerle.
Salvini e Piantedosi dovrebbero fare lo stesso, invece che minacciare querele.
Elly Schlein, la differenza tra essere donna e agire per le donne
Giorgia Serughetti Domani 28 febbraio 2023
Elly Schlein, la differenza tra essere donna e agire per le donne
«Anche stavolta non ci hanno visto arrivare»: Elly Schlein lo dice ai cronisti, e lo ripete ai suoi, nella sera in cui le primarie del Partito democratico le consegnano una vittoria che sembrava impossibile.
Le evoluzioni di Feltri, il Pd non si scioglie ma diventa movimento
Stefano Feltri Domani 27 febbraio 2023
Con Elly Schlein il Pd diventa un Movimento democratico
Le primarie aperte saranno pure una assurdità per i politologi, perché permettono a simpatizzanti ed estranei di scegliere il vertice del partito, ma proprio per questo stimolano la partecipazione perché ogni esito è possibile.
Europee 2024, il nodo polacco per l’alleanza Meloni-Ppe
Francesca De Benedetti Domani 25 febbraio 2023
Per unire Meloni e i popolari va risolto il dilemma polacco
Il futuro dell’unione. La premier italiana sta lavorando da tempo all’intesa tra i suoi conservatori europei e il Ppe. Ma la presenza, in ciascun gruppo, di due partiti polacchi antagonisti complica l’operazione
Il tifo è ancora troppo violento
Alessandro Austini Domani 26 febbraio 2023
Il tifo è ancora troppo violento
Calciatori minacciati e scontri . Dopo la “guerra” in autostrada tra romanisti e napoletani gli ultras sono tornati a essere osservati speciali Un report dell’Associazione calciatori mostra che anche le aggressioni subite dai giocatori sono aumentate
Gli stadi pieni di tifosi dopo la pandemia danno speranza al caldo italiano in perenne crisi economica Ma c’è un risvolto decisamente meno romantico: insieme al pubblico sugli spalti, sono tornati i problemi d’ordine pubblico e di sicurezza. Per la gente che va a seguire le partite e anche per chi le gioca
La pericolosità degli ultras è di nuovo un tema d’attualità dagli scontri trai tifosi romanisti e napoletani che, lo scorso 8 gennaio, hanno trasformato l’autostrada del Sole in un campo di battaglia In attesa di individuare i responsabili, il ministero dell’Interno ha deciso di sospendere per due mesi le trasferte delle due tifoserie, colpendo anche chi con la violenza non c’entra nulla.
Napoletani e romanisti torneranno a viaggiare da metà marzo, ma la loro batta la prosegue a distanza e preoccupa chi deve garantire la sicurezza negli stadi e fuori. Il 4 febbraio un plotone armato di ultras serbi della Stella Rossa, che si trovava in Italia per seguire due partite dell’Eurolega di basket, ha rubato vari strisdoni dello storico gruppo romanista dei Fedayn, fondato negli anni Settanta nel quartiere popolare del Quadraro. I serbi sapevano dove trovarli e hanno aspettatovidno allo stadio Olimpico — a piazza Mancini —i tifosi che stavano tornando a casa dopo Roma-Empoli e portavano dentro un borsone gli striscioni. Gli ultras della Stella Rossa sono alleati con quelli del Napoli e potrebbe quindi esserd un collegamento con l’episodio dell’8 gennaio. Gli strisdoni rubati ai Fedayn sono poi comparsi, capovolti, nella curva della Stella Rossa e sono stati bruciati, come si usa fare nel mondo ultras per rivendicare “il bottino di guerra”. I serbi hanno accompagnato la macabra cerimonia scrivendo su uno strisdone: «Hai scelto gli amici sbagliati». Il raid subìto dai romanisti ha creato parecchia agitazione all’interno dell’intero movimento delle tifoserie organizzate italiane.
Tra accuse di tradimenti e promesse di vendetta, i Fedayn non hanno partecipato alla trasferta della Roma a Salisburgo e sono tornati all’Olimpico domenica scorsa per la partita con il Verona. Gli altri gruppi hanno reso omaggio ai Fedayn, rimanendo in silenzio per i primi 75 minuti della gara Un gesto di rispetto, interrotto solo per cantare ogni tanto i cori più famosi dei Fedayn. Si temeva una resa dei conti con altri ultras della curva ma, nonostante un’atmosfera tesa, tutto è filato liscio anche nella partita di ritorno contro gli austriaci all’Olimpico. Nel frattempo a Francoforte i tifosi napoletani si sono scontrati con i “rivali” tedeschi dell’Eintracht dentro e fuori lo stadio.
Il rapporto
Al fianco della cronaca l’ultimo rapporto dell’Assodazione italiana calciatori ha riportato l’attenzione su un altro lato della stessa medaglia. Anche «i giocatori—si legge nel report—sono tornati a essere oggetto di insulti, minacce e intimidazioni». Nella scorsa stagione, la 2021/22, sono stati segnalati 121 episodi, ma il dato è parziale perché non svela il sommerso: quante volte i calciatori vengono aggrediti, anche fisicamente, e d passano sopra perché “fa parte del mestiere”? «Tutto questo non è normale» sottolinea invece il sindacato dei calciatori che, da dieci anni, documenta un fenomeno dall’intensità altalenante e con caratteristiche mutevoli. Inizialmente era considerato più pericoloso giocare nelle regioni del sud, principalmente in Campania, adesso la violenza si sta spostando verso nord.
Nella scorsa stagione il 49 per cento degli episodi registrati si sono verificati nel settentrione, la Lombardia è stata la regione più a rischio per i giocatori (26 per cento, più di un quarto dei casi) seguita dalla Campania (13 per cento), dal Veneto e dal Lazio, entrambe al 12 per cento.
Sul triste primato lombardo incide la maggiore concentrazione di squadre di Serie A nella regione, perché la seconda novità emersa è che il 68 per cento delle minacce e delle intimidazioni dei tifosi ha riguardato i calciatori del principale campionato italiano. Ma il problema continua a interessare anche i dilettanti e i campionati giovanili. I giocatori vengono presi di mira singolarmente (nell’83 per cento dei casi) più che come squadra, quando sono indifesi.
Non solo cori e insulti dentro gli stadi, striscioni o scritte sui muri: qualcuno di loro è stato inseguito fin sotto casa, come è accaduto ad esempio a Nicolò Zaniolo e Rick Karsdorp della Roma, accusati rispettivamente di «non voler più vestire la maglia della squadra» e di essere «un traditore> da José Mourinho. Entrambi hanno presentato alle autorità una denunda contro ignoti, Zaniolo nel frattempo è andato a giocare a Istanbul, al Galatasaray, mentre Karsdorp è stato perdonato dal suo allenatore («Ho usato un termine esagerato», ha ammesso Mourinho) e dalla Roma, ma ha dovuto dichiarare che il suo avvocato e il sindacato mondiale dei calciatori —che lo avevano difeso — «non stavano parlando in mio nome».
Razzismo e non solo
I motivi prindpali per cui i calciatori vengono bersagliati dai tifosi sono le loro prestazioni, il razzismo e perché cambiano club o provano a farlo. «Le tue guardie del corpo non ti salveranno la vita, per te è finita» hanno scritto i fiorentini in uno striscione appeso fuori dallo stadio.
Il riferimento era a Dusan Vlahovic, che aveva deciso di andare a giocare nella Juventus. Ancor più inquietante quanto è successo lo scorso aprile a Foggia, quando un tifoso è entrato in campo e ha impedito all’attaccante del Catanzaro Pietro Ierrunello — che in passato giocava con i pugliesi — di tirare un rigore. In un caso su tre le minacce e le intimidazioni provengono dai propri tifosi e non da quelli avversari.
I calciatori di colore sono il primo bersaglio negli episodi di razzismo (39 per cento), tra ululati e banane che compaiono qua e là ogni tanto negli stadi, ma anche quelli dei Balcani («sei uno zingaro» il coro tipico) o dell’America latina Nel campionato di Eccellenza è successo pure che a gridare «negro» a un giocatore sia stato un componente della panchina dell’urbino caldo in una partita giocata a marzo 2022 contro il Grottanunare. E gli italiani? Per loro l’insulto più comune è legato alla provenienza dalle regioni meridionali: «Sei un terrone».
C’è poi il capitolo social network, dove chiunque può nascondersi dietro un profilo falso e offendere o spaventare un personaggio pubblico. «Sappiamo dove abiti», «stai attento a tuo figlio» sono le frasi tipiche rivolte ai giocatori. Nelle ultime settimane le minacce virtuali sono arrivate anche ai giudici sportivi che devono decidere sulla penalizzazione in classifica della Juventus: alcuni di loro sarebbero pronti a rinundare all’incarico.
In Inghilterra i club hanno iniziato a impedire l’ingresso nei loro stadi ai tifosi razzisti e violenti, in Italia c’è ancora tanto lavoro da fare per combattere concretamente il problema Una sensazione generale di impunità è percepita anche dai vertici dello sport italiano. «Il Daspo non basta più, serve la certezza della pena» hanno detto il ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, e il presidente della Figc Gabriele Gravina, che hanno partecipato alla presentazione del report dell’Aic insieme al presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Paolo Cortis.
Gli scontri dello scorso gennaio hanno generato una riflessione condivisa col Viminale sull’inefficacia del Daspo, ovvero del provvedimento col quale solitamente vengono puniti i tifosi che vengono individuati come i responsabili degli episodi di violenza. Non possono più accedere allo stadio per un determinato periodo e, in alcuni casi, sono obbligati a firmare in un commissariato nei giorni delle partite. Ma d sono “daspati” che subito dopo aver firmato si mettono comunque in viaggio per partecipare alla trasferta, anche se non potranno (in teoria) entrare allo stadio.
Gli arbitri
Gravina ha sottolineato anche le aggressioni subite dagli arbitri, in netto aumento: durante la stagione in corso sono già stati superati i 150 casi — otto dei quali contro donne — e sono cresduti i giorni di prognosi complessivi riportati dai direttori di gara feriti. L’ultimo caso si è registrato nel campionato di seconda categoria in Veneto: Mamady Cissé, un giovane arbitro di origine guineana, ha deciso di interrompere la partita tra Bessica e Fossalunga dopo un insulto di discriminazione razziale rivolto dalle tribune.
In Serie B a preoccuparsi invece è il presidente del Brescia, Massimo Cenino: i tifosi gli hanno lanciato delle uova e lo hanno minacciato con una cinghia, accusandolo di gestire male la squadra che rischia di retrocedere in C. Per quanto riguarda gli allenatori, anche per loro gli insulti non mancano, ma c’è un paradosso che li avvantaggia: quando vengono esonerati, l’attenzione si sposta A prendersi i soldi, ma pure le minacce dei tifosi, rimangono i giocatori.