Archivio tag: Federico Rampini
Il capo dei militari Usa apre al negoziato con Putin
Federico Rampini Corriere della Sera 12 novembre 2022
Il capo dei militari Usa apre al negoziato con Putin
Mark Milley, Capo di Stato Maggiore: «Adesso ci sono delle possibilità di soluzioni diplomatiche. Bisogna afferrare l’opportunità». Le truppe russe scavano trincee in vista dell’inverno: si preparerebbero a difendere i territori
Se comincia il post Trump è un guaio, per i democratici
Federico Rampini Corriere della Sera 11 novembre 2022
Se comincia il post Trump è un guaio, per i democratici
Il giorno dopo le elezioni di midterm, in casa repubblicana è partito un coro di accuse contro Donald Trump, preludio alla demolizione del suo mito. Certo, l’ex presidente venderà cara la pelle alle primarie, e punterà alla carneficina. Ma è tra i democratici che l’aprirsi di una nuova stagione rischia di causare più grattacapi: ecco perché
Questa Casa Bianca prevede che la tenuta dell’Occidente è ai limiti.
Federico Rampini Corriere della Sera 7 novembre 2022
Gli errori di Biden (non visti)
I presidenti, giunti a metà mandato, quasi sempre vengono penalizzati alle urne. D’altro lato, ogni volta il messaggio degli elettori va decifrato: che cos’è che respingono esattamente, dell’azione del loro governo?
Nella volata finale verso le elezioni di metà mandato, Joe Biden ha riproposto una narrazione tanto familiare quanto inquietante: questo martedì si decide nientemeno che la sopravvivenza della liberaldemocrazia americana, la più antica, il faro dell’Occidente. Il presidente lo ha detto testualmente in uno degli ultimi comizi: «Alle urne, per tutti noi sarà in gioco la democrazia». Barack Obama, accompagnando Biden, ha ribadito lo stesso allarme. Entrambi hanno esposto le ragioni per descrivere il voto in termini così drammatici.
L’alto numero di candidati trumpiani che contestano la legittimità dell’attuale presidente, rivelano una pericolosa tendenza dei perdenti a non riconoscere il risultato elettorale. La violenza politica che raggiunse un apice il 6 gennaio 2021 con l’assalto sovversivo al Congresso, si è riaffacciata di recente con l’aggressione al marito della presidente della Camera, Nancy Pelosi.
Tuttavia questo allarme democratico sta diventando la routine. Motiva e mobilita solo quelli che sono già arciconvinti. Spesso copre le manchevolezze nella proposta politica del partito democratico. Inoltre questa rappresentazione finisce per dare ragione agli avversari delle libertà: la democrazia americana (come quella italiana, brasiliana, israeliana?) la descriviamo noi stessi come una creatura esile, la cui vita è sempre appesa a un filo. Nel mezzo di una nuova guerra fredda, con uno scontro aperto tra sistemi antagonisti, noi non proiettiamo una gran fiducia nel nostro. Il messaggio è incoraggiante per Vladimir Putin e Xi Jinping, preoccupante per il popolo ucraino.
I sondaggi danno per probabile un’avanzata del partito repubblicano, che potrebbe riconquistare la maggioranza alla Camera e forse anche al Senato. Da un lato questa oscillazione del pendolo politico è la regola. I presidenti, giunti a metà mandato, quasi sempre vengono penalizzati alle urne. D’altro lato, ogni volta il messaggio degli elettori va decifrato: che cos’è che respingono esattamente, dell’azione del loro governo? Stavolta i democratici si erano creati una narrazione rassicurante. Fino a poche settimane fa erano fiduciosi che il voto di midterm 2022 sarebbe sfuggito alla consuetudine storica. Secondo loro la sentenza anti-aborto della Corte suprema doveva aprire gli occhi ai cittadini sui prezzi di una restaurazione conservatrice. L’indagine parlamentare sui fatti del 6 gennaio 2021 doveva imprimere un marchio d’infamia sui trumpiani, rendendoli ineleggibili. «Mi sembra impossibile che qualcuno possa votare per quella gente», ha detto Nancy Pelosi. Una frase simile tradisce il distacco dalla realtà che perseguita il partito democratico.
L’allarme di Biden è avvolto nelle contraddizioni. Se davvero martedì è in bilico la democrazia, allora la democrazia americana è già morta visto che almeno metà della nazione voterà repubblicano. Viene dimenticato il ruolo decisivo che ebbero tanti repubblicani nel bloccare gli impulsi prevaricatori di Trump: il 6 gennaio 2021 funzionarono gli anticorpi a difesa delle istituzioni, a cominciare dal comportamento del vicepresidente (repubblicano) e del capogruppo al Senato (repubblicano).
Comunque martedì non si vota pro o contro Trump bensì per eleggere un Congresso e tanti governatori. I democratici pagano errori che non vogliono riconoscere. L’inflazione è stata alimentata anche da politiche assistenziali troppo generose, che hanno gonfiato a dismisura il potere d’acquisto dei consumatori. Lo shock energetico è stato aggravato da una deriva verso l’estremismo ambientalista, che ha boicottato l’estrazione di energie fossili ancora essenziali per decenni. Come in Europa, l’ambientalismo apocalittico che dice no a tutto, è responsabile anche in America per ostacoli enormi perfino nella costruzione di nuove centrali eoliche e solari, o nell’estrazione di minerali rari indispensabili per le batterie delle auto elettriche.
Infine c’è il più ingombrante di tutti gli scheletri nell’armadio. In nome di un anti-razzismo estremista e ideologizzato, il partito democratico ha cavalcato la delegittimazione delle forze dell’ordine e i suoi amministratori locali applicano politiche lassiste nel campo della sicurezza. Il conseguente aumento della criminalità è in cima alle preoccupazioni degli elettori, tra cui proprio le donne che i democratici s’illudono di aver catturato per sempre sulla questione dell’aborto. Colpisce un paradosso etnico. La sinistra ha proclamato di voler difendere le minoranze — afroamericani, ispanici — attaccando la polizia e depenalizzando di fatto molti reati. Il risultato: aumentano i black e i latinos che votano repubblicano, perché sono in prima linea a soffrire per l’escalation della delinquenza e lo strapotere delle gang nei loro quartieri. I repubblicani intravvedono dei guadagni di voti perfino in roccaforti storiche del politicamente corretto, come la California e New York. Al confine Sud, dove non si fermano i flussi d’immigrazione clandestina, gli immigrati legali votano repubblicano perché sentono bisogno di ordine e sicurezza. Anziché prendere atto di queste realtà, la sinistra Usa preferisce parlare di fascismo dietro l’angolo. Se perde lei, perde la democrazia.
Non è difficile immaginare l’eco che hanno le parole di Biden a Zhongnanhai, il quartier generale del partito comunista cinese a fianco della Città Proibita di Pechino. Xi Jinping, come ha confermato all’ultimo congresso di partito, è un autentico marxista. Non ha mai abbandonato una visione escatologica della storia: il capitalismo è condannato a morte, il socialismo dominerà. Nel trentennale del controverso saggio La fine della storia di Francis Fukuyama, pochi in Occidente credono ancora al trionfo del proprio modello. Xi invece è più fiducioso che mai nella sua versione della «fine della storia»: l’Occidente non ha speranza, il futuro appartiene al sistema autoritario cinese con i suoi satelliti o alleati russo, nordcoreano, iraniano.
Le parole di Biden sulla democrazia in pericolo hanno un eco allarmante a Kiev. Una nazione che combatte e muore per salvare la sua appartenenza alla comunità occidentale, cosa deve pensare della sfiducia che trasuda da Washington? Se davvero una vittoria repubblicana mette in discussione la democrazia Usa, gli ucraini hanno di fronte a sé un controsenso: il Paese europeo che li sostiene di più è la Polonia, governata da forze ultraconservatrici affini alla destra Usa.
Sulla sorte della guerra in Ucraina pesa la politica interna americana. A destra cresce il malumore per un sostegno a Kiev «troppo costoso» per il contribuente del Kansas. A sinistra si agita un’ala «pacifista» che scalpita per fare concessioni a Putin. Per l’autocrate russo, il midterm è ricco di speranze. Biden ne trae già le conseguenze, prima ancora di conoscere il risultato elettorale manda segnali a Zelensky perché si dimostri disponibile al negoziato con Putin. Questa Casa Bianca prevede che la tenuta dell’Occidente ha dei limiti.