Il Brics può fare a meno dell’occidente

Alberto Negri il manifesto 25 giugno 2022
Perché il Sud del mondo non è allineato all’Occidente
Il vertice dei Brics in Cina sancisce la nuova forma di non allineamento: emerge che l’isolamento della Russia, pur considerata aggressore dell’Ucraina, è solo occidentale

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Benzina e Gas, Biden e Scholtz ora hanno la guerra in casa

Francesco Guerrera La Repubblica 24 GIUGNO 2022
La guerra ci entra in casa

 

Dal termosifone alla benzina, le conseguenze ora saranno tangibili

La guerra in Ucraina sta per entrare nelle nostre vite. Non sui nostri schermi, o sulle pagine dei giornali, dove l’orrore del conflitto scatenato da Vladimir Putin risiede da tempo. leggi tutto

Johnson: Crisi energia, inflazione, cibo, noi non fermeremo la guerra

Luigi Ippolito Corriere della Sera  23 giugno 2022
Intervista a Boris Johnson: «No a una cattiva pace per l’Ucraina: l’Occidente
non ceda alla fatica della guerra. Putin deve fallire»
Il premier britannico: «Gli ucraini non accetteranno un conflitto congelato nel quale lo zar è in grado di continuare a minacciare ulteriore violenza e aggressione. Bisogna tornare ai confini di prima del 24 febbraio».

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L’assillo di Panebianco, l’esito della guerra determinerà le sorti del conflitto con i putiniani interni

Angelo Panebianco Corriere della Sera 22 giugno 2022
Democrazia e politica: esiti imprevisti della guerra

 

La politica italiana sarà spinta in una direzione o nell’altra a seconda dell’esito dello scontro, ma le armi russe hanno contribuito a rafforzare l’identità collettiva di Kiev
Non sappiamo come e quando finirà la guerra. I suoi esiti incideranno non solo, come è ovvio, sugli equilibri internazionali ma anche — il che è meno ovvio — sugli equilibri interni delle democrazie europee.

L’Italia è, insieme alla Francia (che però dispone di più solide istituzioni), la più esposta. Per la presenza, numerosa e rumorosa, dei nemici di quello che essi considerano l’impero del Male (gli Stati Uniti). Se una democrazia non è una grande potenza, se non può plasmare il contesto internazionale, allora è quel contesto a condizionare i suoi equilibri interni.
Ad esempio, dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti forgiarono , alla luce dei propri valori e interessi, in competizione con l’Unione Sovietica, l’ordine internazionale. Le democrazie europee vi si adattarono ottenendo stabilità, sicurezza e benessere. È possibile che la guerra in Ucraina duri a lungo. Ma un giorno le armi, almeno per un po’, taceranno. E si farà un primo bilancio. Ci sono tre possibilità. La prima è che l’Ucraina, anche senza recuperare tutti i territori che la Russia ha conquistato, risulti vincitrice. Per essere ancora uno Stato sovrano che ha resistito con successo al piano di Putin di cancellarla dalla carta geografica. Per avere avuto la capacità di sconfiggere il progetto neo-imperiale russo. La seconda possibilità è che l’Ucraina, pur esistendo ancora, almeno nominalmente, sia ridotta al lumicino,magari senza più accesso al mare, destinata solo a sopravvivere grazie ad aiuti occidentali. La Russia sarebbe riconosciuta vincitrice. Moldavia, Polonia e baltici avrebbero ragione di tremare.

La terza possibilità è uno stallo, una condizione senza chiari vincitori . Ne deriverebbe una tregua destinata, prima o poi, ad essere infranta. La nomenklatura russa non potrebbe tollerare per troppo tempo di non essere, inequivocabilmente, la vincitrice. Perché mai il gigante dovrebbe sopportare l’idea di non essere riuscito a ridurre in poltiglia coloro che considera insignificanti insetti?

Consideriamo le prime due possibilità e i riflessi sull’Italia. Una vittoria ucraina rafforzerebbe le posizioni politiche degli atlantisti. Una vittoria russa le indebolirebbe gravemente. Non tutti coloro che sperano in una sconfitta ucraina sono necessariamente putiniani. Ma tutti sono anti-americani. Pensano che una vittoria ucraina sarebbe una vittoria della Nato e degli Stati Uniti. Sognano un’Europa che, cacciati gli americani, si accordi con la Russia. È un gruppo variegato composto da pacifisti più o meno immaginari, putiniani, settori del mondo cattolico e altri ancora. L’avversione alla Nato è il fattore unificante.

Se vincerà l’Ucraina, gli atlantisti, Partito democratico, Fratelli d’Italia e forse anche — se emergerà — una formazione di centro, si rafforzeranno. Se vincerà la Russia saranno gli anti-atlantisti a rafforzarsi. Anche dentro il Pd e FdI. Forse gli stessi leader di quei partiti verranno contestati per la loro scelta atlantica dai rispettivi oppositori interni. Nel medio-lungo termine, l’assetto europeo che scaturirebbe da una vittoria dell’uno o dell’altro dei belligeranti inciderebbe sugli equilibri politici italiani.

Nelle divisioni sulla guerra si scorgono in controluce aspirazioni differenti sul futuro della democrazia. È vero che entrambi i fronti, atlantista e anti-atlantista, sono divisi al loro interno. Ma, paradossalmente, il fronte anti-atlantista è il più internamente coerente. Fra coloro che qui da noi puntano su un indebolimento del ruolo degli Stati Uniti in Europa — al pari di Mélenchon e di Le Pen in Francia — sono diffuse le preferenze per una società chiusa, fortemente controllata dallo Stato,scarseggiano gli amici della società aperta (all’iniziativa dei singoli) in quanto tale più compatibile con i caratteri fino ad oggi dominanti nella comunità euro-atlantica. Una società chiusa, anche se formalmente ancora democratica, non avrebbe difficoltà ad intendersi con la Russia di Putin.

Nel fronte atlantico c’è più eterogeneità. Vedremo se la combinazione di scelta atlantica e di successo elettorale nel Nord Italia spingerà FdI ad abbandonare la predilezione del passato per certi ideali statalistico-corporativi poco compatibili con le esigenze di una società libera e aperta. E vedremo se il neo-atlantismo del Pd contribuirà a ridurre lo spazio, dentro e nei dintorni del partito (vedi la Cgil), di posizioni anch’esse poco compatibili con quelle esigenze. Ma ciò precisato, non sembra implausibile che la politica italiana sia spinta in una direzione o nell’altra a seconda dell’esito della guerra.

C’è poi la terza possibilità:la guerra continua a lungo ed è seguita da uno stallo e dalla impossibilità di identificare un chiaro vincitore. In tal caso, il confronto fra atlantisti e anti-atlantisti di casa nostra non si fermerebbe.L’incertezza della situazione internazionale si riverberebbe su di noi accrescendo l’incertezza sul futuro della nostra democrazia.

Se fossero solo le «buone idee» e non anche le «buone armi» a fare vincere le guerre, e se fossero solo le buone idee a spostare in un senso o nell’altro gli equilibri all’interno di una democrazia, bisognerebbe dire che chi preferisce la società aperta, e quindi l’alleanza occidentale, è in vantaggio perché dispone di idee migliori. Gli antiamericani si appellano alla Storia (con la maiuscola) per spiegare all’opinione pubblica il perché della «complessità» della situazione ucraina e perché una secca sconfitta russa non sarebbe auspicabile. Parlano della storia nello stesso modo in cui ne parla Putin, come di una cappa, inesorabile e immutabile. Ma la storia così intesa non esiste. Esistono invece i processi storici, intessuti di continuità e di discontinuità. Quella ucraina non è una guerra civile. Perché gli ucraini esistono, sono una nazione indipendente e vogliono restarlo. Poiché le nazioni si formano sempre contro un nemico, Putin è riuscito a irrobustire il senso di identità nazionale ucraino, si è auto-sconfitto, ha contribuito, dal 2014 ad oggi, a falsificare la propria stessa idea secondo cui «l’Ucraina non esiste».

Per dire che ci sono buoni argomenti per confutare le tesi dei nostrani nemici dell’alleanza occidentale sull’Ucraina. E per dire che, per le stesse ragioni, c’è anche qualche motivo di ottimismo sulla guerra. Le armi russe difficilmente riusciranno a distruggere un’ identità collettiva che il sangue e i lutti hanno così potentemente rafforzato.

Il fenomeno Mélenchon, resuscita una sinistra in Francia

Stefano Montefiori Corriere della Sera 20 giugno 2022
Mélenchon, il «Chávez di Francia» non governa, ma dà filo da torcere a Macron
Da sempre schierato a sinistra, il tribuno della gauche francese è anticapitalista e terzomondista. Ma condanna la Russia e adegua le sue battaglie ai tempi: così ha rivitalizzato la sinistra (e insidiato l’Eliseo)

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C’è alle porte un lungo inverno per l’Italia a corto di gas

Romano Prodi Il Messaggero 19 giugno 2022
Crisi energetica – la stagione dei sacrifici prima del voto

 

La guerra di Ucraina continua con le sue tragedie, con i suoi morti e con le sue distruzioni. Nel frattempo si aggravano anche le conseguenze di carattere non strettamente militare di un conflitto ormai divenuto mondiale.

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Boris Johnson ha perso il treno, ma ha portato armi e istruttori. “Vinceremo”

Sabato Angieri Il manifesto 18 giugno 2022
Nuove promesse da Johnson. Soldi, armi e addestramenti
Visita a sorpresa a Kiev del primo ministro britannico. Intanto a Severodonetsk si continua a combattere, nessun corridoio per i civili nell’Azot

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La trattativa si può fare: la via di Draghi, cioè di Zelensky, pardon di Minzolini

Augusto Minzolini il Giornale 17 giugno 2022

 

La sola via per la pace

 

I tempi sono quelli dell’Europa. più lunghi di quelli che la storia nel terzo millennio pretenderebbe Ma la promessa fatta dai leader dei tre principali paesi europei, Germania, Francia Italia a Kiev, cioè di un ingresso dell’Ucraina nella Ue con lo status in tempi brevi di nazione candidata è dato da non trascurare. leggi tutto

La tregua non è alla portata europea, Usa e Russia come e quando decideranno

Lucio Caracciolo La Stampa 16 Giugno 2022
Solo Putin e Biden possono fare la pace

 

Quando scoppia una guerra in genere ci si divide fra chi invoca una soluzione diplomatica subito e chi la rifiuta. Pacifisti contro militaristi, nella assai discutibile vulgata corrente.

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Si cambia, dopo autocrati e macellai, ora Maduro e Bin Salman vanno bene

Domenico Quirico La Stampa 09 Giugno 2022
Se Biden stringe la mano agli autocrati per sfuggire al ricatto del petrolio
Il presidente Biden ci ripensa e riabilita quelli che aveva bollato come «paria», Bin Salman e Maduro. Alla base un solo meccanismo: credere che tutto è permesso e approvare la decisione di permettersi tutto

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