L’Amaca di Michele Serra La Repubblica 10 settembre 2022
L’Apocalisse allegra
La distopia può essere allegra? Secondo Paolo Virzì (“vorrei che il mondo finisse mentre stiamo ridendo”) può esserlo, o meglio deve.
Virzì è un regista, dunque stiamo parlando, come è evidente, del riflesso artistico-letterario di un’ipotesi, l’estinzione o la riduzione alla preistoria di homo sapiens, che è molto di moda (trend topic ovunque, e da un bel po’) ma di allegro non avrebbe molto, soprattutto per chi è nato da poco, e ancora deve vivere la propria vita.
Ma quella di Virzì è una rivendicazione da commediante alla quale mi associo con totale complicità: esiste un sottile e inconfessabile complesso di superiorità, nei praticanti del comico, rispetto alla tragedia. La tragedia è (mi scuso per la madornale semplificazione) meno distaccata dalle vicende umane. Ne è talmente compresa da non poterne cogliere la intrinseca, patetica, irresistibile buffonaggine. Siamo pur sempre la scimmia che si è creduta Dio, al punto di immaginarci “fatti a sua immagine e somiglianza” (cose da pazzi). Se dunque dovessimo deperire o addirittura estinguerci per nostra stessa mano, il sospetto che siano state la vanità e la presunzione a dannarci sarebbe inevitabile, e fonte di auto-dileggio, sempre che non si sia accecati, appunto, dalla presunzione e dalla vanità.
Nonostante questo, al concetto di “fine del mondo” possiamo associare tonnellate di fantasy terrificante, paesaggi lugubri, cortei di zombi, sangue e fiamme, punizione e rovina. Risate pochissime (una tra tutte il Vonnegut di “Comica finale”, 1976, sempre sia lodato). Virzì, dobbiamo allestire una task force per difendere, fino all’ultimo respiro, il sentimento supremo del ridicolo.