In aula il primo duello su salario e diritti

Stefano Cappellini La Repubblica 16 marzo 2023
La mossa di Schlein e l’arrocco di Meloni. In aula il primo duello su salario e diritti
Il racconto dello scontro a Montecitorio. La premier appare tesa e replica con stoccate alle domande del question time. La leader dem usa il tempo a disposizione per chiarire le priorità della nuova agenda Pd


Era il primo scontro in aula a Montecitorio tra Giorgia Meloni e Elly Schlein ed è stato un flash. Pensatela come una partita a scacchi lampo, di quelle che si giocano con il cronometro, la mossa d’istinto conta spesso più della preparazione a tavolino. Il question time così funziona: in pochi minuti si consumano l’interrogazione al governo, la risposta della presidente del Consiglio e la replica dell’interrogante. Schlein, in bianco, ha mosso subito i pezzi all’attacco. Meloni, in nero, o comunque in giacca scura, così evitiamo errori scambiati per allusioni, ha rovesciato la scacchiera.

La sintesi di Schlein: cara Meloni, vuoi introdurre il salario minimo visto che il tuo governo non fa nulla per combattere il fenomeno dei lavoratori poveri? La sintesi di Meloni: no, e comunque se i salari sono bassi è colpa del Pd. Il resto è stata scena per le tv, compresa una surreale standing ovation dei deputati di Fratelli d’Italia a omaggiare una non memorabile affermazione della presidente: “Chi ha governato l’Italia ha reso più poveri i lavoratori”.

Chi ha vinto? In questi casi è come chiedere all’oste del vino. “Schlein è ko”, giura entusiasta il deputato di FdI Antonio Baldelli. “Confronto molto buono, ha vinto Elly”, dice l’ex segretario dem Enrico Letta in Transatlantico. Facile immaginare che, per ora, sia lo stesso nei rispettivi elettorati.
Schlein sa bene quanto sia mediatico lo spazio a disposizione e lo usa soprattutto per chiarire cosa c’è in cima all’agenda del nuovo Pd. Anche Giuseppe Conte lo sa, e infatti pochi minuti prima che la leader dem parli in Aula fa un tweet per rivendicare che la proposta M5S sul salario minimo è stata calendarizzata. Conte non vuole lasciarle tutta la scena. Dice Schlein a Meloni: “Lei, signora presidente, qualche tempo fa ha definito il salario minimo uno specchietto per le allodole: vada a dirlo a chi ha una paga da fame”. Poi rilancia anche l’introduzione di un congedo paritario di tre mesi (“Parlate sempre di natalità, allora aiutiamo le donne che fanno figli”) e nella replica attacca governo e maggioranza sui diritti negati alle coppie omogenitoriali. Quindi, fuori dall’Aula, annuncia l’adesione del Pd al presidio che si terrà a Milano sul tema. Eccolo qui il mio Pd, vuole dire.

Meloni sembra nervosa. Arriva alla Camera usando il sottopassaggio che collega Palazzo Chigi a Montecitorio, seguita dalla fedelissima dello staff, Patrizia Scurti. Tra i membri del governo solo il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida appare più teso di lei. Molti deputati dell’opposizione si stupiscono dei toni che Meloni usa per rispondere alle interrogazioni. La verità è che sono finiti i tempi dei governi tecnici o di grande coalizione. Meloni riempie di politica ogni pertugio, anche il question time.

Si capisce subito dalla risposta a Riccardo Magi di +Europa, che le chiede conto dell’incidente di domenica scorsa in acque libiche: un barcone rovesciato con 47 migranti a bordo, 30 morti. Meloni prima pasticcia e confonde la sovranità sulle acque con la competenza sui soccorsi, quindi scarica sulle opposizioni l’accusa di “calunniare l’Italia per fini politici. La nostra coscienza – dice riferendosi ai fatti di Cutro – è a posto, spero che chi attacca il governo ma non spende una parola contro la mafia degli scafisti possa dire lo stesso”. Matteo Salvini, seduto al suo fianco, annuisce con le solite faccine da emoticon vivente. Nella replica Magi non si capacita del diversivo logico: “La domanda non è se il governo sia colpevole del naufragio, ma se sia stato fatto tutto il possibile per evitarlo”.

Anche il capogruppo del M5S Francesco Silvestri, che ha interrogato Meloni su banche e mutui, si duole per le medesime ragioni: “Temo – dice alla presidente del Consiglio – che lei non abbia capito la domanda”.

Con Schlein va anche peggio, la domanda finisce presto nel cestino. Due rapide parole sul merito della questione (“Il governo non è convinto che la soluzione sia la fissazione di un salario minimo legale”) e il resto del tempo speso ad attaccare il Pd, con la figura retorica che gli specialisti chiamano antifrasi: l’ironia per significare il contrario di quello che le parole dicono. “Apprezziamo – dice Meloni – che il Pd abbia la sincerità di riconoscere che i salari degli italiani negli ultimi anni sono diminuiti”. Chiaro il riferimento al fatto che l’ultimo ministro del Lavoro fosse il dem Andrea Orlando. Ma, in generale, è una stoccata al Pd governista e alle variopinte maggioranze cui ha partecipato senza portare molto a casa.

Anche la scelta delle parole è un programma. La segretaria del Pd si rivolge a Meloni chiamandola “signora presidente”, l’altra non le concede nemmeno l’onore della citazione diretta, “rispondo agli interroganti”, è la formula. Il messaggio è chiaro: non perdo tempo con la nuova arrivata, tanto dietro di lei c’è il Pd di sempre. Meloni sa che Schlein non condivide parecchie delle scelte prese in passato dal partito che ora guida.

Proverà spesso a metterla in imbarazzo così. L’impressione però è che, su questo, sottovaluti la disponibilità di Schlein a darle ragione. Infatti proprio la cesura con il passato offre a Schlein uno dei passaggi più riusciti della sua replica: “Le ricordo che ora sono io all’opposizione e lei al governo e non è più tempo di prendersela con gli altri. Avete voi la responsabilità di dare risposte. Non si nasconda dietro un dito”.

In effetti, c’è da capire per quanto ancora Meloni potrà, senza pagare dazio, parlare come fosse ancora in campagna elettorale. Un altro ex segretario del Pd, Nicola Zingaretti, seduto sui divanetti del Transatlantico, è convinto che quel momento sia vicino: “In un mese è cambiato molto e Meloni è cambiata anche di più”. Fa un movimento della mano verso il basso, come a dire: calo forte. “E poi c’è un fatto – aggiunge Zingaretti – Berlusconi era il capo della destra, lei non lo è. Basta guardare i banchi della maggioranza quando parla Meloni, applaudono sempre e solo i suoi”.

 

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