Vladimir Putin è sotto assedio nelle mani di Xi Jinping

Paolo Garimberti La Repubblica 18 marzo 2023
Mandato di arresto dell’Aia, ora Vladimir Putin è sotto assedio nelle mani di Xi Jinping
Il presidente russo, con la sua faccia idealmente stampata su un manifesto con la scritta “Wanted” affisso in tutte le città del pianeta, diventa un paria della comunità internazionale. E questa condizione potrebbe avere un risvolto politico nella visita del leader cinese a Mosca

 

La decisione della Corte penale internazionale di incriminare Vladimir Putin per un delitto ripugnante come la deportazione di bambini ha una dirompente valenza morale, oltre che risvolti politici, altrettanto alta quanto sono basse le probabilità che il mandato di arresto sia eseguito e il processo istruito.

Non solo perché la Russia non riconosce il Tribunale dell’Aia, che “non ha alcun significato per il nostro Paese”, come ha ricordato subito Maria Zakharova, l’aggressiva portavoce del ministero degli Esteri di Mosca. Alla quale ha fatto eco, con la sua consueta eleganza verbale, l’ex presidente Dmitrij Medvedev, che ha ricordato su Twitter, postando la foto di un gabinetto, qual è l’uso più appropriato delle carte del Tribunale.

Ma anche perché la Corte non può avviare un processo in assenza dell’imputato, oltre a non disporre di una polizia giudiziaria che possa metterlo in manette (e anche se l’avesse, difficilmente potrebbe arrivare al Cremlino). Non vi è ancora riuscita con l’ex presidente sudanese Omar al-Bashir, primo capo di Stato in carica incriminato nell’ormai lontano 2009, nonostante sia stato deposto e sia in carcere nel suo Paese.

A differenza del presidente serbo Slobodan Milosevic (morto d’infarto durante il processo all’Aia) e del leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, condannato all’ergastolo, Putin è destinato a restare un ricercato a vita, anche nell’eventualità assai remota che in Russia ci sia, dopo la guerra in Ucraina, un’altra rivoluzione che deponga il nuovo zar uscito dalle viscere del Kgb.

Ma la condanna storica e universale, che deriva da questa incriminazione e dal mandato di cattura emesso ieri (17 marzo), è enorme e lo perseguiterà fino a quando resterà su questa Terra.

Anche perché le fonti ufficiali russe non hanno negato che la deportazione di bambini (16.221 secondo i dati ucraini, non verificabili) ci sia stata. Ma l’hanno mistificata come adozione di bambini abbandonati nel quadro di un “programma patriottico e umanitario”, che prevede il loro trasferimento in cosiddetti “campi di vacanza” in Crimea e in altre aree della Russia. Con una clausola, degna della più ignominiosa disinformazione, che prevede il ricongiungimento con le famiglie nel caso che i genitori vadano personalmente a riprenderli.

Un programma diabolico, della cui ideazione e realizzazione si è incaricata Maria Alekseeva Lvova-Belova, la commissaria per i diritti dei bambini (proprio così, per “i diritti dei bambini”) presso l’ufficio del presidente, la quale si è vantata di “non lasciare i bambini in zone di guerra”, ma anzi di “circondarli di persone che si prendono amorevolmente cura di loro”.

Una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha spazzato via questa disgustosa facciata di legalità e di umanità costruita dalla propaganda del Cremlino, sancendo che nessuno dei casi investigati trovava giustificazione nelle leggi internazionali. Aprendo così la strada all’incriminazione della commissaria e del suo mandante, per il quale, afferma il comunicato della Corte, “c’è ragionevole materia per pensare che abbia una individuale responsabilità per i crimini indicati”.

Putin, con la sua faccia idealmente stampata su un manifesto con la scritta Wanted affisso in tutte le città del pianeta, diventa così un paria della comunità internazionale. E questa condizione potrebbe avere un risvolto politico nella visita che il presidente cinese Xi Jinping farà a Mosca, anche se la Cina (come peraltro gli Stati Uniti e l’India, oltre alla Russia, non ha mai firmato la carta costitutiva della Corte del 1998).

Con una Russia ancora più indebolita dalla messa all’indice del suo presidente, Xi può far valere, se davvero lo vuole, il suo peso politico per farsi broker di un armistizio, che conduca poi a un vero negoziato.

Il presidente cinese non ha alcun vantaggio, per il suo programma di rilancio economico solennemente confermato dalla recente Assemblea nazionale, a un prolungamento della guerra. Ma non ha neppure interesse a una fine umiliante del suo junior partner Vladimir Putin.

Per Xi questa visita è, per tempistica, la grande occasione. Ma è anche la grande occasione per capire, dopo una prolungata ambiguità diplomatica e verbale, da che parte sta la Cina nella guerra in Ucraina.

 

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