Moisés Naím, “Trump vuole far saltare il banco”

Alberto Simoni La Stampa 19 marzo 2023
Usa, Moisés Naím: “Trump sta giocando d’anticipo in caso venga incriminato, vuole far saltare il banco”.
Il politologo: «Abbatterà le barriere della democrazia e del sistema americano»

«Sembra un’azione preventiva, Trump prepara il terreno nel caso fosse incriminato», dice Moisés Naím, scrittore, politologo, distinguished fellow al Carnegie Endowment for International Peace.

I suoi legali dicono di non aver però alcuna citazione o indicazione dalla Procura.
«Trump non avrebbe fatto quell’uscita su Truth, la chiamata a serrare le fila del suo popolo, se avesse avuto la certezza che la Procura di Manhattan non aveva nulla contro o su di lui».

Ci sono similitudini fra l’invito a venire a Washington il 6 gennaio, “Venite qui, sarà folle” e quanto scritto ieri: “Protestate, riprendiamoci indietro la nazione”?
«Se Trump sarà incriminato, farà di tutto per fare saltare il banco, abbatterà le barriere della democrazia e del sistema americano. La sua è una chiamata di sfida alla rule of law».
E il 6 gennaio cosa fu?
«La Commissione della Camera ha fatto un grande lavoro per restituire la realtà dei fatti e ha tolto ogni dubbio su quel che è accaduto. Chi era a Washington quel giorno non era venuto per fare il turista, malgrado quello che continua a dire Tucker Carlson sulla Fox. La sua narrazione fake è stata sbugiardata da Bill Maher su Hbo in modo assoluto e divertente. E ora sappiamo cosa è stato il 6 gennaio del 2021. Un attacco alla democrazia».
Martedì Trump sarà arrestato, almeno stando alla sua versione tutt’altro che verificabile. Cosa succederà?
«Non immagino un altro attacco a Capitol Hill, la lezione è stata imparata da autorità e attivisti. Ma non mi sorprenderei, anzi mi aspetto, episodi di violenza e di rabbia per le strade».

La democrazia americana dopo lo scossone di due anni fa è preparata a fronteggiarli?
«Sì, non c’è più quella forza distruttiva, ci sono le barriere, le protezioni funzioneranno».

Il caso della frode fiscale a Manhattan è solo il primo dei tanti guai che pendono sulla testa di Trump. Altri potrebbero avere un impatto maggiore?
«Sono tutti differenti, trapela anche poco sui media, le informazioni sono centellinate. Questo degli hush money arriva prima di tutti ed è anche per questo potenzialmente distruttivo. Comunque, la strategia di Trump è e resterà sempre la stessa».

Quale?
«Quella di trasformare il suo caso in un problema di legittimità dell’intero sistema».

Quanti americani credono ancora a Trump vittima?
«Molte persone continuano ad appoggiarlo e sono immuni alle notizie che emergono. Ma c’è una crescente fetta di popolazione che ha iniziato ad aprire gli occhi e a scoprire l’uomo Trump. E per questo è stato determinante il lavoro della Commissione sui fatti del 6 gennaio».

Trump ha detto che se anche sarà incriminato continuerà la sua rincorsa alla nomination. Sarà azzoppato?
«Si entra in un campo veramente complicato e le previsioni sono difficili».

Se non lo ferma la giustizia, Trump può essere battuto da DeSantis il governatore della Florida?
«No».

È perentorio. Perché?
«DeSantis è un politico con un profilo locale, almeno ad oggi. Rientra comunque nella categorie dei trumpisti, ma piace a quelle frange di Partito repubblicano anti-Trump. Ma oggi non ha alcuna chance di vincere».

Karl Rove, stratega di Bush junior, ha avvertito in un commento sul Wall Street Journal i repubblicani a non ripetere l’errore del 2016 quando troppi candidati si scannarono fra di loro aprendo la strada a Trump. Se non sarà DeSantis l’uomo anti-Donald, se ne troverà un altro? Magari un moderato?
«Dentro il Gop ci sono tante anime, non si può ridurre in due blocchi contrapposti. Non siamo in una dinamica bianco o nero».

Cosa significa?
«Che il 20-30% circa è trumpiano e che la parte restante ha posizioni diverse: scettici verso Trump, attendisti, non ostili. È in questa ampia zona grigia che il Gop deve trovare consensi e unirsi. Non è facile»

 

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