Ascolto, non dialogo. Insomma… aria fritta tra Landini e Meloni

Valentina Conte La Repubblica 18 marzo 2023
Con Landini 40 minuti di faccia a faccia riservato “Ascolto, non dialogo”
Quasi quaranta minuti di faccia a faccia. Il segretario e la premier, Landini e Meloni. Lui aveva chiesto ai suoi in platea di ascoltare, perché «non è altruismo, ma la premessa per essere ascoltati».

Lei aveva chiuso garantendo «un ascolto serio, senza pregiudizi». Poi scesa dal palco, l’imprevisto. Un saluto veloce che diventa confronto vero e riservato. Prima un po’ d’acqua, poi un caffè. Fuori la scorta spegne i motori.

Le consigliere locali di FdI aspettano al vento gelido con le rose bianche.

Landini, spiazzato da una premier che al suo arrivo rompe il protocollo ed entra dalla porta principale del Palacongressi, quella delle contestazioni e dei peluche, misura le parole e anche le distanze.

Ringrazia la premier, il suo esserci in presenza «come segno di rispetto ». Ma poi marca le differenze: non ci siamo sul fisco, sul salario minimo, sul lavoro precario, sull’autonomia differenziata.

E soprattutto sui tavoli finti — per Meloni sono «20 in 20 settimane» — sull’essere convocati a cose fatte, sull’assenza di negoziazione. I temi della relazione d’esordio al Congresso. I nodi che ripresenterà oggi, nel discorso della riconferma a segretario generale per altri quattro anni. La premier ascolta, annuisce. Conferma le distanze. Ma apre a futuri confronti.

Il convitato di pietra è lo sciopero generale. La delega fiscale — che Landini ha ribattezzato mercoledì «la madre di tutte le battaglie » — ha ricompattato i sindacati. Anche la Cisl, oltre alla Uil, pare pronta alla piazza. D’altro canto Landini sa che non può non tenere conto dell’umore dei suoi. Che non è positivo. Quasi nessuno ha applaudito Meloni. L’indignazione per le sue ricette è esplosa nel pomeriggio congressuale che scorre con gli interventi dei delegati.

Gianna Fracassi, vicesegretaria della Cgil, era a Palazzo Chigi martedì quando il governo con il viceministro Leo presentava la delega fiscale proiettando le slide: «La premier ha confermato il mio giudizio negativo: una riforma che premia i redditi alti e l’evasione con il concordato preventivo di cui non ha parlato. Non è un caso ». Meloni però ha detto che il lavoratore potrà dedurre l’abbonamento ai mezzi di trasporto e l’asilo nido, avrà più fringe benefit, una no tax area alzata al livello dei pensionati e sarà più ampia la fascia di contribuenti che ricadranno nel primo scaglione Irpef. «Vedremo cosa significa nel concreto quest’ultima ipotesi. Le altre sono misure di contorno o di minimo impatto, come la no tax area. Il cuore della riforma è l’Irpef. E su quello siamo molto distanti».

Non è il solo punto messo in discussione dai dirigenti Cgil. «La riforma fiscale punta a una frattura tra la grande azienda con premi di risultato e tagli all’orario e chi ha solo il contratto nazionale: questo rompe la solidarietà tra lavoratori, aumenta la solitudine e povertà della classe media», dice Michele De Palma, segretario generale della Fiom (metalmeccanici).

Non convince neanche la posizione sul Reddito di cittadinanza: «I poveri non ci hanno fatto niente, ma non vogliamo che restino poveri, devono lavorare se possono ». E sul salario minimo: «Fissarlo per legge non è efficace, rischia di non essere una tutela aggiuntiva ma sostitutiva, meglio estendere la contrattazione ai settori non coperti».

La Cgil teme l’inasprirsi di una nuova questione sociale, col taglio secco e dai criteri improbabili del Reddito, la reintroduzione dei voucher, la liberalizzazione dei contratti a termine. Chiede invece anche una soglia minima legale di salario, «al di sotto della quale è sfruttamento», diceva giovedì sul palco la leader pd Elly Schlein (applauditissima).

Di precarietà Meloni non ha parlato: è stato notato. Ma ha evocato «l’ammortizzatore universale per tutti i lavoratori», «le banche dati in rete per la lotta all’evasione», «il patto per la terza età». Tutte cose che «esistono già e che lei ora si intesta», dice più di un delegato. «Il patto per la terza età l’abbiamo fatto con Orlando e Speranza, la premier dovrebbe metterci i soldi», dice Ivan Pedretti, segretario generale dei pensionati. L’ascolto c’è, il dialogo ancora no.

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