Banche, chi salva il capitalismo dai capitalisti?

Francesco Manacorda La Repubblica 20 marzo 2023
L’azzardo morale dei banchieri
La crisi di Credit Suisse

Uno spettro si aggira. E non solo per l’Europa. Quello della crisi del 2008. In meno di dieci giorni, duecentoquaranta ore appena, cadono e vengono soccorse in parti lontanissime del mondo due banche che più diverse non potrebbero essere: il 10 marzo, sulla West Coast statunitense, collassa la piccola Silicon Valley Bank, che si era sempre tenuta sotto i 250 miliardi di dollari di attività, cosa che le consentiva di non sottoporsi alle procedure di vigilanza ordinaria sul credito.

Nelle temperature ancora rigide di una Zurigo che esce dall’inverno il colosso elvetico e globale, si scioglie il Credit Suisse, che al contrario appartiene (apparteneva) alla ristretta cerchia degli istituti di interesse sistemico, quelli “troppo grandi per fallire”, e finisce a prezzi di saldo e con un bell’aiuto della Confederazione nell’abbraccio interessato dell’arcirivale Ubs.

All’inferno dei mercati la piccola americana, colpevole di aver puntato tutto sulle start up, e la grande svizzera, responsabile invece di essersi infilata nel corso degli anni negli affari più oscuri di mezzo mondo. Ma entrambe vengono medicate, soccorse, raccolte, con una regia dei singoli Stati nazionali dietro cui si legge l’apprensione di tutti i governi e regolatori del mondo, che hanno per l’appunto ancora negli occhi quel domino disastroso innescato dalla caduta di Lehman Brothers.

Un’operazione di pronto soccorso che coinvolge poteri pubblici e operatori privati e che non si può rifiutare né ritardare, ma che ha un effetto potenzialmente assai pericoloso: quello di deresponsabilizzare ancora di più gli istituti di credito rispetto ai loro comportamenti, di legittimare quello che la finanza chiama ilmoral hazard e che tradotto in linguaggio più prosaico è la possibilità per le banche di fare quasi tutto quello che vogliono, serenamente fiduciose che alla fine ci sarà sempre qualcun altro a pagare.

Negli Stati Uniti il governo – nella persona del Segretario al Tesoro ed ex presidente della Fed Janet Yellen – ha garantito i non pochi depositi della Svb sopra i 250 mila euro, che per legge sarebbero il limite massimo rimborsabile ai correntisti, e a domanda ha risposto che la misura non varrà per qualsiasi banca, ma solo per quelle appunto di “interesse sistemico”, quale l’istituto in questione – giova ricordarlo – non era. La frenetica trattativa del fine settimana in Svizzera, con le lancette che correvano verso l’apertura dei mercati di stamattina, hanno permesso di mettere a punto un’offerta di Ubs sulla rivale caduta che, pur essendo tre volte superiore alla prima proposta dell’acquirente, rimane ben sotto il già devastato prezzo di Borsa di Credit Suisse venerdì scorso.

E dietro questa operazione praticamente chiusa, in apparenza tra privati, la mano pubblica si è mossa con forza: la Banca centrale svizzera, quella stessa che aveva messo a disposizione di Credit Suisse 54 miliardi di franchi di liquidità senza riuscire a dare fiducia ai mercati, adesso raddoppia la posta e offre addirittura 100 miliardi di liquidità – prezzo tondo, si direbbe – a Ubs per facilitare l’operazione. Il governo federale fa il suo: se l’acquirente dovesse trovare buchi peggiori del previsto c’è un grazioso cadeau di 9 miliardi di franchi, sempre pubblici, a disposizione per tappare eventuali falle.

Tira un amareggiato sospiro di sollievo il presidente del Credit Suisse Charles Lehmann (no, non vi preoccupate, non è uno dei famosi Brothers del 2008, ma solo un suggestivo scherzo dell’onomastica), esulta – comprensibilmente – per «la risposta rapida», la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, che considera la decisione come una «garanzia per la stabilità dei mercati finanziari». Stamattina sentiremo la loro opinione, quella dei mercati, che si esprimeranno comprando o vendendo.

Nei palazzi del potere politico ed economico si spera che il “contagio” – un termine sinistro dopo gli anni del Covid, ma purtroppo adatto alla situazione – sia limitato, o addirittura fermato. Del resto il crollo disordinato del sistema finanziario nel 2008, e le sue conseguenze sull’economia reale specie in Europa, pesano come macigni nella coscienza collettiva della classe dirigente mondiale. Fatte le debite proporzioni, il tabù dell’inflazione insito nel dna tedesco e frutto appunto dell’iperinflazione di Weimar con le sue tragiche conseguenze, viene riprodotto adesso su scala globale.

Può darsi che le misure prese siano sufficienti e la crisi delle banche non si propaghi. Governi e banche centrali grideranno alla vittoria e per tutti noi sarà meglio così. Certo, è giusto non generalizzare: le banche europee, sottoposte alla vigilanza della Bce, si lamentano spesso di quanto essa sia stringente. C’è da sperare che a tanta attenzione dei vigilanti corrisponda un ottimo stato di salute dei vigilati, anche se in questi ultimi giorni il mercato non pare aver fatto troppe distinzioni. Ma il problema resta sempre lo stesso: chi salva il capitalismo dai capitalisti? O, per essere più precisi: chi salva una certa finanza dalla pervicace tentazione di cercare scorciatoie in nome del profitto, di accumulare rischi esagerati puntando a vincere sempre e comunque, sapendo che il banco dell’intervento pubblico è invece sempre disposto a perdere per evitare danni peggiori?

 

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