Le banche centrali fanno quadrato. E per il maxi salvataggio scende in campo la rivale Ubs

Federico Fubini Corriere della Sera 16 marzo 2023
Le banche centrali fanno quadrato. E per il maxi salvataggio scende in campo la rivale Ubs
Le banche centrali fanno quadrato. E per il maxi salvataggio scende in campo la rivale Ubs

 

I danni del fallimento di Lehman Brothers restano marchiati a fuoco nella memoria collettiva dei decisori finanziari, le donne e gli uomini chiusi in queste ore nei palazzi delle banche centrali e dei governi del G7. L’aver lasciato cadere una banca con debiti per circa 600 miliardi di dollari, legata all’economia globale da mille fili allora non visti, provocò un colossale effetto domino. Congelò gli scambi, poiché tutti iniziarono a temere un’esposizione verso chiunque altro. Si sprigionò la più grave recessione del dopoguerra in Occidente, fino a quella da Covid.

Oggi i decisori finanziari – siano essi in Svizzera, ma soprattutto a Washington o a Francoforte – non dimenticano. Alcuni hanno vissuto quei mesi del 2008 in prima linea e non vogliono più assumersi responsabilità del genere. Non vogliono essere ricordati come coloro che lasciarono al suo destino Credit Suisse, una banca troppo grande perché possa fallire senza generare nuove ondate sismiche a propagazione.

È dunque anche la memoria di Lehman che alimenta in queste ore i contatti fra i banchieri centrali, i vertici del Tesoro dei principali Paesi occidentali e molti banchieri privati. Il primo obiettivo, il più immediato, è verificare quali altre banche siano esposte su Credit Suisse soprattutto in derivati.

La priorità è capire quali istituti europei e americani subirebbero perdite nel caso di un fallimento a Zurigo: magari perché certe banche hanno venduto assicurazione ad altri contro il default di Credit Suisse o semplicemente perché hanno crediti verso di esso. Quanto a questo, i sondaggi delle ultime ore stanno mettendo in luce che gli istituti italiani sono piuttosto al riparo. Meno chiaro al momento, invece, il quadro per altre grandi banche europee.

Ma c’è anche un obiettivo ancora più impellente, nei contatti fra capitali delle ultime ore: salvare Credit Suisse, o almeno salvare le sue attività sotto una nuova bandiera; evitare che la banca porti i libri in tribunale, cercando protezione dai suoi creditori. Con passività in bilancio per 486 miliardi di franchi svizzeri (492 miliardi di euro) a fine 2022, questo è lo scenario che tutti vogliono assolutamente scongiurare.
Salvataggio pubblico
Lo strumento non può essere un salvataggio pubblico: la banca è troppo grande per il suo Paese, con un bilancio che vale più della metà del prodotto lordo svizzero. Piuttosto si punta a una vendita e non esiste un problema di prezzo: un’azienda con attivi per l’equivalente di 538 miliardi di euro alla fine dell’anno scorso, ma che ha perso 1,3 miliardi solo nell’ultimo trimestre e vale oggi in borsa l’equivalente di sette miliardi di euro, si compra con poco (in apparenza). Il problema è che la banca dev’essere fatta a pezzi per poter essere venduta, perché nessun concorrente è disposto a inglobarla intera. Dunque vanno trovati più compratori in più parti del mondo e in fretta, perché Credit Suisse sta soffocando. La crisi di fiducia sta spingendo i depositanti a chiudere i conti per portarli altrove e le controparti a negargli i finanziamenti. Benché in teoria solvibile, con livelli patrimoniali accettabili, la banca potrebbe saltare nelle prossime ore se dovesse restare senza cassa per far fronte alle continue richieste. Ieri sera la banca centrale di Berna ha offerto al Credit Suisse un supporto di liquidità straordinario, ma il rischio dell’asfissia finanziaria rimane.

L’operazione è in salita
Dunque il tempo stringe e l’operazione è in salita. Ubs, che sta accogliendo molti ex correntisti di Credit Suisse, sembra interessata solo alle attività svizzere della rivale. Restano quelle di New York, di Londra, di Francoforte e altre. Ma non sarà facile convincere i potenziali compratori a farsene carico, lasciando loro solo poche ore per guardare dentro alle entità che dovrebbero assorbire. Perché alcune di esse contengono senz’altro materiali finanziariamente tossici. Può fare gola la gestione dei risparmi dei clienti, equivalenti a 1.310 miliardi di euro alla fine dell’anno scorso, ma incredibilmente quell’area è riuscita a generare perdite per duecento milioni solo negli ultimi tre mesi. Fa invece decisamente paura a chiunque toccare l’attività di banca d’affari di Credit Suisse, concentrata a Londra e New York: alla fine dell’anno scorso, ha prodotto da sola più perdite di tutti utili generati da tutte le altre divisioni della banca insieme. È ancora fresca la memoria delle sbandate prese dall’investment banking degli svizzeri su scandali come quelli del fondo Archegos o con il finanziere australiano Lex Greensill nel 2021. I rivali vogliono dunque essere certi che non si chiede loro di inglobare attività potenzialmente corrosive, anche per un solo dollaro.

Lo sguardo alla Silicon Valley Bank
Così la sabbia scorre nella clessidra, troppo veloce. Ad accelerarla è stato il fallimento di Silicon Valley Bank (Svb) in California venerdì, che ha acuito la sfiducia verso tutte le banche già fragili. Quello choc a sua volta nasce da una gestione sbagliata, da parte dei manager di Svb, della fase di rialzo dei tassi delle grandi banche centrali. Per questo sarà altissima la pressione sulla Banca centrale europea oggi stesso e sulla Federal Reserve la prossima settimana. Ma per entrambe fermare la stretta e tornare a tagliare i tassi, come il mercato si aspetta per lo meno dalla Fed, non sarà facile: non se l’inflazione non dà segni più certi di poter calare.

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