Aldo Cazzullo Corriere della Sera 17 marzo 2023
Checco Zalone: «Ho cucinato per Meloni, ma ho votato Pd. Mia moglie Mariangela? L’ho conquistata con una scusa penosa»
«Oggi il problema non è che non si può dire nulla, è che si può dire tutto, anche troppo: ognuno è libero di ferire e offendere». Il pubblico migliore? «Al Nord: è pieno di terroni civilizzati»
Luca Medici, anzi Checco Zalone, la vedo in forma.
«Esco ora dalla palestra. Mi alleno tutti i giorni».
Pesi? Bilancieri?
«Fa tutto il personal trainer; io non faccio un cazzo».
Non si può dire questa parola sul Corriere.
«Capisco. E, conoscendo il suo cognome, capisco il suo dramma. Scriva: io non faccio nulla».
Fa teatro: 55 spettacoli in giro per l’Italia, tutti esauriti. Che Italia ha visto?
«Un Paese senza pazienza. Non vuole più racconti ma sintesi. I ragazzi non guardano più la partita; preferiscono gli highlights».
Nella sua ultima intervista, tre anni e mezzo fa al Corriere, lei si ribellò al politicamente corretto: «Qui non si può dire più nulla…».
«Oggi il problema è quello opposto: qui si può dire tutto; anche troppo. Si dà voce a chi non lo merita. Ognuno è libero di sparare le sue nullate, di ferire, di offendere, senza conseguenze. Il male del secolo è il narcisismo. E il nostro specchio di Narciso è il telefonino. Sto cominciando a pensare a un film, e il tema sarà questo: il narcisismo di massa».
Lei però continua a essere considerato politicamente scorrettissimo.
«Le polemiche social sono costruite ad arte dai media, in particolare da certi narcisi che conosco, alla ricerca di click. Alla gente non importa nulla; e io non rispondo mai, per non alimentarle. Mi hanno crocefisso per la storia della Cenerentola transessuale, e sa qual è lo sketch dello spettacolo che fa più ridere il pubblico?».
La Cenerentola transessuale. Com’è?
«Lei vorrebbe essere invitata al ballo del principe, nonostante di scarpe porti il 48. Così arriva Fiorenza, ‘a fata de Cosenza — quando dico Fiorenza ‘a fata de Cosenza con l’accento calabrese è il momento in cui ridono di più —, che viene dai cieli, porta carrozze e toglie peli. La trans può così partecipare al ballo e ovviamente il principe si innamora proprio di lei… è una storia che trovo dolcissima, quasi delicata. Dov’è l’offesa? Le ultime file in particolare muoiono dalle risate. Avessi tanti soldi, cambierei le prime file con le ultime: venite qui davanti…».
Chi c’è in prima fila?
«La borghesia impellicciata. In fondo c’è il popolo. A Roma poi ho lo stress pazzesco dei biglietti omaggio. Li chiedono un po’ tutti, e devi capire a chi non puoi dire di no».
Il suo ultimo film, Tolo Tolo, uscì il primo gennaio 2020, alla vigilia della pandemia.
«Ancora me lo rinfacciano come se fosse una colpa: “Che culo hai avuto!”. In effetti il povero Verdone sarebbe dovuto uscire subito dopo… Chiedo scusa a Verdone. Mi sono inimicato lo star system».
Quel film cambiò la sensibilità degli italiani verso i migranti.
«Dice? Io penso di no. La produzione durò un anno e fu devastante, dal punto di vista fisico e mentale. Lo passai tra loro, perché non volevo caricature, volevo facce vere. Poi scrissi la canzone finale sulla cicogna strabica, che decide il destino dei bambini, chi nasce in Occidente chi in Africa…».
Reazioni?
«Il pubblico si è diviso. Tra i delusi, che non trovavano il film abbastanza comico, e gli entusiasti per un impegno civile che nelle mie intenzioni non c’era. Questa distinzione tra nero e bianco mi pare superata: non è che far affogare i migranti sia di destra e salvarli sia di sinistra».
Ultimamente i migranti tendono più ad affogare.
«Cantando cantando, vedrà che li salveranno».
Come ha trovato il video del karaoke Meloni-Salvini?
«È stato strumentalizzato».
Stava dicendo delle sue intenzioni: quali erano?
«Il mio era uno sguardo candido, di uno che non prende partito. Tolo Tolo l’avevo lanciato con una canzone ispirata a Celentano…».
«Immigrato», accusata di razzismo.
«…Che aveva fatto ben sperare al destrismo italiano. I cattivi ci sono rimasti malissimo. Ma a me ha dato più fastidio la reazione degli altri, i buoni, quelli che dicevano: è decisamente uno dei nostri».
Lei di chi è?
«Dei perdenti. Sono del 1977, votai per la prima volta nel 1996: Berlusconi secco. Perse. Poi non mi ricordo: ho rimosso. Di sicuro ho votato Renzi, e ha perso pure lui. L’ultima volta ho votato Pd, e ha straperso».
Checco Zalone sincero democratico è scoop. E la Meloni?
«Un’estate ero in vacanza in Puglia con gli amici delle mie figlie, tutti fascistoni, quindi fan di Giorgia. Pure lei era in vacanza lì vicino. E mi mandò un WhatsApp chiedendo di incontrarmi».
E lei, Checco?
«Io non incontro mai politici, però non volevo deludere i miei amici. Pensai a un caffè in gran segreto, ma loro si ribellarono: “La devi invitare a pranzo a Giorgia!”. Così le ho mandato questo WhatsApp, legga: “Abbiamo affittato un villino anni 80 (condonato). Ci sono panzerotti, riso patate e cozze, parmigiana, latticini… Hai allergie e intolleranze, oltre a quelle che già conosciamo?”».
La Meloni risponde seria che è allergica alle nocciole. Poi però la chat continua…
«Qui comincia la parte erotica, ma non posso fargliela leggere».
Anche una storia tra Giorgia Meloni e Checco Zalone è scoop.
«Scherzo, dai. Non ci siamo più visti né sentiti. Mi ha mandato un messaggino per chiedermi come andava lo spettacolo, e io le ho risposto. Tutto qui. Dalla politica mi tengo lontano».
Elly Schlein come la trova?
«Stupenda! Bellissima!».
Almeno la sua famiglia sarà di destra.
«Nonno Pasquale sì: fascistone. Lo chiamavano don Pasquale, perché era capostazione, e mi diceva sul serio la frase fatidica: “Quando c’era Lui, i treni arrivavano in orario…”. “Sì, ma per merito tuo che eri il capostazione, non Suo” gli rispondevo. Il nonno era un uomo molto bello, dagli occhi verdi, somigliava a Terence Hill. Nello spettacolo c’è una gag, Putin che si fa tirare il dito ed emette gas, che il nonno faceva ai pranzi di famiglia».
Lei irride Putin. Però sulle armi all’Ucraina cosa pensa?
«Abbiamo fatto una scelta, l’Occidente. E dobbiamo adeguarci. Pure la Meloni si è adeguata».
Stava parlando del nonno.
«Ma il vero capofamiglia è sua figlia, la sorella di mio padre».
Come si chiama?
«Rachele. Come la moglie del Duce. Pudicamente detta zia Lina. Fascistona pure lei. Autorevole. Single, insomma zitellona: anche perché non era una gran figa, ma non lo scriva, anzi lo scriva pure tanto la zia non sa cosa vuol dire. Era una poliziotta della Buoncostume: come nei film di Edwige Fenech e Barbara Bouchet…».
Scusi ma la citazione ormai è un classico: «Chi su Barbara Bouchetta/ non si è fatto almeno una pugnetta?».
«L’ho rispolverata a teatro. Sul modello della lettera della Ferragni a Chiara bambina, ho scritto una lettera a Checco bambino, che si ammazzava di pugnette su Postalmarket… A Napoli ho inserito anche Marisa Laurito; così, come omaggio alla città. La gente all’inizio rideva sino alle lacrime, ma già dopo due settimane applaudiva per cortesia. Non capiva: si era dimenticata l’originale».
Quest’anno lei a Sanremo non è andato. Perché?
«Perché non mi hanno invitato. Aspettavo con ansia l’invito per dire di no. Amadeus mi ha negato la soddisfazione».
Che effetto le ha fatto il bacio tra Fedez e Rosa Chemical?
«Nessuno. Sono cose già viste, e poi non hanno neanche messo la lingua… Fedez è una vittima del sistema dei social. Lo comprendo e gli voglio bene».
Il patron del festival è Lucio Presta, che è pure produttore del suo spettacolo. Potente e temuto.
«Ho visto come si muoveva a Sanremo, anche alzando la voce se necessario, e mi sono detto: è il mio uomo. Ha una fisicità che intimorisce, averlo nemico non è gradevolissimo. Su 55 serate non ne ha mancata una, senza mai mettere becco sui contenuti, tranne una volta».
Quale?
«Raccontavo la gita a Eurodisney con le mie figlie in parallelo con il viaggio dei bambini ebrei ad Auschwitz. A me pareva una cosa bella, ma Presta mi ha detto: questa cosa dei bambini ebrei è meglio se la lasci perdere. Ho capito che aveva ragione lui».
Torniamo a zia Rachele, detta Lina.
«Mi ha insegnato tutto. Andavo a studiare giurisprudenza a casa sua, mi sono laureato grazie a lei. E a mio padre Alessandro ovviamente».
Cosa faceva suo padre?
«Rappresentante di medicinali. L’ho fatto anch’io per un periodo: il più brutto della mia vita. Piazzavo cerotti per non russare. Ovviamente non funzionavano, ma i farmacisti ne avevano presi moltissimi e mi inseguivano per cospargermi di pece e rotolarmi nelle piume».
E sua madre?
«Mia madre, Antonietta Capobianco, era comunista. Si candidò nel nostro paese, Capurso, e prese 17 voti. A Capurso però i Capobianco erano 18. Partì subito l’inchiesta. Ma non abbiamo mai trovato chi non l’aveva votata, a mamma».
Qual è il suo primo ricordo?
«Una discesa con il triciclo. Andai a sbattere contro il muro, di faccia. Prima ero bellissimo. La mia prima parola è stata Uotila: avevo un anno e avevano eletto il Papa».
Quando ha cominciato con lo spettacolo?
«A dodici anni. Suonavo le tastiere ai veglioni di San Silvestro con mio padre, in un gruppo chiamato Gli Amici del Sud. Sono sempre stato convinto di essere più bravo come musicista che come attore. Il massimo fu quando Pippo Baudo a Domenica In, anziché le solite nullate, mi fece suonare il jazz: Spain, di Chick Corea».
Cosa suonavano Gli Amici del Sud?
«Ci siamo evitati tutto il pop degli Anni 80, dai Duran Duran agli Europe. Noi facevamo i Dik Dik, I Camaleonti e l’Equipe 84: “L’ora dell’amore”, “Ho in mente te”. E i Beatles. Poi ho scritto la mia prima canzone romantica».
Quale?
«Bucchinhu Rigatu. Ispirato a una nostra amica dai denti sporgenti: “Ahiii, che dolore…”. Per fortuna all’epoca il body-shaming nessuno sapeva cosa fosse. La suonai in un locale che si chiamava Ipanema. Lei, la mia musa, non capì e la trovò molto spiritosa: “Ma come ti è venuta in mente?”. Non ebbi il coraggio di rivelarle la verità».
Cantando ha conosciuto sua moglie.
«Mariangela conduceva il karaoke in un pub. Era la Fiorello di Casamassima. Mi colpì subito per il suo seno prosperos… per il suo sorriso. Così le dissi, guardandola nel sorriso, che avevo bisogno di una cantante per suonare ai matrimoni».
Chi si sposava?
«Nessuno. Era una scusa penosa. Per giorni cercai disperatamente un matrimonio dove suonare. Mariangela me l’ha fatta sudare. Parla benissimo inglese, ha lavorato in America, nelle chiese evangeliche, perché è evangelica. Ora abbiamo due bimbe meravigliose, Gaia e Greta».
Com’è fare il papà?
«Gaia purtroppo ha realizzato che il papà è ricco e vuole un cavallo. Adora i cavalli, vive nei maneggi. Io prima i cavalli li avevo solo mangiati: da noi si fanno le braciole. Così due anni fa le ho regalato un cavallo, con un fiocco, e per scherzo gli stecchini per fare le braciole: “Cosi quando ti stanchi, a papà, non lo buttiamo”. I miei amici hanno riso tutti. La bambina, no. Ora vuole un purosangue; e non si ha idea di quanto costino i purosangue».
E suo fratello, quello che pare il suo sosia?
«Fabio per fortuna ha rifiutato L’isola dei famosi. Fa l’assistente di volo. Aveva perso il posto alla Norwegian con la pandemia, ma proprio l’altro giorno l’hanno assunto alla Air Dolomiti. C’è anche Francesco, il fratello più piccolo, che in realtà è enorme. Faceva l’attrezzista di scena. Poi è dimagrito con la dieta dei Vip e ora mi fa da assistente, anche se lo scambiano per il buttafuori. È buonissimo, però ha la faccia cattiva. Ogni tanto mi manda a quel paese e i fan si stupiscono: “Ma che buttafuori ti sei preso?”».
A Sanremo l’anno scorso lei prese in giro Al Bano. Si è offeso?
«Ma no, era contento. Sono stato a casa sua, a Cellino San Marco: la villa delle meraviglie. È più grande dell’intero paese. Qui un capitello corinzio, là un’insegna western… È venuto a sentirmi a Roma, insieme con De Gregori».
De Gregori?
«Francesco è l’unico amico vero che ho nel mondo dello spettacolo. Mi ha adottato».
Eppure dicono sia distanziante. Lo chiamano il Principe.
«Proprio per questo mi piace. Vado a mangiare a casa del Principe quando voglio, e questa è una delle più belle soddisfazioni della mia vita. L’altra sera io ho cantato Viva l’Italia, e lui La Prima Repubblica, tra il tripudio del pubblico. Poi però è salito sul palco Al Bano. E ha rovinato tutto».
Cioè?
«Al Bano ha una voce pazzesca. Ha cantato Nel sole, e ha preso un dooooo di petto che ha cancellato il resto. Ci ha massacrati».
Dove ha avuto più successo il suo spettacolo?
«In Svizzera. A Lugano e a Zurigo mi sentivo Michael Jackson. A Ginevra li ho fatti morire dal ridere sull’assenza del bidet, ho lanciato un appello al sindaco perché riconverta la grande fontana, il Jet d’Eau, in bidet per italiani all’estero».
E da noi?
«A Torino. Subito dopo, Milano».
Come se lo spiega?
«Il pubblico migliore è quello del Nord, perché è un coacervo, c’è di tutto. È pieno di terroni civilizzati. A Bologna ci sono più salentini che a Lecce; e i salentini per noi di Bari sono i veri terroni. Le città più difficili sono quelle che hanno un’identità culturale più forte: Firenze, Roma. La più dura in assoluto è Napoli».
Perché?
«Quella sera giocava il Napoli in Champions, ho dovuto chiedere scusa al pubblico perché lo spettacolo disturbava i telefonini su cui tutti seguivano la partita. E poi hanno avuto Totò e Troisi; mica stanno ad aspettare te. Totò è il più grande in assoluto, però Troisi lo sento più vicino. Anche se piaceva molto alle donne; e un comico per far ridere non deve scopare, o comunque non deve dare l’impressione di farlo».
Chi sono i suoi altri modelli?
«Sordi. Non solo ha recitato la parte della canaglia; ha fatto grandi film, come Una vita difficile e Il vedovo. E io quelli non li ho ancora fatti. Paolo Villaggio è stato grandissimo. Tra gli attori, Marcello Mastroianni. Ho visto su RaiTre una sua intervista…».
Cosa diceva?
«Era già vecchio e stanco. Stava girando un film di cui non gli importava nulla. Era sulla roulotte. E diceva: “In fondo facciamo un mestiere bellissimo. Questo film non lo vedrà nessuno, ma pazienza. Tanto saremo tutti ricordati per due o tre cose”. Aveva ragione. A me mi ricordano per Angela. Non me la tolgo di dosso. E io ogni sera canto Angela».
La sua Puglia è di gran moda. Lei, Caparezza, i Negramaro. E poi gli scrittori: Carofiglio, Carrisi, Lagioia…
«Nicola Lagioia è il figlio del signorotto del paese, Franco Lagioia, ricco imprenditore. Mio nonno materno lavorava per lui. Mio papà ha comprato casa da lui. Io ho letto “La città dei vivi”, e mi è piaciuto».
Checco Zalone legge?
«Di notte, perché non riesco a dormire. Oppure ascolto gli audiolibri».
Perché non riesce a dormire?
«Per l’ansia. Di deludere, di fallire. Così mi aiuto con le pillole. Ansioso come me c’è solo Fiorello, Amadeus invece è così calmo… Durante la lavorazione di “Tolo Tolo” ho provato pure lo Xanax. Una volta all’Arena di Verona, mentre aspettavo di salire in scena per promuovere “Sole a catinelle”, stavo piangendo per la tensione. Arriva Gianni Morandi, che conduceva la serata, mi accarezza, mi tranquillizza: “Che vuoi che sia?”. Un grandissimo. Del resto se arrivi a 75 anni, dopo 70 anni di carriera, vuol dire che hai qualcosa dentro. E la gente lo sente».
Ora cosa sta leggendo?
«Tasmania di Paolo Giordano. Ho trovato geniale l’intuizione di partenza. Lui parla dell’inquinamento, a me è tornata in mente la pandemia, che per molti è stato un periodo bellissimo. Sopravvivere a una tragedia è una soddisfazione».
Lei ci ha rallegrato i lockdown con due video: «L’immunità di gregge…».
«Ispirato a Modugno».
…E «La Vacinada». Come ha fatto a convincere la grande Helen Mirren a interpretare la parte della tardona?
«È stata lei a cercare me. Ci ha invitati nella sua masseria in Puglia, Mariangela si è messa in tiro, e Helen ci ha ricevuti in tuta e ciabatte. Non aveva preparato niente: ci ha fatto trovare gli ingredienti, e noi ospiti abbiamo cucinato insieme, chi la pizza, chi gli spaghetti; così siamo diventati amici».
Erano i tempi in cui il vaccino potevano farlo solo gli anziani…
«E potevi fare l’amore solo con loro. Helen si è divertita moltissimo. C’era anche suo marito, Taylor Hackford, il regista. Lui ha girato Ufficiale e gentiluomo; io La Vacinada».
Su YouTube c’è un video da milioni di visualizzazioni in cui Checco dice a Laura Pausini che l’ha «sempre trovata un po’ sporcacciona…». Ma queste cose le provate prima? L’ha avvisata la Pausini?
«Certo che no! I comici non devono fare prove: rovinerebbero l’effetto. Ma i veri grandi non si offendono mai. Nello spettacolo prendo in giro Riccardo Muti: è venuto a trovarmi in camerino, rideva felice».
Prende in giro anche Vasco, che sul deep web trova le analisi del sangue di Ligabue e le confronta con le sue: trigliceridi, transaminasi…
«Conoscere Vasco è il mio sogno. Sono andato a un suo concerto, e quella volta il biglietto omaggio l’ho chiesto io. Siccome sono un Vip, mi hanno messo proprio sotto il palco, lui mi ha visto, mi ha fatto “eeehhh”, e mi ha chiamato su. Però questo non vuol dire conoscersi. Vasco è il mio idolo».
Prima che la storpiassero Salvini e Meloni, lei aveva già parafrasato la Canzone di Marinella di De André ai tempi delle olgettine: «Questa è della D’Addario la storia vera…».
«A Mediaset scoppiò il dibattito: trasmetterla o no? Berlusconi era presidente del Consiglio. Io dissi: metà del pubblico di Zelig l’avrà filmata col telefonino; se non la mandate in onda, uscirà lo stesso, e voi farete una figura del nulla. La mandarono in onda».