La paura di Trump inquieta la fragile America

Lucia Annunziata La Stampa 19 marzo 2023
Trump tra paura del carcere e voglia di tornare al voto
Il messaggio sul suo Truth Social ha gli stessi toni incendiari del 6 gennaio del 2021


«Protest, take our nation back!». Alle 7,26 del mattino di ieri l’ex Presidente scrive sul suo Truth Social, un messaggio, in cui denuncia che martedì sarà arrestato: «Il primo e in assoluto vantaggio candidato repubblicano, ex presidente degli Stati Uniti, sarà arrestato martedì di questa settima». Il ritorno di Donald Trump sulla scena politica americana, è tutto in maiuscole; e, come si vede ha gli stessi toni incendiari di qualche anno fa, esattamente il 6 gennaio del 2021.

La protesta cui invita i suoi sostenitori a «riconquistare la nazione», è tuttavia ben lontana nel clima e nel merito dal clima infuocato di allora e il ritorno del sovversivo somiglia molto di più alla solita serie sul potere americano, denso di agenti dei servizi, giudici “neri” e radicali, una bella signora di facili costumi e più di un qualche avvocato corrotto.

Tutti intenti a difendere e/o incastrare un anziano candidato Presidente che le ha sbagliate tutte, ma ancora non ha gettato la spugna. Tuttavia, dietro questo apparente feuilleton, sta maturando in Usa una battaglia politica, forse stavolta non “golpista” come incita Trump, ma su un tema molto divisivo, come la Giustizia. Annuncio dell’inizio di una avvelenata campagna per le Presidenziali dell’anno prossimo. Molte le inchieste che inseguono l’ex Presidente.

Ce ne sono di serie e meno serie. E probabilmente la meno seria di tutte è quella che dovrebbe portarlo all’arresto. La più seria inchiesta rimane quella sull’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio del 2021. Una commissione di indagine del Congresso ha definito le azioni di quel giorno inserite in un piano per capovolgere il risultato elettorale. Un procuratore speciale sta ancora indagando sui tentativi dell’ex Presidente di arrivare a quel risultato. Col voto ha a che fare anche una inchiesta aperta in Giorgia da un Gran Giurì sulle interferenze di Trump nel voto. Indagine terminata, ma le conclusioni sono ancora segretate.

C’è poi l’irruzione fatta dall’Fbi nella tenuta di Mar-a-Lago in Florida per cercare carte riservate (trovate), documenti classificati portati via dalla Casa Bianca. E a New York non manca una indagine su una macro-frode alle banche e assicurazioni, cui la famiglia Trump avrebbe mentito gonfiando il valore delle proprietà.

Il caso dell’arresto annunciato è parte tuttavia di un momento e di una fase della vita forse un po’ più divertente e certamente precedente alla corsa per la Casa Bianca del milionario. E’ una indagine aperta da tempo dall’ufficio del procuratore di New York sui fondi ( presunti) illegali dati a una pornostar, in arte Stormy Daniels, nella vita Stephanie Clifford. 130mila dollari per tacere su una relazione, dati alla signora da uno degli avvocati di Trump, poi ripagato dal politico nel frattempo diventato Presidente.

L’ormai ex Presidente nega ma è l’avvocato (anche lui ex) ad averlo denunciato. Ma c’è un dettaglio più interessante di tutti: il pagamento è sotto inchiesta non perché sia illegale pagare una signora, qualunque sia la cosa passata fra un uomo e una donna, bensì perché quei fondi furono presi dai contributi alla campagna elettorale di Trump. Insomma un singolare caso di cattivo uso di “fondi pubblici”, in violazione delle norme che regolano queste donazioni. Fin qui la storia segue abbastanza uno degli episodi di “House of Card”, la ormai famosissima serie sugli intrighi che avvolgono la Casa Bianca.

Ma al di là della natura di queste accuse – e val la pena ripetere che non sono ancora tutte provate- le inchieste per numero e continuità rivelano una battaglia che è invece rilevante negli schieramenti politici americani. Ed è quella che viene definita “weaponization” della giustizia americana, l’uso diremmo dalle nostre parti dello Stato, e dei suoi strumenti (servizi, tribunali, polizia , Fbi) come arma politica. Storia che l’Italia ha ben conosciuto, e che in Usa è di più recente conio. Ma, per il modo super partes come sono percepite le istituzioni americane, il tema è molto destabilizzante.

Trump è ovviamente convinto di essere una vittima; i democratici sono convinti che questo Presidente abbia con il suo radicalismo portato il paese a un punto di non ritorno nello smantellamento delle istituzioni, accusandolo nei fatti di golpe. I dem a loro volta vengono – giustamente in questo caso – accusati dai difensori di Trump di essere sempre stati trattati con i guanti bianchi: è il caso di Hunter Biden, figlio dell’attuale presidente, i cui sospetti casi di corruzione sono sicuramente stati trattati con cautela, e spesso del tutto ignorati o sottovalutati da quella che in Italia si chiamerebbe “ stampa democratica” , NyTimes e WP in testa.

Per quanto ridicolo sia dunque il caso di Stormy Daniels , e ancora più ridicolo un annuncio di arresto, la vicenda ha fatto ripartire tutti i veleni ed è diventata un metro di misura delle tecniche politiche dell’ex Presidente per rafforzare la sua candidatura nel 2024, soprattutto in campo repubblicano.

Come si ricorderà, il Tycoon newyorkese ha trovato proprio nel suo partito la prima barriera alle sue scelte politiche: il suo radicalismo, l’autoritarismo, le esagerazioni, e le sue denunce, sono state alla fine emarginate dal gruppo più rilevante del Partito Conservatore che nelle elezioni di Midterm si è sentito “sconfitto” proprio dalle scelte di Trump. Da quelle elezioni è sembrata in formazione una nuova classe politica conservatrice definita trumpista senza Trump, nel senso di radicalismo ed eccessi, di cui il governatore della Florida De Santis è l’astro nascente anche per il 2024.

Ma se le frodi personali e il sistema radicale del milionario non entusiasmano più il suo stesso partito, la questione della Giustizia trova un’alta sensibilità fra i conservatori, al di là delle vicende in corso. E’ successo così ieri che anche la parte più moderata dei repubblicani in Congresso, fra cui l’uomo chiave alla Camera l’House Speaker Kevin McCarthy. Ha dichiarato che un eventuale arresto di Trump sarebbe «un oltraggioso abuso di potere portato avanti da un giudice radicale che lascia i criminali liberi e persegue da tempo una vendetta politica contro il Presidente» . Per capire bene l’accusa bisogna sapere che il Giudice Bragg è nero, ed è un democratico.

Su questa linea l’Ex Presidente ha raccolto rilevanti nomi, non sempre finora a suo favore. Due esempi: lo scrittore e ora senatore J.D.Vance, autore di uno dei più bei libri sulla rivolta degli uomini bianchi che hanno seguito Trump, e l’ex Vicepresidente Mike Pence, che pure dopo le elezioni ha preso ogni possibile distanza dal suo ex capo: in una intervista al sito Breitbart parla di «odore di persecuzione politica».

I democratici per bocca di Nancy Pelosi propongono una diversa interpretazione dei fatti, lasciando intendere che questa “pericolosa” uscita serve a preparare la compagna elettorale del il 2024. E’ la stessa idea di Elon Musk, che non è un democratico : se sarà incriminato «Trump sarà rieletto con una vittoria schiacciante».

Insomma, si può concludere che è già partita la danza dello scontro politico, a pochi mesi dall’inizio dell’anno elettorale. Una sola domanda, e forse la più rivelante, rimane inevasa: l’invito a protestare mobiliterà anche le piazze? Si ripresenterà la violenza politica? La risposta la suggerisce il NyTimes che ricorda che l’organizzazione che ha appoggiato l’assalto del 6 gennaio è stata smantellata. Dai processi e dal tempo. Nessuna delle voci di allora si è ancora fatta sentire. Che questa annotazione del NyTimes sia la solita flemma anglosassone, o la falsa sicurezza di chi ha sempre criticato Trump, si vedrà presto. Ma appare sicuramente una posizione di buonsenso.

 

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