Presidi in lotta per il Salario

La Repubblica 3 Maggio 2017 di SALVO INTRAVAIA

Scuola, l’ultima frontiera dei presidi: “Faremo lo sciopero della fame”

I dirigenti scolastici denunciano il mancato allineamento delle loro retribuzioni a quelle di tutti gli altri dirigenti dello Stato. La clamorosa iniziativa del sindacato Dirigentiscuola a partire dal 22 maggio, ma anche le altre sigle hanno proclamato lo stato di agitazione

Scuola, l’ultima frontiera dei presidi: “Faremo lo sciopero della fame”
Presidi in sciopero della fame. La clamorosa iniziativa è stata decisa e annunciata dal sindacato Dirigentiscuola (Disconf-Confedir) che raccoglie oltre 500 aderenti. E che dallo scorso mese di ottobre siede al tavolo negoziale, essendo uno dei sei sindacati nazionali rappresentativi dei dirigenti scolastici.

Dal 22 al 26 maggio i capi d’istituto aderenti al sindacato in questione daranno vita a sit-in di protesta davanti alla sede del ministero dell’Istruzione, in viale Trastevere, con sciopero della fame, della sete e incatenamento. Oltre che a manifestazioni regionali. E se nessuno li ascolterà, “l’azione di protesta continuerà, se necessario in modo ancor più incisivo, fino a quando non sarà verificata la concreta volontà delle Istituzioni per la soluzione delle significative, ed oramai incancrenite, problematiche” relative ai capi d’istituto italiani. Di quali problematiche si parla? Dirigenti-scuola, in un comunicato, fa riferimento a una “categoria professionale maltrattata dal proprio datore di lavoro e dalle Istituzioni”.

Ecco per quali ragioni. Negli ultimi anni le responsabilità e il carico di lavoro degli 8 mila presidi italiani sono aumentate in maniera abnorme senza nessun corrispettivo economico. Anzi. Il loro contratto è scaduto nel 2010 e di rinnovarlo non se ne parla affatto. Un carico di lavoro che è aumentato soprattutto dopo l’approvazione della Buona-scuola: nei primi due anni di applicazione della riforma i presidi sono stati oberati di impegni e l’estate scorsa sono stati costretti a rinunciare anche alle ferie per mettere in pratica la “chiamata diretta”, svoltasi in pieno agosto. Ma non solo: basti pensare al dimensionamento scolastico che ha accorpato 42 mila plessi scolastici in poco più di 8 mila scuola. Col risultato di addossare ad ogni capo d’istituto in media la gestione di 5/6 plessi. Con punte di 15.

I presidi denunciano anche il mancato allineamento delle loro retribuzioni a quelle di tutti gli altri dirigenti dello Stato, che godono di stipendi di gran lunga superiori a quello di un preside. Presidi sovente costretti a pagare di tasca propria anche laddove non hanno poteri e mezzi per fronteggiare le emergenze, come nel caso della sicurezza degli edifici scolastici, di pertinenza degli enti locali. Quella di Dirigentiscuola è solo la punta di una protesta ormai inarrestabile. Anche gli altri sindacati dei presidi – Anp e confederali (Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola e Snals) – hanno proclamato lo stato di agitazione e non è detto che nelle prossime settimane si passi dalle parole a qualche forma di protesta che costringa il governo a prendere in seria considerazioni i mal di pancia di coloro che portano sulle spalle una grossa fetta di responsabilità di come funziona la scuola.

“Invito i colleghi tutti, soci e non soci – spiega Attilio Fratta, segretario generale del sindacato che scende in piazza dal 22 maggio – a partecipare. È ora di far sentire forte e chiara l’indignazione della categoria non più disposta ad essere sommersa da molestie burocratiche, a essere capro espiatorio in ogni situazione, a rispondere di inadempienze altrui, ad essere considerata dirigente solo per competenze e responsabilità con una retribuzione vergognosa”.

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