C’era una volta l’Italia, ancora fino a Maggio

Andrea Fabozzi il manifesto 16.02.2019

L’accordo sull’autonomia è solo “nello spirito”

Sfascia Italia. Governo in alto mare, il dossier destinato a restare aperto per tutta la campagna elettorale.

Il presidente della camera Fico chiede di coinvolgere «fino in fondo il parlamento» ma non parla di analisi piena dei testi di legge con possibilità di emendarli. Il presidente della Campania De Luca passa dal sabotaggio all’adesione
«È importantissimo che il parlamento abbia un ruolo centrale e non marginale nella questione dell’autonomia differenziata. Non si può andare avanti senza interpellare le camere fino in fondo». Il presidente della camera dei deputati parla a Napoli, poi ribadisce su facebook. Parole in linea con l’ultimo approdo dei 5 Stelle, la difesa del ruolo del parlamento nella partita dell’autonomia. Eppure Roberto Fico gira ancora attorno a formule generiche, non è chiaro se «ruolo centrale» e «interpellare fino in fondo» voglia dire che secondo lui il parlamento dovrà poter emendare in ogni punto i disegni di legge nei quali il governo – quando ci riuscirà – trasferirà gli accordi raggiunti con le regioni in fuga verso l’autonomia rafforzata. Per prime Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. O meglio, è chiaro che la questione è ancora oggetto di trattativa nella maggioranza. Fico, che nei giorni scorsi ha avuto un incontro con il presidente del Consiglio Conte sul tema, non dice se intende opporsi a ogni intenzione diversa. Come per esempio la blindatura prevista nelle bozze di accordo esaminate ieri dal Consiglio dei ministri, dove si delinea un percorso che non prevede la possibilità per camera e senato di cambiare il testo degli accordi stato-regioni. Conte non fa che ripetere l’ovvio: «Il parlamento non può essere destinatario passivo di un progetto di riforma rivoluzionario». La ministra degli affari regionali Stefani è in vena di concessioni: «Preciso che un coinvolgimento condiviso del parlamento ci sarà».

Il «coinvolgimento condiviso» è un altro concetto da interpretare. Significa che secondo la Lega il parlamento potrà occuparsene ma solo nei limiti fissati dal governo. La ministra Stefani nello stesso comunicato garantisce «il nostro totale rispetto del percorso indicato dalla Costituzione e dei livelli essenziali delle prestazioni». Ma i livelli essenziali, i famosi Lep, previsti dal 2001 non sono mai stati fissati per legge, dunque è impossibile rispettarli. Così come non c’è alcun percorso indicato dalla Costituzione da rispettare, visto che la legge di attuazione della riforma del titolo quinto non si è mai fatta.
Sull’iter allora si brancola nel buio. Ieri è intervenuto il presidente della commissione affari costituzionali della camera Brescia, M5S vicino a Fico. «Non nascondiamoci, siamo di fronte a una riforma costituzionale mascherata», ha detto. Aggiungendo che «non è pensabile che il parlamento debba semplicemente prendere atto delle intese raggiunte tra stato e regioni, è doverosa una discussione ampia prima che le intese si chiudano, un’analisi approfondita delle bozze di intesa in tutte le commissioni». Nella sostanza non siamo lontani dalle intenzioni del governo, che sono appunto quelle di dare i testi alle camere prima di farli firmare definitivamente ai presidenti delle tre regioni. Brescia allarga un po’ il perimetro della discussione a «tutte le commissioni», e non solo alla commissione per gli affari regionali, del resto le materie coinvolte sono molte e diverse. Ma non cita l’eventualità di un dibattito in aula.

Il governo è già sufficientemente in difficoltà in questa fase. Il comunicato stampa sulla riunione del Consiglio dei ministri di giovedì sera conferma che l’autonomia è stata nella sostanza fermata: «Il ministro per gli affari regionali e le autonomie Erika Stefani, dopo gli incontri bilaterali che ha avuto con i ministri interessati, ha illustrato i contenuti delle intese. Il Consiglio dei ministri ne ha preso atto e condiviso lo spirito». Per passare dallo spirito alla concretezza di accordi firmati è probabile che ci vorrà tutto il tempo della campagna elettorale per le europee; la Lega non può permettersi di rinunciare alla bandiera né i 5S possono cedere di schianto prima di allora.
Intanto il presidente della Campania De Luca, che è stato fin qui tra i più rumorosi contestatori delle autonomie differenziate, ha deciso di contestare aderendo. Ha formalizzato ieri la richiesta di accedere al percorso previsto dall’articolo 116 della Costituzione, indicando anche gli ambiti desiderati. «Speriamo che questa volta ci rispondano», ha detto De Luca, facendosi facilmente replicare dal ministero per gli affari regionali che la sua precedente richiesta (del febbraio 2018) era priva dell’indicazione delle materie da «regionalizzare». «Adesso abbiamo formalizzato», ha detto allora De Luca, aggiungendo però che un mese fa aveva chiesto di agganciarsi in corsa a Veneto, Lombardia ed Emilia. «È grave che il governo a un mese di distanza non abbia ancora risposto alla Campania», ci ha tenuto a dire Maurizio Martina, che però era al governo quando nel 2013 il centrosinistra fissò il tempo di risposta in due mesi. De Luca è il suo più importante sponsor per le primarie.

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